Dillo a un Sikh
quali sono i Nostri Valori -
dillo ai suoi conterranei
sparati come tralci avventizi
dal vento dell’urgenza
sui
campi dell’Agro
sulle piane di Partenope
sugli orti Cisalpini
Chiedigli se son leggere
le dieci ore più quattro -
quando la sorte vuole -
alla pioggia al sole e a ogni tempo
dalle albe incolori
al sangue dei tramonti
con niente nella pancia
e la ganascia del doping
a stringere il cervello
Tu dici che canta
quando inginocchiato
strappa alla terra
tuberi e carote?
E quando conosce l’aspro
dell’uva e dell’oliva
chissà che musica coltiva?
Dico che il suo corpo canta
come una ferita tutto
e sogna sua interinale
assenza dalla vita
Assenza provvisoria - certo -
da una vita che - pur di sterco -
frequenta assidua la speranza
e questa conferisce all’esistenza
il tempo di continuare in stand bay
e ammortizzare i guai da surmenage …
Quando la vita ha un solo lancio
anche il più sporco strame per giaciglio
se non è mano amica è almeno gancio
cui sospendere ciò che - o uomo d’opera
–
solamente tuo rimane inesorabile:
il duro esito del giorno
Invece tu - uomo del capitale -
che prescindi dall’umano altrui
scomputi ciò che ti conviene:
la cosa-lavoro - quella che mercanteggi -
e che - a te poco o niente parendo -
per eccesso di mercantile offerta
la natura a dare frutti induce
E ti scotta il tempo mentre attendi:
incalzi al moto i suoi sfinteri
per accrescere il tuo utile in saccoccia
ma i rigori a saldo lasci altrui.
Del bracciante - il cui sudore
a tuo favore provocato ti ripugna -
quasi nulla sai che non sia sua fame
e su quella mandi a schiacciare il piede
-
non il tuo - stiloso e così ben calzato! –
ma quello chiodato d’un vile caporale.
Forse quel cristo crocifisso
alla sua condizione di operaio
si sarà chiesto - per un meriggio intero
e
per successivi mille di sgobbo
imbevuti
all’osso di strappi e contumelie -
di qual delitto mai e di qual vita
obliata
voglia emendarlo il suo dio
Ma - come tutti gli dei -
neppure il suo risponde
Altrove guarda forse
o altri suoi Valori raccomanda
oppure nel suo ombelico stesso
coglie la fuga d’ogni divino senso
Non c’è modo e non c’è verso
un Sikh da solo - come ogni uomo inerme
-
si sente e campa da lombrico funzionale
tra sottosuolo e fango
dove muore privo dell’umano rango
Gridalo, Sikh, gridalo forte
insieme ai tuoi fratelli neri
incattiviti sui campi del Salento -
ubriachi di fatica e d’indigenze
dannati a smaltire gli ergastula diurni
dentro tendopoli infernali …
Gridatelo anche voi
operai tarantini intossicati
mentre morite a poco a poco
nei paradisi dei vostri letti …
E tutti voi - dispersi e soli
a sfangare la vita lottando
con un qualche marchingegno traditore -
soffiatelo con la forza dei tornado
dentro le orecchie dei professori ISTAT -
gridate che - pure consunta
ogni marcata essenza agglutinante -
siete magari folla sfilacciata e spersa
d’umani - troppo tristi umani e vivi -
sparpagliata truppa inerme -
prigiona a guerra persa.
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