sabato 24 novembre 2018

Il verso alla solita storia - inedita di Bianca Mannu


Nota - Basta piangere o arrabbiarsi per l'ultimo bollettino di guerra sull'ultimo atto della tragedia femminile. Bisogna mettere a fuoco la costruzione psicologica e sociale che il patriarcato ancora imperante pratica sulle donne prima ancora che siano in culla. È il dispositivo del senso di sé che nell'umana femmina viene fabbricato ad hoc per garantire alla statuita preminenza intellettuale, sociale, teoretica, religiosa, estetica  dell'elemento maschile, col disegno nascosto di perpetuare il proprio potere e il controllo dei meccanismi sociali tramite le immagini dispari che ce ne facciamo, ma con l'aggiunta degli ostacoli oggettivi (proibizioni, esclusioni, ecc.)messi in atto in forma sistemica (cioè anonima, la quale gabella come naturale, congenito ciò che è un risultato sociale e storico) con l'alibi della protezione, della femminile minorità costitutiva e quant'altro

. Questa composizione, più ironica che "poetica", vuole ricordare a noi stesse, non il passato, ma quel presente sottotraccia che, come una scheda perforata, continua riprodurre atteggiamenti ancestrali a noi stesse invisibili. 
Ringrazio il sito su Google  che mi ha consentito l'uso delle immagini qui riprodotte.



 

Il verso alla solita storia 


Che cos’altro ti pare
rimanga da fare
per noi figlie sempre obbedienti
al femminino perentorio
fabbricato all’esterno
indi importato come  legge
del paterno romitorio.

Blandite e compresse – ci siamo
nell’ombra scaltrite
a sbirciare il fuori proibito
a decifrare di quello larvate lusinghe
impostate con fare furtivo
tra  usci  e persiane a posta dischiusi
per obblighi certi e sospettati usi
da parte di baldi e ribaldi signori
(brame da lupi sotto i mantelli)
già fideiussori per divino decreto
di fragili donne senza concetto.

Che cos’ altro resta da fare
a noi donne di poche letture
a noi segnate da mute sciagure
abbandonate nel tardo meriggio
piangenti e insonni sul gelido talamo
da galantuomini di dubbio lignaggio?


Che cos’ altro resta da fare
nell’abbuiato vuoto del calamo  
se non tuttavia sospirare
temerari innamoramenti
o pure – a consolo - rivisitare
immaginari  amorosi colloqui
rimasti a mezzo –
materia d’accorati soliloqui ?
                 
Che cos’altro ci resta da fare
se non registrare il turpe viraggio
del reo tempo sugli occhi e sul viso
dove avvizzisce l’antico sorriso?

Che cos’altro resta da fare
dopo l’amore  voltato in dovere
dopo i bambini da partorire
dopo le pappe da confezionare
dopo le febbri da curare
appresso agli infanti da sorvegliare
agli scolari con cui compitare
e alla morale da impartire –
insostituibile vicaria fedele
dell’ostinata griffa patriarcale?

Resta forse un pezzo di vita:
esser presenti al finale di partita.
Avendo vissuto – o donna oscura -
l’altrui vita per procura
da protagonista or puoi recitare
il tuo atto unico di grande  bravura
 e ancor prima del tuo requie
disporre per altri funebri esequie.

Se sul finire del tuo tragitto
 ti resta un raggio d’intelletto
puoi tracciare un rigo netto
e segnare in verbo asciutto
d’avere fatto quasi tutto:
ma negli annali della Storia
di te ben poco resta in memoria.

Dicendoti donna fedele e modesta
la tua legge è rimasta questa:
in prima istanza la famiglia
con la carriera del marito
fonte di grano concupito.
Il matrimonio della figlia
è una meta e l’occasione
di alzare l’asta della magione.
La politica e la burocrazia
son per il pargolo la giusta via.

Facesti sine dolo professione
di un impiego senza passione:
importante era la babypensione.
Se tutto questo non s’è realizzato
se da pulzella hai veleggiato
puoi trasporre in liberi versi
gli amori ardenti dei giorni persi

Ma quivi giunta forse la vita
ti regala stizzoso un prurito
di celebrarti con lo scritto
poiché bazzicasti a lungo la scuola
e sai compitare qualche parola

Lo scritto in versi l’avevi nel sangue
il tema è pronto e da tempo langue
nel tuo diario dove – ibernato -
giace il tuo cuore innamorato.

Innamorato e di nuovo  fremente
per quel giovane avvenente
che  imperversò nella tua vita
lasciandoti sola e impoverita.
Se ancora vivo e con l’aterosclerosi
non può godersi l’apoteosi.


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