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venerdì 21 giugno 2024

Dillo a un Sikh - (urlo, canto, inno e lamento degli oppressi per la penna e l'animo di Bianca Mannu - inedito)

 





Dillo a un Sikh

quali sono i Nostri Valori -

dillo ai suoi conterranei

sparati come tralci avventizi

dal vento dell’urgenza

sui  campi dell’Agro

sulle piane di Partenope

sugli orti Cisalpini

 

Chiedigli se son leggere

le dieci ore più quattro -

quando la sorte vuole -

alla pioggia  al sole e a ogni tempo

dalle albe incolori

al sangue dei tramonti

con niente nella pancia

e la ganascia del doping

a stringere il cervello

 

Tu dici che canta

quando inginocchiato

strappa alla terra

tuberi e carote?

E quando conosce l’aspro

dell’uva e dell’oliva

chissà che musica coltiva?

Dico che il suo corpo canta

come una ferita tutto

e sogna sua interinale

assenza dalla vita

 

Assenza provvisoria - certo -

da una vita che - pur di sterco -

frequenta assidua la speranza

e questa conferisce all’esistenza

il tempo di  continuare in stand bay

e ammortizzare i guai da surmenage …

Quando la vita ha un solo lancio

anche il più sporco strame per giaciglio

se non è mano amica è almeno gancio

cui sospendere ciò che - o uomo d’opera –

solamente tuo rimane inesorabile:

il duro esito del giorno

 

Invece tu - uomo del capitale -

che prescindi dall’umano altrui

scomputi ciò che ti conviene:

la cosa-lavoro - quella che mercanteggi -

e che - a te poco o niente parendo -

per eccesso di mercantile offerta

la natura a dare frutti induce

E ti scotta il tempo mentre attendi:

incalzi al moto i suoi sfinteri

per  accrescere  il tuo utile in saccoccia

ma i rigori a saldo lasci altrui.

 

Del bracciante - il cui sudore

a tuo favore provocato ti ripugna -

quasi nulla sai che non sia sua fame

e su quella mandi a schiacciare il piede -

non il tuo - stiloso  e così ben calzato! –

ma quello chiodato d’un vile caporale.

 

Forse quel cristo  crocifisso

alla sua condizione di operaio 

 si sarà chiesto - per un meriggio intero

 e per successivi mille di sgobbo

 imbevuti all’osso di strappi e contumelie  -                       

di qual delitto mai e di qual vita obliata

voglia emendarlo il suo dio

 

Ma - come tutti gli dei -

neppure il suo risponde

Altrove guarda forse 

o altri suoi Valori raccomanda

oppure nel suo ombelico stesso

coglie la fuga d’ogni divino senso

Non c’è modo e non c’è verso

un Sikh da solo - come ogni uomo inerme -

si sente e campa da lombrico funzionale

tra sottosuolo e fango

dove muore privo dell’umano rango

 

Gridalo, Sikh, gridalo forte

insieme ai tuoi fratelli neri

incattiviti sui  campi del Salento -

ubriachi di fatica e d’indigenze

dannati a smaltire gli ergastula diurni

dentro tendopoli infernali …

 

Gridatelo anche voi

operai tarantini intossicati

mentre morite a poco a poco

nei paradisi dei vostri letti …

E tutti voi - dispersi e soli

a sfangare la vita lottando

con un qualche marchingegno traditore -

soffiatelo con la forza dei tornado

dentro le orecchie dei professori ISTAT -

gridate che - pure consunta

ogni marcata essenza agglutinante -

siete magari folla sfilacciata e spersa

d’umani - troppo tristi umani e vivi -

sparpagliata truppa inerme -

prigiona a guerra persa.