Di lui molti,
come me, non sapevano l’esistenza, tampoco erano informati della sua condizione
di alto graduato delle Forze Armate Italiane. Adesso sanno e so.
Egli, per
via di una forte pulsione comunicativa e plausibilmente regolativa del
disordine imperante, ha dato alle stampe un libro con cui ha voluto annunciare
la sua “nuova” Weltanschauung.
Sono stata costretta, persino io che non esisto sotto
spoglie pensanti, a sorbirmi la noiosa ridda delle reazioni e interpretazioni
al neon dei mass media, Costituzione italiana alla mano, ora rivisitata con le
lenti della sinistra, ora ripassata per gli astigmatismi imbarazzati della
destra. Per colmo di bizzarria, la destra del Ministro Crosetto, presa alla
sprovvista, ha minacciato la degradazione dell’alto militare, mentre la destra
di Salvini gli ha offerto il meglio:
la candidatura alle europee.
Il Presidente della Repubblica gli ha lanciato di
striscio un fervorino dissuasivo, ma pacifico e paterno.
Non mi soffermo sulle dichiarazioni soft dei
professori di diritto, di alcuni magistrati in pensione, né sui reportage di
certi giornalisti entusiasti del successo del libro al botteghino. Manco avesse
riscritto La teoria delle monadi, per
ricordare agli umani del ventunesimo secolo che “il
possibile” è per loro del tutto fuori portata.
Egli si volta semplicemente indietro e prende a sistemare
la pericolante situazione delle cose capovolte secondo la ratio del mondo d’una volta, dove l'evidenza perpetuata e nobilitata dalla tradizione indicava il “noi”, dotato d'infule sacre, idonei a delimitare tempo e spazio a tutti gli “altri”.
A questo punto dell’infinita diatriba mediatica suscitata dal libro di Vannacci, mi
sento tirata per i capelli a dire ciò che segue, forte della mia debolezza in
titoli e stellette, ma d’anni ricca e di quelle esperienze che segnano la
discrepanza tra la pietraia dogmatica gradita a “lor signori” e il mio alieno dovervi
tirare i passi evitando possibilmente di soccombervi. Sfugge al sig. Vannacci la conclamata evidenza che neppure
il mondo minerale permane in assoluta staticità, come ben sappiamo.
Il fatto è che il delirio del potere alimenta il
volere di imbragare corpo e mente a tutti coloro che il potere non l’hanno.
Come?
Con l’impoverimento, la colpevolizzazione, la paura
servile: «Sei disoccupata, sei occupata e
povera? Mica vero! Intanto mangi meglio dei ricchi, perché hai la furbizia di
“vendemmiare” gli orti di straforo e i
bidoni dei mercati, campi troppo a lungo
e perciò costi, sei molle, pigra, manchi d’inventiva e di spirito di
adattamento, sei un peso sociale. Vuoi vivere a spese dell’erario, eh?» (Ho usato il femminile perché non esclude)
E si fomenta il senso di disprezzo per i
gruppi di cittadini bisognosi di
sostegno, come se l’erario (il monte del gettito e le risorse di stato) sia il
miracoloso frutto del capitale esosamente accumulato dai magnati (in buona parte stipato nei caveaux dei
paradisi fiscali) e non il frutto del lavoro umano estratto in forma di
profitto, di mancate garanzie, gravato di tasse sul salario e sui consumi, per
servizi sociali non erogati. (Cito
Caivano per mille e mille altri inferni).
Il gap sociale isola i periferici nativi e si
combina, complicandosi, con quello razziale così da scatenare guerre tra
poveri, foriere della depressione sociale, della subalternità culturale e dell’annientamento
sistematico dei soccombenti designati.
Vecchia storia, ma sempre pericolosamente attuali
i suoi lieviti. In Germania uno dei lieviti fu un libello intitolato Mein Kampf
di Adolf Hitler, che indicò la minoranza
ebraica responsabile della sconfitta della Prima Guerra Mondiale e del
conseguente disastro economico; poi con la stessa logica furono perseguite sia
le altre minoranze etniche che quelle politiche e religiose.
Anche noi italiani, in scarpe di cartone e vecchi
moschetti ad armacollo, antesignani dei Nazi, abbiamo a suo tempo biecamente e stupidamente assunto
atteggiamenti primatisti e orrendamente persecutori verso le popolazioni delle
colonie e, in patria, contro i dissidenti politici e altre minoranze.
Proprio non abbiamo bisogno di un MEIN KAMPF, né vecchio
né nuovo in formato sedici.
Dopo quella carneficina senza valori e senza onore
quale fu la II Guerra Mondiale nessuno, nessun umano gallonato o meno, dovrebbe
avere l’ardire di sostenere il proprio
diritto ad aggiungere nefandezze a quelle già giudicate dalla storia, né
spacciare come diritto di libera espressione il denegato primatismo socioculturale
sotto l’ombrello della Costituzione democratica e repubblicana d’Italia
Nessuno ha più il diritto e l’occhio bronzeo per
permettersi di stilare la nota dei belli, dei buoni, dei bravi, dei comme il
faut , dei sempre salvati, di “noi” contro “loro” spinti sulla strada della
degradazione.
Non è sufficiente darsi il titolo di Solone per
diventare credibile.
Bisogna studiarlo davvero il pensiero filosofico
nel suo emergere, nel suo articolarsi politico, nel suo complicarsi con le
istanze di classe, nel suo variare, rettificarsi e persino autoconfutarsi, prima
di proporsi a testimone impossibile di una irragione artatamente costruita.
Giordano Bruno, panteista assoluto fino ad
attingere il più puro confine materialista (come
Benedetto Spinoza), fu sostenitore della, allora “pericolosa”, concezione
copernicana, come fu elaboratore di altre straordinarie intuizioni. Egli, come
Galileo, era in anticipo sul tempo persistente degli indiscutibili dogmi e ha
pagato sul rogo il diritto di discutere il Sapere del Potere di allora. Avere la tempra umana e filosofica di un
Bruno!
Dunque mi chiedo e chiedo a chiunque: è libero il
Nostro Generale di aprire una campagna ideologica a favore del discrimine
sociale, dell’odio primatista omofobo e del ripristino dell’ordinamento
familistico patriarcale.
Rispondo no; né lui, né altri da posizioni di
potere.
Come privato cittadino, forse sì, ma con un po’di
grano salis, se possibile. Del resto l'arringa da rasoterra fa meno spettacolo.
Comunque fare campagna ideologica sulla base di un
sentire personale rivolto a dileggio delle persone del mondo civile prossimo o
lontano, è detestabile. Oltre che sbagliato, è privo di senso perché ridicolo.
E
allora, se proprio senti di odiare, odia il furto, odia l’imbroglio, odia
l’inganno e il tradimento, odia l’omicidio, odia la dissimulazione, odia la
stupidità interessata, odia la superficialità, odia la furbizia malevola, odia
l’indifferenza. Odia l’atto spregevole, ma salva le persone senza rango,
specialmente le donne, perché possono
concepire le vie migliori in direzione di un mondo più giusto, più disposto
al rispetto e alla pacifica convivenza fra preziose diversità non imposte