lunedì 17 dicembre 2018

AL PAESE MIO - da Alluci scalzi - raccolta di versi di Bianca Mannu


Al paese mio

Al paese mio di tufo e d’arenaria
con la Repubblica crebbero
fra gli oleandri cremisi e rosati
le acacie straniere
acclimate in piccolo formato.

Stormivano  le lunghe estati
nel piazzale – le flebili ombre
come di merletto
sul lastricato favoloso
che solerti operai repubblicani
avevano piazzato
sul vecchio sterrato reazionario.

Serbato il bronzo di vedetta –
il reliquario-
ma rimossi gli obici
che gli stavano intorno -
perse quell’aria
di lutto e di minaccia.

Rimasto al centro e sul fusto -
il milite oscillava indeciso
se insistere a scrutare l’orizzonte
o stramazzare sopra l’imbelle baionetta.

Alla lista della Prima
fu aggiunta
quella  non breve dell’Ultima -
così detta e ribadita
per eccesso di scaramanzia.

La domenicale compagnia
dei ragazzini -
quella designata a tenere
il filo del ricordo –
aveva slittamenti di memoria
scivolava sulle connessioni
della piazza e dell’erma
con la storia.

Non voleva saperne
di terre contese
di sangue e di croci
d’ignominiosi incroci
e neppure avvertiva discosto -
da un mondo d’alieni terrestri -
d’armi più nuove
il ferale rimbombo …

Intorno al monumento –
ignaro e felice -
il nugolo dei mocciosi
si limitava a farci il girotondo.


Così Carlo Onnis nella nota introduttiva al volume. (stralci)

“Alluci” allude ai piedi  che rappresentano il punto di contatto diretto tra il nostro essere corpo  e la natura di cui siamo parte e in cui siamo immersi. “Alluci” è anche l’esca lessicale che attira e afferra lembi di memoria ancora informi e comincia a significarli. Se anche “scalzi”, diventano preciso riferimento alla sensibilità percettiva ed emozionale dell’essere umano, la quale indica e introduce subito la dimensione specifica delle esperienze aurorali, quelle dell’infanzia.

Tutti i componimenti della raccolta sono abbracciati vigorosamente a quella memoria attiva e particolare. Essa consente di conservare e rendere visivamente percettibile e istantanea l’attualità (consegnata al presente indicativo dei verbi) di quell’ antico vivere  e anche di combinarla costantemente con l’attuale matura dimensione esperienziale. 
Postilla In questo testo la bambina che ero viene suscitata con la comitiva dei coetanei, quasi a incosciente contrasto con i reperti, l'erma e le stele del fusto eretti a memoria. Ma si chiude con la critica non troppo velata alla scuola e alla stampa, complici della naturale ignoranza dei giovani. (B.M.)


domenica 9 dicembre 2018

Erma - in Tra fori di senso - Bianca Mannu

Erma



Come un’erma bifronte
 fai già parte del mito

- de materializzato

E qui dove io sto – qui tu compari
senza restare – qui - dove a dirotto piove
Qui il mare è solo un fiume grigio
Su questa traccia oppressa dalle nuvole
-simili a scarabocchi mobili-
uccelli di palude cercano il vento
tra i rari singulti della pioggia

Taluni miei pensieri
e certe immagini tue
si tengono per mano
senza volersi bene

Attraversano la mia abitudine
- oggi così sapida di fango -
da passeggeri ordinari
serrati
nei loro vestimenti scoloriti
per l’uso e l’abuso della mala ora
Scontano in spettrale pacatezza
la condanna per frode alla vita

Né fremono ai soprassalti d’acqua
sulla capote dell’auto parcheggiata

Come un guscio questa mi contiene
e chiude anche me nel qui stralunato
- rastremato in una quiete artificiale.

Me che niente aspetto - se non che spiova
e si plachi - nella ripresa del fare -
questa proiezione di ghiribizzi
e irragionevoli memorie di te -
che si spiaccicano e si deformano
fluendo - con le gocce - sul parabrise.

E qui
- davanti al mio sguardo erratico -
raccolte in rivi gonfi di mestizia
scivolano
come se l’acqua infetta
dei ricordi potesse  tramutarsi
in pianto irrefrenabile e puro

Un gelido umidore trapassa
con uno scatto - invece - le lamiere …

Ma io sto già
dove il sereno irrompe.

Talora il vissuto ritorna come un rimorso. 

giovedì 29 novembre 2018

Pagine letterarie: Alieno

Pagine letterarie: Alieno: L’altro, che riempie lo spazio di un’assenza incontenibile di Bianca Mannu Di colpo. Come una traccia opaca nel flusso aurifero...

sabato 24 novembre 2018

Il verso alla solita storia - inedita di Bianca Mannu


Nota - Basta piangere o arrabbiarsi per l'ultimo bollettino di guerra sull'ultimo atto della tragedia femminile. Bisogna mettere a fuoco la costruzione psicologica e sociale che il patriarcato ancora imperante pratica sulle donne prima ancora che siano in culla. È il dispositivo del senso di sé che nell'umana femmina viene fabbricato ad hoc per garantire alla statuita preminenza intellettuale, sociale, teoretica, religiosa, estetica  dell'elemento maschile, col disegno nascosto di perpetuare il proprio potere e il controllo dei meccanismi sociali tramite le immagini dispari che ce ne facciamo, ma con l'aggiunta degli ostacoli oggettivi (proibizioni, esclusioni, ecc.)messi in atto in forma sistemica (cioè anonima, la quale gabella come naturale, congenito ciò che è un risultato sociale e storico) con l'alibi della protezione, della femminile minorità costitutiva e quant'altro

. Questa composizione, più ironica che "poetica", vuole ricordare a noi stesse, non il passato, ma quel presente sottotraccia che, come una scheda perforata, continua riprodurre atteggiamenti ancestrali a noi stesse invisibili. 
Ringrazio il sito su Google  che mi ha consentito l'uso delle immagini qui riprodotte.



 

Il verso alla solita storia 


Che cos’altro ti pare
rimanga da fare
per noi figlie sempre obbedienti
al femminino perentorio
fabbricato all’esterno
indi importato come  legge
del paterno romitorio.

Blandite e compresse – ci siamo
nell’ombra scaltrite
a sbirciare il fuori proibito
a decifrare di quello larvate lusinghe
impostate con fare furtivo
tra  usci  e persiane a posta dischiusi
per obblighi certi e sospettati usi
da parte di baldi e ribaldi signori
(brame da lupi sotto i mantelli)
già fideiussori per divino decreto
di fragili donne senza concetto.

Che cos’ altro resta da fare
a noi donne di poche letture
a noi segnate da mute sciagure
abbandonate nel tardo meriggio
piangenti e insonni sul gelido talamo
da galantuomini di dubbio lignaggio?


Che cos’ altro resta da fare
nell’abbuiato vuoto del calamo  
se non tuttavia sospirare
temerari innamoramenti
o pure – a consolo - rivisitare
immaginari  amorosi colloqui
rimasti a mezzo –
materia d’accorati soliloqui ?
                 
Che cos’altro ci resta da fare
se non registrare il turpe viraggio
del reo tempo sugli occhi e sul viso
dove avvizzisce l’antico sorriso?

Che cos’altro resta da fare
dopo l’amore  voltato in dovere
dopo i bambini da partorire
dopo le pappe da confezionare
dopo le febbri da curare
appresso agli infanti da sorvegliare
agli scolari con cui compitare
e alla morale da impartire –
insostituibile vicaria fedele
dell’ostinata griffa patriarcale?

Resta forse un pezzo di vita:
esser presenti al finale di partita.
Avendo vissuto – o donna oscura -
l’altrui vita per procura
da protagonista or puoi recitare
il tuo atto unico di grande  bravura
 e ancor prima del tuo requie
disporre per altri funebri esequie.

Se sul finire del tuo tragitto
 ti resta un raggio d’intelletto
puoi tracciare un rigo netto
e segnare in verbo asciutto
d’avere fatto quasi tutto:
ma negli annali della Storia
di te ben poco resta in memoria.

Dicendoti donna fedele e modesta
la tua legge è rimasta questa:
in prima istanza la famiglia
con la carriera del marito
fonte di grano concupito.
Il matrimonio della figlia
è una meta e l’occasione
di alzare l’asta della magione.
La politica e la burocrazia
son per il pargolo la giusta via.

Facesti sine dolo professione
di un impiego senza passione:
importante era la babypensione.
Se tutto questo non s’è realizzato
se da pulzella hai veleggiato
puoi trasporre in liberi versi
gli amori ardenti dei giorni persi

Ma quivi giunta forse la vita
ti regala stizzoso un prurito
di celebrarti con lo scritto
poiché bazzicasti a lungo la scuola
e sai compitare qualche parola

Lo scritto in versi l’avevi nel sangue
il tema è pronto e da tempo langue
nel tuo diario dove – ibernato -
giace il tuo cuore innamorato.

Innamorato e di nuovo  fremente
per quel giovane avvenente
che  imperversò nella tua vita
lasciandoti sola e impoverita.
Se ancora vivo e con l’aterosclerosi
non può godersi l’apoteosi.


martedì 20 novembre 2018

INCOMPIUTA - Quot dies (poesie) Bianca Mannu



Ci sono me
come chiodi aguzzi.
S’insinuano
tra pelle e pelle  ….            e l’offesa sopravvive,
                                                           sopravvive alla durata.
Ci sono me
già iridescenti.
Sgranano sfere
di molle opacità:
me conchiusi, …                 cuscinetti per spilli,
                                                           senza germe di futuro.
Ci sono me,
ponti di filigrana
rampanti verso …
… sponde sognate :                                   tenui contorni
                                                           in dissolvenza.
Ci sono me;
neri tralicci,
irti, svettanti: …….                        irrisione incompiuta
                                                           alla fragilità del tempo.
Scarnificanti me
inastati         ……….           alle garitte del cuore
e me stillanti          
vischiosa linfa                     di spazio liquefatto.

Me abortiti
che      …….                                      l’insonne notte
                                                           ha raggelato e roso
                                                           in frammenti inutili.
Magmatici me
che      …….                                      insipienza d’alba
                                                           rapprende intorno
                                                           a occhiaie illividite.
Ma poi verrà
quel me ……….                              inenarrabile forma
                                                           di confitta certezza
                                                           nelle carni dell’alea.
Del suo compimento
narrerò …                                        in una prossima vita?
 




Nota- Le immagini sono opera di due artisti amici: L'incompiuta in alto (ovvero giorno e notte) è di Salvatore Piras. Foto in basso: ritratti (mostra del 2005) sono sculture di Liliana Corona. Ringrazio i due Autori. BM

domenica 4 novembre 2018

DA NONNA ANNETTA – romanzo di Bianca Mannu - dal cap.XIV - Ricordi di guerra


Ricuperato l’ultimo salario di “aiuto meccanico” nell’officina mineraria di Montopinosu, dove era tornato a lavorare dopo la smobilitazione, Alfano s’imbarcò come passeggero di terza classe su una vecchia nave a vapore in rotta per Napoli. 

La camerata di terza puzzava quasi come quella tradotta militare che arrivava dal fronte alle retrovie, quando lui era soldato. E così si ritrovò in quei paraggi, in un tempo che all’istante assumeva persino una maggiore concretezza del presente.
1916: chiamato alle armi allorché suo fratello maggiore Pietro compiva già un anno di permanenza sulla linea del fronte. Egli, invece, era stato destinato ad espletare il servizio - temporaneamente - come armaiolo nelle officine di riparazione dell’esercito, nelle retrovie. Naturalmente si era rallegrato. Però a ogni quindicina si aspettava di essere inviato a fare il proprio turno in trincea. Niente. Lo lasciavano a fare il soldato meccanico e ad attendere col fiato sospeso il peggio. Il peggio restava sensibile e imminente a qualche decina di chilometri. Lontano e vicinissimo il fronte incombeva: i bengala, i cannoneggiamenti, l’incessante crepitio delle mitraglie, gli srapnels, gli incomprensibili silenzi, lo stillicidio delle notizie, i reduci dell’ultimo turno … Senza poter scampare ogni volta a uno sconvolgimento momentaneo dei visceri.
Il peggio era là tra il fango e la roccia, dove suo fratello Pietro lasciava incompiuta l’ultima sua corsa al lume della baionetta … Là dove, praticamente imberbe, sopraggiungeva, terzo della famiglia e tardo irredentista, Valerio.
Va’, imbecille. Così impari!” aveva esclamato mentalmente Alfano immaginando una discussione impossibile. E s’era chiuso nella pellegrina, rigido e cupo per il suo turno di guardia.
Il freddo del primo autunno irrigidiva i piedi dentro le scarpe bullonate, d’un cuoio sospetto. 
Lui non si rallegrava, ma neppure sputava in faccia alla propria sorte. Ascoltava il sordo tambureggiare della notte.
Al campo erano entrate in circolazione voci che i tedeschi stavano facendo come i russi l’anno avanti. Ma adesso la notizia tornava comoda.
I Comandi pompavano per una grande offensiva. La guerra sembrava non voler finire mai. Non se ne poteva più!
La notizia dell’armistizio giunse quasi di colpo. Chi non se ne sarebbe rallegrato? Ma l’esultanza di Alfano s’era subito rintuzzata, perché un dispaccio lo aveva informato che suo fratello Valerio, si stava spegnendo per un’infezione di tifo petecchiale nell’ospedale militare di Vicenza. E allora Alfano, in attesa della smobilitazione, aveva chiesto e ottenuto licenza per andare a visitarlo.
Il treno era pieno di soldati. Alcuni facevano capannello: parlavano del ritorno e degli eventi politici, altri cantavano, altri ancora raccontavano storielle salaci, ridevano rumorosamente incrociando battute nei dialetti più diversi. Altri, persi in un sonno duro, s’ abbandonavano agli scotimenti del treno come sacchi semivuoti. Lui aveva la gola secca e si sforzava di non pensare.
Adesso invece ricordava e pensava, sorreggendosi al parapetto del ponte di coperta del vecchio Partenope. E ogni momento che viveva gliene rammentava un altro, per analogia, per discordanza, per risveglio di un’impressione sensoriale perduta, di un’emozione sopita. 
Un pensiero ispessito - da adulto - che percorre e precorre tutte le direzioni del tempo e può contenere tutti gli spazi concepibili. E poiché certi orrori la vita glieli aveva risparmiati, si sentiva adulto, quale in effetti era, ma integro, e perciò libero di sostenere il proprio sguardo interiore senza provare raccapriccio, ma sapendo che l’eventuale incontro con l’orrore lo riguardava comunque, in quanto uomo.
Eppure, ora che una concreta speranza e un ragionato entusiasmo sembravano sostenerlo verso un nuovo inizio, ebbe un sussulto di pessimismo. Come se ogni schiarita fosse niente più che il segnale d’una imminente perturbazione d’imprecisabile entità. Che cosa attendersi? Da se stesso? Dal caso? Dal mondo?
Dalla Russia e dalla Germania continuavano a giungere notizie di grandi sommovimenti sociali che spingevano verso cambiamenti inediti. Avvertiva che tutto ciò, in qualche modo mediato, lo coinvolgeva. E, a giudicare dall’Italia, l’orizzonte s’approssimava ambiguo e turbato.
Ripercorrendo nel ricordo il tunnel delle interminabili notti trascorse al capezzale del fratello, a Vicenza, rivide - quasi riaffiorasse dagli abissi del mare - l’inconfondibile palpito di quegli occhi semivuoti nel riacchiappare al volo la vita. Così aveva capito che Valerio sarebbe vissuto. E in quella, la vecchia rabbia rimastagli pietrificata nel cuore per la morte del fratello Pietro (“inutile eroe” della presa della Bainsizza) si era sciolta di colpo in un pianto irrefrenabile.
“Il peggio, benché non abbia un fine, ha tuttavia una fine!” si disse, e si ripensò nell’atto di sorreggere il corpo emaciato di un Valerio redivivo mentre scendevano la scaletta d’uno sgangherato piroscafo che riconduceva i reduci sardi dalla penisola al porto di Cagliari. Era quasi Natale e l’odore dei corpi nella camerata strapiena assomigliava terribilmente a quell’altro. Però si tornava a casa!
Erano trascorsi quasi tre anni, da allora. Valerio non era più irredentista e neppure “ardito”. E con Alfano aveva preso a ragionare su quelle poche oscure notizie dei sovieti e delle rivoluzioni finite male. Partito Alfano, si sarebbe sentito un po’ perso. Avrebbe sposato quella testolina vana di Zita, sorella di Cristoforo, avrebbe lavorato in falegnameria e una sera su due sarebbe andato in casino a farsi una prostituta, a ubriacarsi e a parlar male dei fascisti arroganti.
“Si caccerà nella bocca del lupo e le buscherà” rifletté Alfano, pensando al modo con cui montavano la rabbia e l’aggressività fra le fazioni, anche in Sardegna. Ma il pensiero aveva un’aria fastidiosa e lo cacciò. “È mai possibile che le vecchie bagnarole non siano mai poste in disarmo?” si raccontò volubilmente affacciandosi sottocoperta. Questa volta risalì precipitosamente sul ponte, quasi rallegrandosi della propria ventura e acconciandosi a passare la notte col naso al vento, intanto che con l’alba spuntasse il profilo del Vesuvio. Solo che il mare divenne grosso e il viaggio si  protrasse di due interminabili giorni. Il bastimento cigolava e cigolava come una vecchia carrucola ai colpi di maretta. L’umidità e il vento gelavano il corpo dentro i panni che s’irrigidivano. Pertanto si era dovuto rassegnare alla camerata.
 
Nota - A parte i nomi di fantasia, i ricordi sono quelli autentici che mio padre - reduce della Grande Guerra e operaio metalmeccanico, migrante dalla Sardegna verso i centri industriali del continente, (da Napoli a Genova a Torino) - narrava a noi figlie curiose ... 
Anni 1920-30: l'Italia diventava fascista,  lui, no. Anzi,  sospettato dagli scherani locali 
Ammalatosi e impedito di lavorare, fu costretto a tornare in Sardegna e spendere in un colpo solo tutti i risparmi per curare una pleurite che lo stava uccidendo. Palesò la sua fede antifascista e abbandonò perciò il lavoro presso le industrie fascisticizzate.(B. M.)

giovedì 18 ottobre 2018

Niente! - inedita di Bianca Mannu


Niente!
 
La mia notte dimentica del giorno
mi scioglie dalla vita
mi emancipa in un niente …
beota

Crepitii d’ossa – la cieca rivolta
del corpo alla ruggine dei giunti –
mi scaraventano intera
in un grigiore d’alba

Niente da ricordare
che fosse moto o  fissità
o spessore o indizio
di speranza: notturno d’assenze …

Così morta che il sogno – un segno
dell’umano o simbolo di senso -
non pare aver più germe
o asilo  in questa plaga

E nulla – proprio più nulla
dalla trista consecutio - come appiglio
o guado o qualsivoglia seme di salute
sporge all’irto giorno


Irto della sua vuota luce
si fa del disumanare cosmo:
uomini-criceto in corsa per la dose
dentro un labirinto che
inghiotte la voglia di domande.


Noticina - Non è "M'illumino  d'immenso", ma è tuttavia ciò che ho potuto formulare a Ermes durante la sua ultima visita. Perfida come sono, ho studiato il modo di manifestargli ciò che il mio vecchio sguardo spicca nel tramonto del giorno.(b. m.)
 


domenica 7 ottobre 2018

Tracce - da TRA FORI DI SENSO - versi di Bianca Mannu



Nota - La condizione Kafkiana - l'essere spinti ai margini o fuori dall'umano senza colpe e senza averlo scelto... Essere e sentirsi tabù rispetto al gruppo familiare o sociale.
"Sorvegliare e punire"(sto citando il titolo di un'opera di M. Foucault)  è un'attività storico-sociale che instaura pratiche per corrispondere - si dice - a un bisogno di protezione collettiva. Ma  finisce per costruire grate e catene anche, e sopra tutto, nel nostro spirito. Grate e catene più rigide e compatte del ferro, fatte di genere sessuale, di pelle, di ruoli sociali imposti e contemporaneamente sprezzati e segregati ... 
E perciò conosciamo paura, infelicità, aggressività che monta silenziosa dentro di noi.
Ho introdotto un mio neologismo: ingusciare, ingusciarsi= rientrare nel guscio.(B. M.)




Tracce

Un grumo di gelatina- un proteo
forse?-
attaccato alla falda smagrita della notte -
che s’inguscia
come un ladro colto di sorpresa
nelle asole del suolo -
scivola
verso il crinale cadaverico dell’alba


Un quasi me raccolto a pugno
sull’orlo dell’abisso
tutto da vivere – anche oggi -
con le ciglia secche

Quando la luce -
il sole abita un universo alieno -
oscilla tremando

… Quando la luce avrà  dissolto
l’insano indugio del sonno
la mia diurna voglia di morte
s’arrampicherà
fino alla coscienza
per biascicare le sue tracce
su un foglio -
come bava d’insetto
o di lumaca.


lunedì 1 ottobre 2018

Tra imbidia e imbidia - versione logudorese (di Tra invidia e invidia) di Antonio Altana


S’imbidia! La imbicas in totu e 
in donzi logu o in duos assumancu 
umanos de deghentzia chena nue

chi chin su tertzu si medin su bancu 
de zuighes o istrinas de meritu
chi atichende in liga e a isfrancu

sa cumbalida mirat cun diritu
e reduet s’umana variedade
a un’esser ebbia pro su profitu.

Imbisitat piatas de tzitade
chi de s’umana corza sun bidriera…
e in caminos a rughe at calidade

de si fagher in bator cun manera
de restare intrea mudende grados
e irrajende simbulos-bandera

de chie passat procurende ifados
cun frascia aspra a ranchidore sicu
de s’ungia in s’oju de malefadados. 

Prite s’imbidia in cuadu imbicu
ponet grae in donzunu disaura
e tra coro e cherveddos a isticu

carculat s’impossibile mesura
de canta ausentzia presunta
o bera de sa cosa chi procura’

forrojende in su coro a lama unta
calancos de mancantzia criados
pro prenare ebbia chin un’agiunta

de montes altos de benes bramados
e a similes suos atribuidu
e mantessi da isse imbidiados

e in cuss’unu si sentit avilidu
brivu de tale bene e disgrasciadu.
Gai -sende segreta- no ant olvidu

e restat bia che marcu no cuadu
e in presse mandada a frisu anzenu
chi dat anneu a su benefitzadu

pro timore chi ungias de velenu
lu lassent chena gradu e acunortu.
Cheret finas si a bortas mirat prenu

sugetu in forma d’astiu ch’at raportu
cun sa musca caddina cussizera
de ruinas ebbia e iscunfortu…

Deo puru de viscios in passera
apo che totu -males in refrega-
e s’ispessia de imbidia mi dispera’

prite campat e bivet a sa tzega 
in cussu chi possedit intestadu.
A onzunu chi colpat brivat mega

de abbertire ateru siddadu
e iscoberrer sensu generale:
bisiones de anneu at allatadu

e ca l’ impreat sempre pro su male
bi crebat isse puru in su velenu.
Fort’est s’imbidia, forsis geniale

adata a diferente repienu 
cun massa manna de cunformidade
capatze ‘e separare pessu e alenu

de dissignu, e bilantza e poi chircade
chi a nemos naigantes de sa bida
su culu in sa sentina li parade

o li benzat trucada sa partida.
Omine sia che “Omina” chepare
e donzunu in propria resessida

apat sos bantos e su giustu altare

cantu diligas isperimentadas
sas pecas innossentes d’ammentare.

Ateru narrer lasso tra siccadas
de istrinadu istòigu moralismu
bisende sas sofias comunadas.
                       Antoni Altana
Nota - Trovo una corrispondenza di sensibilità e di intenti davvero sorprendente e, in soprammercato, una tensione metrica e sonora che solo il profondo e colto possesso delle due lingue (sardo-logudorese e italiano) può consentire. La pubblico sul post, a mio onore e a suo merito, per tutti i sardi che sanno ben valutare i poeti che hanno abbandonato i musei per vivere col verso il senso e la parola dei vivi,
 Antonio Altana, hai la mia più sincera e convinta ammirazione! (B. M.)