giovedì 3 novembre 2016

IN MEMORIA DI ERACLIO NATERI di QUARTUCCIU una sua poesia

Ho letto il solco roso dal tempo


Ho  letto il solco roso dal tempo,
inciso nel calcare sbiancato.
Denti calcinati dal sole
Nella gengiva rossa della dolina.

A stento ho trovato la trincea dei razzi,
più col ricordo e l’ansia
che con gli occhi.

I cespugli, le foglie, il bosco
quasi a nascondere la terra,
fradicia ancora di umori di morte,
tutto ricopre con pudore
la stanca ripetitività del tempo.

E ti ho visto”Cippo Brigata Sassari”
labile segno di pietra
per l’urlo disperato,
il rimpianto per i campidani
rossi di papaveri
e la pecora al pascolo;
e il corpo straziato rivolto alla roccia
a concimare il nulla:
quello di ieri,
quello di oggi.

E io tutti li ho visti … i riversi …
tutti li ho li ho riconosciuti,
 non mancava nessuno.

Ma il singhiozzo ha interrotto
Il silenzio dell’anima…
e lento saliva sul Carso

un volo di gabbiani.

di Eraclio Nateri

Questa e altre poesie di E. Nateri, sono state lette dai poeti dell'Associazione Impari po imparai, dopo l'introduzione commemorativa del Suo Presidente Angelo Spiga e l'intervento di Andrea Nateri, figlio e poeta.
Accludo qui una mia nota

Questa poesia così intensa e forte indurrebbe a credere che il Poeta fosse un reduce. 
No; e lo scrive a chiare lette là dove dice “ho letto”.
Che cosa legge? Un cippo, un cippo così poco significativo rispetto a una terra ancora fradicia di “umori di morte”e a una testimonianza umana così povera di viva ed efficace memoria .
E perché, pur leggendo, cioè riprendendo atto di fatti non vissuti in prima persona, si avverte lo stesso strazio e quella stessa rabbia che i “riversi”, tutti presenti nella morte violenta delle battaglie avrebbero manifestato se avessero intuito l’inutilità del loro sacrificio.
E qui non si può non notare la discreta citazione del poeta – soldato e reduce Ungaretti.
Questa poesia mi chiama a una vicinanza col sentimento del poeta, e m’induce a dire -io con lui – noi.
Noi, di terza e quarta generazione post, ci siamo portati dietro un retaggio di ansie che ci continuano a spezzare l’anima tra voglia e paura di non poter più capire e archiviare, perché anche il voler capire e giudicare è doloroso, come se dovessimo entrare di nuovo con la carne viva dentro una maglia metallica già tessuta senza di noi; soffriamo tra desiderio e paura di ricadere in una falsa consolazione innocentista, non più possibile, viviamo sgomenti in quel nuovo ordine che scaldavamo luminosamente umano e che invece si rivolta in nuovi orrori in progressione.
 In questa poesia il poeta, e noi con lui,viviamo tutte le guerre della contemporaneità, specialmente quelle che incoronano di spine il nostro unico giorno,  che sono la cifra dell’ordine attuale e ripetono all’infinito il nostro scacco etico e politico.
Eraclio mi chiama in causa e mi scuote con questi versi che rifiutano il patriottismo di ricupero, ma sono una domanda inquieta: quando saremo umani in un modo diverso?
Bianca Mannu