Era, è platealmente
una bugia scrivere che “la nave va”, usando l’espressione come metafora di un
mondo che, nel nostro guercio immaginario, procede lungo la mediana tra peggio e meglio.
“La nave va” era, è, se non sbaglio, il titolo
di quel bellissimo film di Federico Fellini. Sì, una fiaba, appunto, costruita con la nota grande maestria e
ironia. Ma con buona pace di Fellini,
nemico di letture dietrologiche, a me è rimasto impresso il significato
ossimorico del titolo, il quale prese a risonare
con tragica ironia, nella mia mente, appena
sulla privatissima, sontuosa e godereccia navigazione funebre (funerale da
Belle Époque) irruppe
l’inizio della tragedia vera: lo scoppio della 1^ Guerra Mondiale. E ricordo che la visione dell’intero film
andò a rapprendersi, ancora nella mia mente, come immagine metaforica
dell’Europa incapace di rendersi conto della sua imminente rovina. Del
rinoceronte-simbolo non ricordo niente …
E se la mia lettura del film risultava, e
risulta, inficiata dalla sovrapposizione di simbologie tratte da altri
contesti, non è del tutto falsa l’idea che la storia particolare del film si
sia prestata e possa ancora prestarsi a simboleggiare l’irragionevole vanità di
coloro che, beneficiati dalle fortune economiche e sociali e dal caso, continuino a ignorare l’urlo di coloro che le
stesse fortune non hanno e anzi vivono i massimi pericoli, per tacere di coloro
che, invece, proprio sui disastri naturali e umani fondano le loro immense fortune
.
Tutto ciò vado
dicendo anche per sconfessare, in quella
poesiola, una mia volontà di disimpegno, – nel caso che qualcuno vi avesse letto un tal significato.
No, purtroppo e
decisamente, la nave non va, nel senso che il mondo è qualcosa di
sgangherato che si agita e genera ogni specie di degradazione. Ci agitiamo, nel
modo in cui sappiamo, forse poco volendo: ancora una volta siamo piccole
comparse, talora recalcitranti, ma in qualche modo infelici complici di eccidi
e catastrofi, che si collocano nella “migliore” tradizione dei conflitti bellici mondiali. Eppure le
piccole barche di ciascuno di noi del “primo mondo” sembra che vadano … Ma vanno? E dove?
Mi indigno quando
nei telegiornali della nostra Isola si esulta perché i turisti sono arrivati,
quindi c’è lavoro per un pugno di camerieri. Arrossisco davanti alle “balentìe”
da cartolina che procurano orgasmi a piccole folle di compaesani che si
credono catapultati in un’era di “felice identità”. M’indigno e mi vergogno, perché dalla nostra
Isola, a pochi chilometri dalla mia città, si alzano in volo i seminatori di
morte a favore di uno dei paesi più retrivi della platea internazionale.