domenica 17 giugno 2018

Giuseppa Sicura, sottovoce, tra i versi di VALENTINO TRINCAS


Io, le conosco queste sere

Io, le conosco queste sere.
Mi hanno già preso e ripreso.

Conosco questo tempo di torpore
del corpo
e rigidità dell'anima.

Dal colore cenerino,
profumo di sandalo,
chiassose e insieme mute.

Queste sere avvinghiate all'inverno,                                                        
con braccia conserte alla primavera.

Vi conosco sere da luna park
abbandonati,
da mani tese fuori nei negozi,
da pneumatici in fondo al mare.

Sere di parole senza vocali,
di abbracci senza mani,
di libri senza pagine.

Vi conosco.
E voi conoscete me.

Eppure non vi stancate,
stridule e vischiose,
unte, immobili.

Rachitiche ed esili,
aborti di questo tempo,
figlie di paure antiche.

                     Valentino Trincas







Edvard Munch - Malinconia (1894

Che dire di questa poesia? 

Una poesia scritta con la pelle e con la mente, che connettono al mondo esterno e lo scandagliano.
Sono bastate parole semplici, concatenate ad arte, aggettivi meditati ed ossimori, per trasmettere al lettore con concretezza fotografica (in un gioco d’immagini e personificazioni) sensazioni impalpabili e concetti astratti.  

La primavera tarda a venire e ci rituffa indietro nel tempo, deludendo le nostre aspettative; ci destabilizza. Ritornano le atmosfere invernali appena trascorse, ma non ancora archiviate, un passato ancora troppo prossimo per non sentirne le fitte.
Chi è meteoropatico riconosce subito quelle atmosfere tristi e malinconiche. Passa attraverso il corpo la malinconia e raggiunge presto l’anima e per alcuni poeti  è compagna assidua, un volto familiare.
C’è sintonia tra il poeta e “ queste sere”, affinità elettiva, come fossero attese e non subite. Sono il liquido amniotico, l’ambiente primigenio e ideale per l’autore, che lo riconosce come proprio e lì aspetta d’immergersi  ancora, lasciandosi prendere e riprendere e godendo anche, e soprattutto, di torpori, silenzi e solitudine.
Le situazioni evocate nei versi  sono momenti  vissuti che hanno lasciato impresse nell’anima immagini che faranno fatica a sbiadire, sia che trattasi della mano di un mendicante, del luna park  o di uno pneumatico finito in fondo al mare. Ѐ Il pensiero dell’abbandono che predomina in quelle immagini e ci coinvolge nell’approdo verso l’ineluttabile fine: fine dell’essere, ma fine anche della bellezza e della purezza, con tutto lo sconforto che vi si accompagna.
Nell’ultima strofe il poeta tenta un atto d’accusa verso il nostro tempo, che polverizzando i valori umani, ci condanna all’incomunicabilità; ma è quasi un punto interrogativo,  che subito dopo, nell’ultimo verso, trova forse la risposta giusta.
Non ci sono parole e gesti  che potrebbero confortarci, né libri che possano lenire o alleggerire fardelli  legati  a “paure antiche”, ormai talmente sedimentate nelle nostre viscere da fare un tutt’uno con noi, senza scampo, e noi in quell’insieme ci riconosciamo e, inconsciamente, tendiamo a ritornare.
Certi poeti (e Valentino è uno di loro)sono condannati alla malinconia e alla solitudine che, in alcuni momenti, con la complicità delle variazioni atmosferiche, si acutizzano. Riaffiorano i ricordi a marcare le assenze e lo sguardo verso il futuro si fa vago, incerto; la vita appare solo un cammino verso l’ignoto. Ma è in questi momenti che i poeti ci regalano versi indimenticabili, avvalorando quanto affermato da Aristotele e Marsilio Ficino, che al temperamento malinconico associavano profonda capacità riflessiva e genialità: pensiamo ad artisti come Van Gogh o De Chirico, a poeti come Leopardi o Baudelaire. Non di meno Rainer Maria Rilke, che elargendo consigli ai giovani poeti, raccomanda loro di non temere la malinconia, ma accoglierla e farne buon uso per affinare sensibilità e talento creativo.
Una forma di attrazione fatale lega l’artista alla malinconia ed anche il grande scrittore e poeta tedesco, Hermann Hesse, ce ne dà testimonianza negli ultimi versi di una sua poesia: inutili tutti i tentativi per sfuggire, ogni vagare è un viaggio che lo riporta a lei.


  Alla malinconia                                                                                                                                   
     
Nel vino e negli amici ti ho sfuggita,
poiché dei tuoi occhi cupi avevo orrore,
io figlio tuo infedele ti obliai
in braccia amanti, nell'onda del fragore.

Ma tu mi accompagnavi silenziosa,
eri nel vino ch'io bevvi sconsolato,
eri nell'ansia delle mie notti d'amore
perfino nello scherno con cui ti ho dileggiata.

Ora conforti tu le membra mie spossate,
hai accolto sul tuo grembo la mia testa
ora che dai miei viaggi son tornato:
giacché ogni mio vagare era un venire a te.
                                                         Hermann Hesse                   

                                                                                                                                                  GIUSEPPA SICURA      

Noticina di Bianca- Ben felice di ospitare; e grazie a entrambi per aver promosso questo istante di dialogo! Mi consentirò sommessamente un'ossevazione personale per dire come un testo poetico mobiliti energie immaginative differenti a seconda della persona che legge. Avendo letto prima di tutto la poesia, ho colto d'emblée il senso di un'assenza immane stagliarsi tra me (io e il poeta)e il mondo graffito di storia. Enumerandone i connotati, oscillo incerto/a se il senso di vuoto sia dato dalla mia accidia o da uno smarrimento generalizzato o dalle due cose insieme. Rimanendo all'escussione degli effetti, mando un quesito all'origine... Mi do una risposta tranquillizzante: sono aborti di concepimenti antichi. E qui sussulta di nuovo la mia irriducibile diffidenza mentale: il male non viene dal passato più di quanto non possa germinare e proliferare nel presente. È il presente che anima e rende efficaci gli spettri più arcaici e ne amplifica l'efficacia con la modernità tecnologica. Sbugiardando(parzialmente) Hesse, socializziamo la malinconia e facciamole partorire amori privi di possessività.(B.M.)