sabato 18 agosto 2018

ISTRUZIONI AL DISUSO - inedita di Bianca Mannu

Nota di preambolo - Non è un testo d'occasione, ma dato il non casuale ripetersi di tragedie annunciate e i tentativi ben riusciti dell'ideologia dominante (questa, sì, continua a farsi valere) di consegnarci come gattini ciechi ad eventualità solo apparentemente bastarde, mi pare non blasfemo postare questa composizione, come mia partecipazione al lutto del mio disastrato paese.
 Aggiungo che nessuno in questi giorni ha fatto il minimo sforzo (o forse ha volontariamente praticato l'elusione) per richiamare un'altra immane tragedia a suo tempo annunciata: lo sfondamento della diga del Vajont del '63, in pieno e rampante miracolo economico. Anche le attuali inondazioni in Thailandia e Cambogia, con stragi di centinaia di persone, sembrano e non sono, fatalità. Mi verrebbe voglia di gridare:"Cari poeti, smettete di celebrare le poche aiole fiorite, ostentate nelle foto opportunamente ritoccate per gli ingenui, sgonfiatevi dell'enfasi, guardate  il mondo reale e seguite i fili che conducono alla logica che partorisce tali eventi, così che molti la riconoscano e la contestino!" (B. M.)


ISTRUZIONI al DISUSO           

Usare
un occhio solo per volta
un occhio solo
e l’altro a riposo – se da riserva insiste
Un occhio solo
strumento minimo: scatto per archivio
d’impronte piatte – geografia ignara 
di profondità di strati d’ombre

Una volta – forse pluriocchiuto – l’umano
guardava  nella lontananza
annidarsi semi di ferali evoluzioni …
… forse sbagliando vaticinava
e aguzzava i denti al tempo
per mordere con essi la carne del futuro
nel ventre del possibile

Compagno di strada il rischio
aizzava vista e veglie
E poi che pieno parve il morso
fu il calcolo innalzato a salvaguardia
dai rostri della cattiva sorte
L’umano troppo umano dispose storni
sui calcoli pregressi
volendo a piacere ritmare i casi

Smarrì in quella china il fiore suo:
quella memoria occhiuta
che trapassava pungendo con  il tempo
i nidi dello spazio e in guisa di lenzuoli
li sciorinava ai venti

Un occhio solo
scampato per  devozione delle superfici
vi guizza sopra mancando
d’indugiare su scabrosità di polveri:
morti compiute in assenza di pianto

Un occhio solo
aliterà dal suo cielo
sulle cisti di sequele viscerose
e forse abbasserà la palpebra
per mingere una lacrima meccanica
su scagliosi viraggi

Un occhio solo
e ogni alone scabroso vagherà misconosciuto
dispersi l’inquietudine e il sospetto
da cui poteva ungulata nascere l’idea …
Anche l’ombra d’un’ombra

dissipata

giovedì 9 agosto 2018

Liberi e personali arzigogoli sulla politica - Bianca Mannu



Il mio impatto con la politica italiana, mi manda periodicamente in apnea o mi agita come un vento improvviso. Sì, per quanto l’età e il contare niente mi consentano di assistere e ricordare. Smagata, sto sola e parlo con me stessa e con eventuali altri (immaginari!), del mondo che un poco so , quello politico che, pur ignorandomi, mi ha sempre trovata e variamente colpita, oltre che inquietata.
Mi viene da osservare che non c’è scampo dall’improvvisazione che alimenta l’elettoralismo, e da questo che la fomenta e la incalza. E va così, secondo me, dalla Bolognina in poi, anzi da prima: dalla proposta berlingueriana del Compromesso Storico, sfociato nella tragedia della lotta armata da cui si è usciti annichili per via di una sorta di sentimento di sospetto e di colpa diffusi, tali da indurre i partiti della sinistra a correre verso abiure di pancia e a inneggiare alla caduta del Muro, come se con quello fossero caduti tutti i muri, non solo fisici e ideologici, ma quelli sociali, razziali e politici, che invece si sono moltiplicati sfociando in una miriade di guerre. A un sonno della ragione se n’è subito sostituito un altro, per cui con l’acqua sicuramente inquinata delle piaghe ideologiche, specialmente quelle di stampo “sovietista” giudicate più pericolose, si è gettato via il nerbo della riflessione teorica sulle logiche di sistema e il patrimonio sociale e culturale che aveva animato la parte più nobile della lotta politica di base.  
Dopo, preceduto dall’edonismo reganiano, c’è stato in Italia l’intervallo fescenninico del Cav., che ha frullato con la sua non disinteressata munificenza molti cervelli ritenuti pensanti. E poi, com’è noto, L’Europa ha bruscamente suonato la fine della presunta “ricreazione”, ossia del welfare state, un lusso che avrebbe provocato l’indebitamento degli stati nazionali. (Chi sa mai perché, il pane che mangiano gli umani di ciurma è sempre quello che pesa troppo e mette in pericolo di naufragio il vascello!)
Ma la crisi sistemica mondiale (la famigerata tempesta senza autore o del dio impunemente accusato!)  aveva già fatto fluire i suoi veleni in tutte le direzioni mettendo in una condizione di difficoltà irreversibile i baluardi veri e finti delle economie e delle politiche nazionali,   innescando una lotta di tutti contro tutti (specialmente poveri contro più poveri) e favorendo aggregazioni economico-politiche tese a occupare tutti i ponti di comando e a comprimere, col terrorismo finanziario e la compressione dei diritti, le istanze di promozione sociale delle classi lavoratrici, deprimendone la capacità contrattuale e perfino il senso minimo di attività partecipativa al dibattito politico. Mi suona uniforme un coro:  le emittenti mediatiche nostrane hanno continuato a cantare inni di ottimismo intanto che il paese franava politicamente e moralmente.
La “gente” (Ecco, dai e dai, siamo divenuti una poltiglia irrisoria col nome dell’antico patriziato romano: gens!), la gente disertava le urne incoraggiata all’assenza quando conveniva al potere di turno. Tutto l’arco politico ripeteva il refrain: le democrazie, quelle vere, (prendi gli USA)  hanno flussi relativamente bassi; il 60% è fisiologico!
Così si è giunti al 40 e al 30% dell’oggi (fino al 4 marzo, poi, chi sa?). Come dire che la fisiologia si posizionava verso il vizio incurabile. Politicamente morti, socialmente zombi: le sensibilità sociali, compiacenti alla politica del disimpegno, erano scivolate nell’imbarbarimento individualista, agevolato anche dalla compressione delle spese per la sanità, la cultura (scuole di base comprese) e altri servizi essenziali.
Non bisogna dimenticare mai che l’intuizione di Beppe Grillo e del Casaleggio senior ha individuato nell’inquietudine sociale, suscettibile di andar fuori controllo, l’ansia di cambiamento di una moltitudine di persone, ha conferito parole ed esempi intuitivi al marasma sociale e l’ha convogliato in direzione di una formazione politica movimentista, cioè fluida e popolare (poi M5S) che riproponeva a individui isolati, confusi, depressi e arrabbiati l’incontro discussione con altri individui ugualmente inquieti, onde riscoprire sul campo della comunicazione di piazza la necessità di una ricostruzione del senso sociale dissipato e del necessario protagonismo popolare nelle decisioni politiche.
La base teorica del movimento - per la verità caliginosa - è trovata nel giusnaturalismo rousseauiano, secondo il quale lo stato di anomia naturale o quello attuale di ingiustizia e caos economico-sociale va superato con un nuovo patto sociale che conferisce cittadinanza all’individuo e sovranità al  popolo. Questo diventa soggetto e oggetto di azioni politiche dirette e sovrane, capaci di affrontare le richieste di giustizia distributiva dei beni prodotti e non soggiacere senza discutere ai dictat della compagine economica mondiale prevalente. L’impulso movimentista immediato nasce dall’insostenibilità delle condizioni sociali di fatto (l’avvilente e dilagante impoverimento), ma si chiarisce e si sostanzia nelle “assemblee di piazza” divenute crogiuolo di narrazioni critiche alternative alle narrazioni governative sostenute da interessi corruttivi evidenti e proliferanti, dunque sempre meno credibili, “astratte” rispetto ai bisogni oggettivi del corpo sociale.
L’emergere convulso delle reti corruttive faceva riemergere la Questione Morale di berlingueriana memoria, sulla cui scia molti ex elettori ed ex militanti delusi del PD renziano si sono orientati.  In effetti tale posizione suonava per certi versi simile alle tesi riformistiche del PD pre-renziano; ma esso si era mostrato  passatista e debole nei confronti dei poteri forti (leggi multinazionali e banche) e imbelle contro la corruzione. Infatti Grillo e il suo movimento ha avuto buon gioco nel rilevare a carico del PD le discrasie tra dichiarazioni e pratica politica, denunciandone – talora in modo teatrale – l’incapacità di prendere le distanze operative dagli arroccamenti di casta e la sua indulgenza per la pratica del “cerchiobottismo” dilazionatorio.
Va osservato che nella sua fase di crescita il M5S non ha esplicitato metodologicamente il sopra menzionato riferimento teorico. Anzi gli iniziatori del M5S, pur avendo ampiamente operato prelievi importanti da varie teorie (ricordo quanto dell’analisi marxiana delle merci fosse presente in certi discorsi  di Beppe Grillo e quanto leninismo[1] nel suo richiamare le folle disorganizzate al protagonismo politico!), si sono definiti post ideologici, cioè in posizione di superamento delle classiche categorie del posizionamento politico e, quando sollecitati, su ciò hanno costantemente insistito. Del resto in un’Italia ancora impregnata di edonismo berlusconiano e delle sue grida d’orrore per la presunta e larvale “infezione comunista”, bisognava rassicurare una folla composita, con idee e informazioni confuse, ma anche guardarsi da un sistema mediatico (con le eccezioni!) molto compromesso col liberismo economico-finanziario, propenso a pareggiare i propri conti con la ben tollerata e giustificata avidità capitalistica mediante lo sciorinamento  del manto morale (assai remunerante sotto profili diversi), utile per salvare il busines e il suo svincolato esercizio nel settore privato e, all’opposto,  puntare l’indice sulle esose guarentigie che “il politico” si assicurava nelle forme del privilegio, sia legalizzato che coperto,(cfr La casta e altro). Intanto, archiviata  in termini etico-giuridici la questione “mani pulite”, si seppelliva in un silenzio politico il lascito del perdurante modello democristiano all’interno del PD che, nella juissance dell’egemonia sulla sinistra morente  e strabica e  del potere di governo, di fatto scaricava sull’intero paese i costi della spartizione e dell’abbandono sociale. (Bisognerebbe rileggere gli Scritti corsari di P.P. Pasolini sulle responsabilità della DC e gli atteggiamenti del PCI sempre più corrivi alla deriva del sistema, per capire ciò che accade oggi.)
Come si siano distribuiti i flussi elettorali l’abbiamo saputo dopo il 4 marzo, ma abbiamo altresì constatato e capito che essi non sono omogenei ai riferimenti prescelti, che anzi i flussi in uscita producono forse lo stesso magma e le stesse problematiche ambivalenti e contraddittorie pre-elettorali, con l’aggravio delle reazioni particolaristiche dei sottogruppi.
Il forzoso contratto di governo tra M5S e Lega - tanto caldeggiato da una tifoseria mediatica ciarliera che ha ben soffiato sul disimpegno di quanto resta del PD - si rivela una gabbia da gestire faticosamente per gli impegni contrapposti che contiene e per il mare di problemi che premono dall’esterno del contratto stesso e che finiranno per imporsi. L’esito politico e la durata stessa del governo dipenderà da come si disporranno i rapporti di forza delle due componenti principali e dagli impatti oppositivi che produrranno negli agenti economici e sociali nazionali variamente sollecitati e compressi da un contesto politico mondiale ondivago e confuso, che risulta occupatissimo a organizzare politiche aggressive sia sul piano economico finanziario che sulla deterrenza militare: vedi le sanzioni economiche USA contro stati non allineati, vedi gli obblighi a sostegno delle spese militari, vedi l’indifferenza verso le sorti del pianeta e dei popoli su cui ricadono le conseguenze dell’incuria e dello sfruttamento indiscriminato delle risorse, eccetera.  
Le convulsioni che si verificano in seguito alle prime azioni di governo mi pare siano sintomo e conseguenza di una carenza analitica del corpo sociale e anche dalla mancanza di una visione prospettica organica da parte di tutti gli attori vincitori o sconfitti. I problemi si sono accavallati in un settantennio di brancolamenti.  Ma, stando ai sondaggi, bisogna anche dire che un buon numero di italiani piegano sul più facile: cioè siano galvanizzati dalla retorica di Salvini. (A suo tempo furono galvanizzati da uno che strillava tanto, che si faceva chiamare Duce e li condusse alla rovina).      
La posizione salviniana si áncora su una sorta di nazionalismo con pronunciate venature etnocentriche e razziali, si vale di ciò che sopravvive della mitologia dei Lumbard, ma in una forma abbastanza larga da farci stare un’italianità generica, bonificata dai “terrun”  e altri appellativi politicamente scorretti che alienano voti. I toni tribunizi carezzano le illusioni popolaresche di una supremazia politica e sociale su altri gruppi. Una scaltra comunicazione propagandistica consegue la sua efficacia andandosi a combinare con l’ancestrale pregiudizio che i pericoli vengano da fuori, dai diversi in miseria, e che non il padre-padrone del capitale-despota si appropria del frutto del tuo lavoro, ma un altro paria come te, anzi più disgraziato di te.
È costui che mangia a ufo il tuo pane, vive nella “pacchia” del far niente, dell’avanzare richieste senza titoli di merito, mentre tu ti danni di fatica per avere il minimo. Tu sei cittadino, lui, no. Lingua, leggi, suolo, usi sono per noi.
I fatti recentissimi dicono in che cosa consiste il bengodi!
Così il detto “prima noi, prima gli italiani” diventa cristiano abbastanza per solleticare, coi bisogni compressi e politicamente inevasi,  il rifiuto dell’altro. Così incrementata, la litigiosità sociale porta buono all’autocrate o al gruppo di potere, perché lo esclude dalla contesa come terzo neutro, lo erge a giudice di eversori veri o presunti, amicandosene alcuni, stigmatizzandone altri, specialmente stranieri poveri o italiani di ultima classe come i Rom e i Gitani, per i quali resta in serbo la soluzione “ruspa”. Come non vergognarsi di certi atteggiamenti!
Il M5S ha una teoria politica ideologica che nega di avere, ed è quella sopra accennata, che trova fondamento nel popolo sovrano, considerato come unità indistinta sulla cui sovranità si conciliano o si possono conciliare tutti gli interessi nazionali. Ciò che poi risulta fuorviante in quanto la parola popolo è concettualmente ambigua, non meno della parola “gente”. Tuttavia bisogna dare atto al M5S di aver coraggiosamente accettato la sfida che la realtà politica dell’Italia gli ha posto davanti.
Le primissime esplorazioni dell’iniziatore del M5S, Beppe Grillo, contenevano diverse considerazioni di critica economico-sociale estrapolate dalla critica marxiana al sistema capitalistico: quella teoria critica, che era stata frettolosamente buttata via, con l’acqua sporca del Diamat staliniano insieme con le macerie del muro di Berlino, dai suoi epigoni e giovani colonnelli dello stesso PCI in sgretolamento; i quali confluirono  in ordine sparso nella strana fiumara raccogliticcia del Pds, poi DS e infine  PD che nulla seppe fare se non cedere il potere al paternalismo berlusconiano.
Ma l’urgenza di canalizzare un conflitto sociale che minacciava di degenerare,  faceva sì che si sorvolasse su poco comprensibili pregiudiziali ideologiche e ci si occupasse delle condizioni più diffuse ed evidenti, mettendo sul conto dell’allargamento della base sociale verso la critica politica non poche e ingenue semplificazioni.  A un’analisi scientifica approfondita   (che avrebbe richiesto una precisa scelta di campo da parte degli intellettuali, i quali invece erano entrati in massa a sostenere l’establishment, già fortemente compromesso in faccende giudiziarie e criticato da diverse inchieste giornalistiche) è andato sostituendosi un più vago assunto etico: il cittadino escluso dalle tutele dell’establishment è più vicino alla verità dei fatti, in quanto ne vive direttamente le conseguenze, è per la sua stessa condizione marginale, lontano dai giochi di potere, dunque è in linea generale onesto, ha un interesse diretto a partecipare al controllo delle scelte politiche sulla base di un’etica della legalità e della trasparenza.
Si torna all’idea piuttosto semplicistica che la così detta società civile sia “per natura” migliore dei suoi rappresentanti politici. Il riferimento a Rousseau mette a fondamento la natura presunta “schietta” del nuovo Emilio. Il suo autore prerivoluzionario, nell’ansia di salvarlo dall’afflato corruttivo della società vigente, lo deve isolare e quasi forgiarlo pezzo a pezzo: ma il risultato è un mite beota. Senza saperlo, Rousseau preconizzava la svolta tutt’altro che indolore della Rivoluzione del 1789 e di quelle borghesi seguenti che, come dovrebbe essere noto, aprivano la strada al capitalismo già  scalpitante nell’Inghilterra del 1760.
Per tornare all’attualità, abbiamo dovuto divenire consapevoli, nell’esplosione continua dei fatti, che la società civile rispecchia ed è rispecchiata dai suoi governanti. Che quindi il sistema va cambiato nei suoi fondamenti, ciò che in condizione di globalizzazione (internazionalizzazione dei sistemi malavitosi quasi in contiguità con i meccanismi così detti normali) non può essere operato efficacemente in ambito nazionale.
Occorre una Morale politica consapevole, non moralistica, e in continuo confronto con i meccanismi che presiedono alle ricadute sociali dei modi del potere economico e del potere ideologico nazionale e sovranazionale, i quali si combinano dando adito alla creazione granitica del senso comune corrente, indolente all’esercizio critico.
Forse il gruppo dirigente dei pentastellati sta imparando sul campo, e certo con batticuore e fatica, la tentacolare complessità, mettendo in campo una buona dose di volontarismo per resistere, non sempre efficacemente, alla deriva sovranista etnocentrica di Salvini. E perciò, forse senza raccontarselo, nella concitazione del decidere, operare e tentare di mediare,  va a scuola di leninismo, o dovrebbe - come giustamente osservò tempo fa Buttafuoco. Sospetto che circola e infiamma polemicamente competitori e avversari.
Ragione per cui il M5S dovrebbe costruirsi il nerbo teorico che gli consenta di resistere alla chimera dall’elettoralismo, malattia endemica della compagine democratica e dell’attuale partnership, e di servirsi  anche delle raffinatezze pedagogiche accessibili sul campo e renderle disponibili  per la ri-organizzazione culturale del Paese.
Che dire del PD?
Il PD ha vissuto indebitamente della fiducia dell’elettorato, acquisita nel periodo berlingueriano poi basculante su ideologismi da signore, pacioso, educato e distratto. Molta parte dei suoi iscritti ed elettori avevano nei suoi confronti un atteggiamento fideistico. Nonostante che il PD sia il prodotto della confluenza di spezzoni di formazioni politiche decotte, il nerbo della militanza di base rimaneva costituito dai comunisti e dai giovani della FGCI. E costoro, dopo la Bolognina e ancora dopo con L’Ulivo prodiano, erano ancora convinti che si fosse giunti sulla soglia dell’instaurazione di un socialismo democratico capace di mettere in piedi una graduale pacifica ripartizione delle ricchezze prodotte a beneficio delle classi lavoratrici più disagiate. Ma un sistema non muta per pelosissime concessioni parziali e divisive. In realtà il gruppo dirigente  si spostava ideologicamente verso le politiche liberiste, verso una concertazione sindacale sempre più disarticolata, verso lo spostamento delle risorse dal campo umano a quello del capitale.
Malgrado l’ansia e i dubbi che il dualismo attuale può suscitare, la dialettica sta all’opera nei fatti, tanto che persino un Marcucci può illudersi di gestirla con lo stile di pensiero che gli è proprio, e fa il paio con le uscite elettorali del Cav.
Che scuole di pensiero!
E adesso che i buoi sono usciti dal chiuso, forse i filosofi scriveranno e vorranno gestire LA NUOVA REPUBBLICA.   

















Pds = part.democ. della sinistra
D S = democratici di sinistra ingresso della Margheritta
PD = esclusione della sinistra
    



[1]Rammento l’osservazione di P. Buttafuoco, se non sbaglio  in prossimità delle elezioni politiche, con cui sollecitava, certo ironicamente, il M5S a continuare a prendere lezioni di leninismo.