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giovedì 23 marzo 2023

Da Bianca Mannu per “D’oro e di cemento”- romanzo di Maria Rosa Giannalia


 

 

Da Bianca Mannu per “D’oro e di cemento”- romanzo di Maria Rosa Giannalia

D’oro e di cemento: titolo icastico e bellissimo perché sintesi granitica del romanzo di Maria Rosa Giannalia , nel suo riferimento veritiero alla vicenda storica e sociale che ha interessato la Sicilia occidentale nella seconda metà del Novecento. Anche solo per questo, il romanzo si staglia come opera di realismo letterario, senza farsi cronaca o indulgere alla coreografia poliziesca, invalsa in opere di genere.

Il tessuto narrativo si snoda coniugando l’uso perfetto dell’italiano con il sottofondo melodico e iterativo del siciliano, anche al netto dei richiami dialettali che connotano specificatamente, prima  gli anni immaturi,  poi i momenti psicologici e le temperie umorali giovanili, e, dopo ancora, i discorsi interiori e l’interlocuzione, viepiù distante e critica, del protagonista narratore con il suo mentore (il “parrino” Michele) e infine quella con il giudice istruttore (presenza assente, come un Dio senza deità).

Lo stile narrativo, davvero particolare e significativo, si fa mondo e risuona  come una musica che si articoli su tonalità diverse  e variazioni a strappi, ottenuti dall’emersione brusca di motti e proverbi dialettali, punti sintomatici del granitico legame etico culturale limitato e denso di ambiguità , cui  Mimmino è costretto ad appoggiarsi  non avendo potuto beneficiare di modelli culturali di confronto prima e fuori dal suo precoce ingaggio nel mestiere.  Su quel magro sostrato   va  a stagliarsi il conflitto interiore del protagonista alle prese con le istanze educative primigenie credule e gli effetti  ambivalenti, tra fascinazione e coercizione, del mondo fisicamente incombente, reale e ambiguo.

Un altro elemento strutturale e di notevole efficacia realistica è la considerevole competenza e disinvoltura con cui l’Autrice entra e ci conduce nel cerchio professionale  di Michele e del giovanissimo Mimmino. Forte di questa conoscenza (quasi diretta), Giannalia rende linguisticamente palpabile (senza mai indurre alla noia) la ratio edile dentro la vita del protagonista, raccontando come  ne diriga i sogni, ne motivi le fatiche, ne giustifichi le scelte “amicali” e i cogenti legami d’interesse e fedeltà al gruppo e ai capi, insieme con l’accoglimento  dei rischi immediati e possibili, peraltro pensati come controllabili ad libitum, per via della divisione dei compiti operativi nell’ambito della cosca stessa, come l’Autrice sottolinea.

  In effetti è  proprio la forma mentis acquisita tramite la pratica edile  e il caotico portato culturale di riferimento (ostaggio di parecchie confusioni concettuali, come quella  tra timidità caratteriale di una persona e la presunta mitezza/bontà, ritenuta  inossidabile perché costitutiva) a suscitare in Mimmino il progetto allettante -  da prospettare all’uomo d’onore di una cosca esistente, ma ancora di poco respiro -  circa la possibile trasformazione degli agrumeti in aree edificabili, con esiti molto remunerativi nei convincenti precalcoli.       

In effetti il romanzo,  condotto in punta di una ben calibrata prosa narrativa, è il percorso di educazione e autoeducazione di Mimmino. Entità umana nell’albore della vita, si presenta segnato dal sentimento d’ingenua identificazione con l’alter ego Michele, il buono . Ecco Mimmino, adolescente operaio dipendente e povero, affidato a se stesso,  ricco di desideri, sogni, e afflitto da piccole scaramucce interiori; lo ritroviamo quasi maturo, sguarnito di veri fondamenti umani, preso nei tentativi ben poco fruttuosi di corrispondere a  una ideale consistenza fondata sulla bravura professionale; eccolo ancora librarsi,  nel segno della promozione del sé e dell’ego, per proporsi a un mondo ristretto di figure dalle referenze ambigue, mettendo in gioco la sua professionalità, ma sopra tutto la sua aperta compatibilità morale verso l’avidità altrui, peraltro paludata d’affabilità e d’intenzioni coperte, di cui già aveva indiretta esperienza; infine  eccolo disfarsi di ogni autocontrollo volitivo e  propendere per la facile accettazione della via breve delle collusioni e delle prevaricazioni, verso la scalata economica e il successo sociale …

 Come cieco e sordo, precipita nella polvere della caduta, nella irrefutabile condizione del proprio fallimento umano  e della contestuale carcerazione … Il carcere, sola casella sanzionatrice del suo crollo. Guardarsi denudato di colpo, non solo imputato, ma proprio amputato dell’aureola dell’onorabilità umana e dell’amabilità familiare, per l’eternità della vita  e della già iniziata nuova generazione.

Infine il maturo Mimmino si avverte privo anche del minimo desiderio di adire a una sorta di ricupero sociale mediante la dissociazione e la delazione. Il ricorso a tale pratica tribunalizia significherebbe potersi tirar fuori a buon mercato dalle responsabilità assunte con le proprie scelte e assicurarsi una sorta di sussistenza oscurata e protetta a carico della comunità sociale indistinta. Ora la sua maturazione fulminea si commisura con l’impraticabilità personale di una tale opzione: i fatti non si possono né disfare né bypassare. I fatti sono le tessere episodiche e parziali di un sistema di relazioni irriducibile alla partizione degli umani in schiera dei buoni e in quella dei cattivi, oppure nella distinzione tra chi ce l’ha fatta senza incidenti di percorso e appare a sé e a tutti come “a posto”, e chi  – fallito per colpa orrenda e per hybris – non potrà mai guardarsi allo specchio o negli occhi del proprio figlio, né tollerare una specie di morte civile a stipendio garantito.   

Qui l’Autrice, nei panni interiori di Mimmino, dimostra una sottigliezza concettuale e argomentativa, che sembra lambire il margine delle teorie eticopolitiche volte alla ricerca teorica e pratica delle palingenesi umane sistemiche … L’apocalisse o la rinascita – pensa Mimmino - o è per tutti  o non è, poiché le “verità” parziali sono farsa, accomodamenti vani, incapaci di sradicare i mali sociali e di bonificare profondamente le coscienze individuali; meno che mai quelle che sono rimaste consapevolmente invischiate per ignoranza, avidità e senso di prepotenza, in segrete pratiche di potere e torti umani insuperabili .