martedì 22 maggio 2018

IL GIOCO DELL'ESCLUSIONE DEL FEMMININO - Incontro con l'autore a CAGLIARI


Associazione culturale di Cagliari
IL MAESTR’ALE
nella cornice di un’attenta valorizzazione dell’attività e della produzione letteraria

presenta 

Incontro con l’autore:

Bianca Mannu
Poetessa
e
Maria Rosa Giannalia
relatrice

discuteranno sul tema:
Il gioco dell’esclusione nel femminino
attraverso l’opera poetica dell’autrice e la lettura di una scelta delle sue poesie


 Un filo rosso che percorre

sette opere poetiche 


Venerdì 25 Maggio

Ore 18.00

Sede di
IL MAESTRALE

via
S. Lucifero, 65

Cagliari




Ingresso libero











giovedì 10 maggio 2018

Per “La tirannia dell’istante” proposta da Giuseppa Sicura


“La tirannia dell’istante” 
declinata in versi



Sontuoso istante 
vestito di broccato
che trasformi in perla
la lacrima sfuggita
per aver dato al tempo
il tempo di scavare un solco.
Istante che basti a te stesso
alfa e omega legati
sopra i miei occhi chiusi
che rallentano il cuore.
Grano di tempo
verità e ricordo
che tutto contieni
che tutto svuoti
Mi consegni nuova a me stessa
Ogni volta.
                      Angela Argentino
                                Poesia inedita



Senza scettro e corona

Atomizzato si srotola
l’istante
come funambolo impazzito
frenetico fluttua
senza regole e ritmo
inseguendo clamori
e luccichio del nuovo

catapulta
dottrine e valori
ad ogni oscillazione di borsa
e adesca senza fatica
nella sua inane corsa
(dal canto del gallo
al declinare del sole)
adepti
dentro la rete
tra un self e un post
tra mille like nascosti
a scalare
grattacieli d’argilla
dove il senno è bandito
e la quiete…

raccatta omuncoli
miopi
ad ogni angolo
e incrocio di vie

senza scettro e corona
esercita impunito
la sua tirannia.
                               Giuseppa Sicura
                                          Poesia inedita
                           Dalla raccolta “Sbalzi si coscienza”


Lettera dal futuro

Confidammo al domani
l’involto degli auspici
 con la cauzione algebrica
allegata
Il domani diede forfait
si presentò istante
privo di credenziali
 con la pretesa
di durare un oggi intero
di essere nuovo
 di
 non riconoscere pendenze
di non
 fare appelli
segnare assenze
Gli inalberammo contro
nostre aspettative
Significò
senza articolare suono
«Fortuna vostra
d’aver varcato vivi
la mia bocca!»
Un boato - in quella -
ci sparò alto
poi ci abbatté sul suolo
Il cielo sopra noi
ardeva tutto in fiamme
Più che sospetto
ci trapassò certezza
d’essere giunti vicini 
al suo sfintere

                                           Bianca Mannu
                     Dalla silloge “Temporaneamente
                     in “Sulla gobba del tempo”
                     Ed. Grafica del Parteolla- Dolianova 2017


 In queste tre poesie il concetto di tempo viene percepito soprattutto nella sua manifestazione minima: l’istante. Nella prima appare come un granello, quasi impercettibile, eppure segna l’inizio e la fine della nostra esistenza e incide solchi indelebili in una continua successione di distruzione e trasformazione che ci consegna alla vita e a noi stessi sempre rinnovati: un piccolo gioiello di broccato! Una dipendenza dunque positiva e benevola agli occhi della nostra poetessa, ma alquanto subdola per i tanti che non riescono ad accettare, nel travagliato passaggio terrestre, metamorfosi imposte comunque incondizionatamente e senza appello.


Nella seconda invece si mette l’accento sul trascorrere troppo veloce dell’istante nella società odierna consumistica e miope, dove anche i valori più alti e radicati sono annullati. Una società travolta dai mercati nella frenetica corsa verso le illusioni materialistiche e dai nuovi social verso realtà virtuali ed effimere. Ogni sguardo al futuro è appannato dal godimento del tutto e subito che condanna l’umanità a subire la perenne soggiogazione tirannica dell’istante.

  
Nella terza lo sguardo al futuro appare comunque inutile perché la vita si presenta come un continuo susseguirsi di istanti, ognuno con le sue incertezze e le sue novità, senza fardelli. Ogni opposizione, rivendicando le nostre aspettative, è destinata a fallire e pertanto insignificante. Non ci resta  allora che ringraziare di essere almeno ancora vivi al sorgere del nuovo istante? E qui l’ironia velata della poetessa si palesa.  Altro che ringraziare: l’istante  si presenta sempre talmente faticoso e ingannevole che spesso preferiremmo non conoscerlo. In questi versi la tirannia  è ancora più totale e profonda, in quanto investe non le modalità del vivere ma la vita stessa nella sua essenzialità.  Vivere nel presente dell’istante appare  un obbligo, una pena da scontare, più che una conquista o soddisfazione.

Tre modi diversi di declinare un tema spesso al centro di riflessioni e dibattiti letterari e filosofici, nel passato e nel presente, qui affrontato in veste poetica  da ogni autore in modo singolare . Pur nella loro diversità di stile e pensiero e attraverso  considerazioni apparentemente lontane ed opposte credo che nella sostanza gli assunti, direttamente o non, convergano verso il medesimo punto. Nel primo testo, dietro un’apparente ottimismo si cela il rovescio della medaglia, quel profondo senso di demolizione che comunque è implicito nel rinnovamento continuo. Negli altri due la visione è più disincantata e lascia un sapore amaro, sia quando il tono si fa incisivo, sia quando è smorzato da qualche tocco d’ironia.

L’accostamento dei tre componimenti è avvenuto del tutto casualmente  alla lettura del primo, pubblicato su FB dall’amica poetessa Argentino, che ha fatto da stimolo alla mia curiosità, ha acceso la memoria di letture lontane nel tempo, ma soprattutto di quelle più recenti e mi ha portato ad operare la comparazione.

Galeotto fu il saggio di Hylland Eriksen “The tyranny of the moment” tradotto in italiano col titolo “ Tempo tiranno” Ed. Elèuthera  - Milano 2003

Giuseppa Sicura




































giovedì 3 maggio 2018

SENZA FONDAMENTO - Inedita di Bianca Mannu

Sulla forca del dubbio 
-che non mi salva e non mi assolve -
 la mia vita di carne
 il mio cuore di foglia
sono tuttora appesi
quasi che per destino
aria e vento
mi siano muri e pavimento
e il grembo e il seno – caldi - (perduto asilo
 provvisorio a filo di frontiera e mitico alimento) –
siano oggetti per il sogno
e il perenne ontologico scontento.
Non mi rassicura né mi spegne di netto  
quel sole - duplicato come vero
sul display della corteccia cerebrale -
che pende in senso ortogonale
sul manufatto del Fabbricante cieco
(discrimine oggettuale arcionato sull’assurdo)
vademecum “par provision y por necesidad”
in ordinari sopralluoghi e disamine insicure …

O mia povera anima analfabeta e credula
tutta contratta dal peso dei timori
sul fondo più opaco – più disprezzato e osceno!-
del mio scurissimo sfintere
sentenzioso oracolo di salute corporale
e inverecondo sintomo di tabe irrimediabile!   
  
Il pendere reale da un rampino virtuale
ratifica l’immanenza della dissoluzione
che certo mi risolve (fatale presente indicativo!)…
… in un culo di tempo mi risolve

me in un luogo apatico dissolve
in cui “la vita” (rappresentata in verbis)
per  decisione autogena
mi separa da sé
vel si divide da me
senza possibilità di
 reciproco rimpianto.   

venerdì 13 aprile 2018

PRIMA DELLA NOTTE - inedita di Bianca Mannu













         Prima della notte

Nuda d’ogni presagio
come dei panni al bagno
scivolo
sul tuo enigma
chiuso dentro una tastiera
che
mi torna e non mi torna
familiare.
Apre
ai tocchi
della mia mite indiscrezione
i solchi del respiro
quasi una luce
che si spanda e fugga
lasciandosi dietro
col sentore del gusto
la crisi dell’assenza
a patire in me per questo mare
che
di sé m’intride e m’avvelena
a prilli d’indicibile.
Se
 l’ebbrezza che asseconda il moto
deciderà
l’impatto come incontro
-né si sa chi con chi-
sopra il ciglio dell’onda
dentro l’occhio dell’istante
saremo forse
una
prima della notte.
 


Noticina- Luna e spini è una foto di un mio dipinto (acrilico su cartoncino nero) donato a mia sorella, Bruna che non c'è più. 

venerdì 6 aprile 2018

Un altro modo di aprire un libro di Maria Rosa Giannalia


Nota - Ecco siamo nella Sala degli Affreschi (ex convento dei Cappuccini a Quartu S. E. Ecco Maria Concetta Rosa Giannalia che introduce brevemente la silloge "Sulla gobba del tempo". Velocemente abbandona la pedana e seduta fra il pubblico, sollecita gli autori (Mariatina Biggio - Bianca Mannu - Carlo Onnis - Giuseppa Sicura) a dar conto, anche tramite lettura di alcuni testi della raccolta, del loro rapporto  con la poesia in generale, con la materia, il linguaggio, la cifra stilistica adottata nell'elaborare i loro scritti. Accludo il punto di vista di Maria Rosa sul tema Presentazione. (B. M.)





Penso che il modo più funzionale di presentare un autore e il suo libro, sia quello di dire l'indispensabile per far conoscere al pubblico la sua formazione e le sue letture. Eventualmente anche i suoi maestri se ne ha avuti; collocare il libro nel panorama contemporaneo e dare conto della tematica trattata. E infine invitare l'autore, con domande pertinenti, ad illustrare brevemente la struttura dell'opera. 
Ciò che riscontro, invece, è un'occasione, per i relatori, di mettere in vetrina se stessi, la propria cultura e preparazione, la propria retorica e il "guardate quanto sono bravo. Tanto bravo che vi dico io come dovete interpretare il libro e i personaggi, cosa dovete pensare, come dovete valutare".
E l'autore lì in un angolo ad annuire silente (e anche un po' insofferente).

sabato 31 marzo 2018

UNA LETTURA IN DIRETTA di ANGELA ARGENTINO


Nota di Bianca Mannu . Ecco una poetessa e scrittrice che, mentre legge un libro non suo, scrive osservazioni e giudizi,  interroga e dialoga con i testi e gli autori. Sì, in questo caso lo fa spontaneamente, e con semplicità  ci chiede se noi autori vogliamo leggere in pubblico i suoi commenti. Abbiamo in testa i soliti commenti frettolosi del social. Diciamo di sì, ma poi ci rendiamo conto che non è possibile, data la lunghezza,  nel corso di una presentazione. Ci impegniamo a pubblicarne su questo blog.  
Il suo scritto è un seguire quasi passo dopo passo la silloge di poesie “Sulla gobba del tempo” la cui foto postata su fb ne segnava l’uscita editoriale e poi la 2^ presentazione a Quartu S. E.
Angela Argentino, sembra leggere quasi ad alta voce; lo fa, come si può constatare, in un modo molto singolare, scevro da formalismi e da presunzioni autoreferenziali, né si appiattisce sul modello dei vuoti pourparler invalsi nei crocicchi di fb, magari scompigliando le inquadrature, che di lei e di noi e di altri,  i bigdata della rete estrapolano quali atteggiamenti più solidi e frequenti. 
In ogni caso Lei ci offre un modello di lettura in diretta, perché, a quanto pare, lei “sa leggere”!
Trascrivo integralmente risparmiando un po’ sugli spazi.
*****

Angela legge Sulla gobba del tempo



Qualche tempo fa sono entrata nel cerchio magico di alcuni poeti sardi. Li leggo e  li sento vicini. Il libro ‘’ Sulla gobba del tempo’’ mi ha portato le voci preziose di 4 di loro a cui vorrei far giungere, oggi, le parole che ho segnato a margine di certe loro poesie.

Mariatina Biggio sa racchiudere in poche parole miracolose  la memoria e il dolore, il tempo e le sue spoliazioni.  La sua poesia è racchiusa in cammei incastonati in un bracciale di parole che a volte diventa sottile e inutile struttura alle pietre preziose di alcuni versi di rara bellezza. Imparerà che la riduzione può triplicare l’ineffabile musica di Eros che ’’ nel nulla si infiora’’ mentre lei ‘’...musica l’ora del sogno, in bocca la luce dei baci..’’
‘’Ero pietra rimossa’’. In questo solo verso la tenace volontà di vivere nel sole.
Nel verso  ‘’ isola di nuove stagioni’’ coniuga in poesia la solitudine umana e le  poche speranze dell’uomo, al sogno dell’immensità dopo di noi. 
Sa cantare il Tempo, Mariatina.
Il tempo di una casa, il tempo di una persona diventati invisibili al tramonto.
E’ l’anima, la sua interlocutrice; un’anima sollecitata che va incontro al corpo per diventare insieme, altare nel vento. 
E’ fatta di attese che si accumulano sul cuore, la sua vita.
E’ alla Memoria che lei affida l’estrema comunione tra gli uomini;  è alla Speranza che lei innalza il suo cantico perchè l’uomo semini ancora bontà e saggezza.
Persino i sogni infranti sono un pane da spartire in una comunione tra gli uomini e il creato. Infine, è una Eucarestia che Mariatina innalza alla sua Sardegna, mensa sulla quale ha raccolto tutti i doni e tutte le meraviglie.

******
A Bianca Mannu piace perdersi nella pluralità semantica delle parole. Già il titolo della sua raccolta mi obbliga a certi interrogativi:  stagioni nuove e nuova mente?  o  temporanea mente come intelligenza provvisoria per il tempo della nostra vita?
Tutte le sue poesie richiedono impegno; sono profonde,sofferte.
‘’Curva minore’’ è per me la concezione descritta come  un teorema di fisica.  Suona al mio cuore con la stessa forza dell’equazione della relatività.
Il risultato è una sapiente cecità che vive e si spegne.

Ora dimmi, cara Bianca, se è mai stato detto con tale forza cosa è l’essere umano? Sei tu l’istante perso? Quell’atomo in corsa che ha perso la sua corsa un istante, per farsi raggiungere dal sole? Ora trasformata in mille e ancora mille istanti che ubbidiscono alle leggi dell’elettronica, una vita umana sotto un cielo che esiste in forza del suo nome, e tu Bianca, creatura Bianca, che sente il suo tempo già passato come quello di una stella la cui luce ci arriva dopo la sua morte.  Del futuro fai già un passato .

 Il tuo ‘’vizio di vivere’’ è tutto un discorso  di pezzi di sé, estranei a se stessi ed è tutto un attrarre nel tempo  breve della vita, il breve tempo a noi concesso per esercitarci  a carpirne il mistero e la ragione. E in questa ricerca  che ci vede come amebe inconsapevoli, affamate di vita, nonostante noi, impariamo il vizio di vivere.
In ‘’Sintesi e dispersione’’  mi sono persa. Poesia altissima.
Ho visto tante guerre  tra verbi e sostantivi  ‘’ ...su dissonanze vocaliche ALITO malferma...’’  dove ALITO può essere verbo ma ho pensato che tu lo avessi VOLUTO concepire come un sostantivo maschile  da accoppiare ad un aggettivo femminile, a sottolineare un conflitto tra geni, entrambi approssimativi e di genere diverso.
‘’ll tempo tesse l’assenza ‘’ un altro verso dove dichiari di non appartenere alla vita ma di percepirti solo come un’immagine fissata di essa .
’’... Indecidibile...’’  e non indeciso  è  il tuo presente perché impossibile da determinare. Mi hai condotta alla fine a guardarti ridotta a un ‘’ biocco di polvere tra spifferi vagante sull’ammattonato’’ 
Il tuo ‘’ scampolo per-verso ‘’ già dall’attacco arriva allo stomaco come un pugno, per il pronome  indicativo ‘’ questa’’, indirizzato alla vita, che non osi nominare.
 E descrivendo passaggi, ingressi forzati, strettoie e affanni,  chiusa in questo ‘’pugno ossuto’’, continui  a ricevere l’oltraggio del tempo.
 In un veloce excursus verso il passato che fu di ‘’ sensi aperti’’ ora ‘’ questa’’ ( di nuovo il rifiuto a chiamarla vita) tu poetessa e donna ,ti presenti come un ammasso di sensi volti solo a proteggerti. Gli occhi per guardarti attorno senza cadere e la bocca muta.  
E’ tutta giocata sugli ossimori del tempo, la poesia ‘’ Rinascere’’ , poesia preziosa nella sua scaltra velocità di slittamenti semantici e temporali. Tutto un lanciarsi  verso l’attimo che tutto ribalta e tutto conclude e nello stesso tempo, esso stesso incapace  e consapevole di non potersi annullare.
Mi è rimasto, alla fine della ripetuta  lettura delle tue poesie, un senso di luminosa e illuminata disperazione, un invito a guardare la vita o chi per essa, ad occhi aperti, con un sorriso ironico che lasceremo inesplicato.
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Carlo Onnis  procede con chiarezza nell’esposizione del suo sentire interiore, così pregno, così affranto, cosi rassegnato ma anche così glorioso nei suoi i canti alla Natura.
Ha posto una sua poesia a compendio del suo testamento poetico e umano. L’ha posta alla fine della sua raccolta e si intitola ‘’Teorema’’
Quasi l’ esposizione di una legge matematica, in essa stende il bilancio della vita al  tramonto  ‘’memoria morta sul sorriso comune,nudo come la rosa senza giardino’’
Magnifiche le sue immagini aperte alla natura, colme di mestizia e di una dolcezza lieve come carezza. Albe e  tramonti, uccelli in volo, onde insonni;  tutto il suo mondo di Sardegna e tutta la sua anima di uomo, si fondono in poesia sommessa.
‘’Fui una volta’’ è un testamento lasciato sul tavolo, sotto i raggi di un sole ad occidente, la vita di un uomo raccontata come il  volgersi delle stagioni: semi, germogli, spiga e stoppia ma anche pane ormai consumato che mi  richiama il detto arcaio ‘’  ‘Εφαγε το ψωμi’ του’’  (‘Efaghe to psòmi tu = Ha mangiato il suo pane )  di colui che ha consumato quanto gli era stato dato per cibo.
In tutte le poesie di Carlo ho colto dei passaggi, dei travasi,  come in ‘’Talismani’’ dove dalle labbra sgorga l’acqua che va a dissetare l’anima .
Una poesia mi ha dato la misura di quanto Carlo lamenta come continua perdita :‘’ Trecce nere’’ . Quelle ‘’ ...trecce nere sulla schiena/ fianchi di cerbiatta...’’  è un ricordo sconvolgente per plasticità ed evocazione. Una primavera stesa ai piedi degli amanti che vive   ormai solo nel ricordo. No, non possiamo  dire che ‘’ vive ’ .  E’  presente, torna di tanto in tanto, confonde il calendario, rattrista ancora. 

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Fra tutti i poeti, Giuseppa Sicura, presenta  le poesie più difficili da leggere. In esse, volutamente, confluiscono le parole della tecnologia e vengono affrontati dei temi oggettivamente difficili da esprimere con le parole della poesia cui siamo abituati.
‘’ Sbalzi di coscienza’’ ci introduce subito a una mancanza o perdita di equilibri e il linguaggio stesso è difficile ricerca di armonia. Ci presenta un mondo disumanizzato e supertecnologico dove l’uomo è stato cacciato alla periferia.
 Affronta i temi del viaggio e dello spaesamento non in chiave pesonale ma sociale  e civile. Implora  ‘’pietas’’  per l’uomo colpito dalle ingiustizie   ‘’...  non stormi di rondini / ma colonne di profughi in  marcia/ per un grammo di terra/ per un soffio di vita’’  
Dubbi e miserie umane affida con un ricordo leopardiano alla luna che guarda a grand’angolo; la solitudine umana  viene osservata ‘’...dall’ alto come un drone...’’, le   relazioni umane si affidano alle maglie infide del network;  la superficialità e la banalità vengono consacrate da un tocco sulla tastiera. A consolazione e rifiuto esce la sua poesia disincantata ‘’...in fretta ripristino il balcone/ annaffio le mie ore/ incolonno i giorni/ inseguo il valzer lento dei girasoli’’ In questo ossimoro di inseguire la lentezza e il quotidiano, sta la sua scelta come persona e come poeta.
‘’Banca del dolore’’  ha un ritmo incalzante nella metrica. L’eco dei versi  crea  emozione;  i temi sociali della migrazione, della disoccupazione e della solitudine urbana, sono uno schiaffo . Ma poi ecco arrivano i versi della chiusa  ‘’ l’augurio che a tutti sia lasciato il respiro /e restituito  grano  e lievito (‘’ lievito e grano’’ sarebbe suonato più musicale ma Giuseppa ha scelto di essere aspra in questo suo discorso)  e    ’’...  lo zucchero per qualche domenica/ dignitosa’’  non rima nè  musica nè un  apparente nesso.
Giuseppa opera la scelta consapevole di usare  aggettivi in apparenza sconnessi, collegati a  certi sostantivi che invece sono chiari a prima vista nel verso  della stessa poesia.
 Se lo ‘’   lo zucchero per qualche domenica’’ appaiono immediatamente come  tazza e cucchiaino per un caffè domenicale, ecco che a capo, nella riga sottostante,appare l’aggettivo ‘’dignitosa’’ che pur sapendo essere  riferito a domenica, sta lì, solo e in castigo, ad aspettare che tu trovi il suo senso.
Tanti neologismi, anche di provenienza anglofona, richiamano la tecnologia disumana che ha portato l’uomo a vincere sull’uomo con armi diverse.
Sempre, in queste poesie difficili, perchè erto e spinoso è il linguaggio di Giuseppa, c’è un grido, un’implorazione ‘’...perche la tua scienza affonda/ e non trova parole nè accordi/ nè fiori nè ferri/ che fermino gli odi e le guerre?’’
Giuseppa, in questa raccolta si è assunta il non facile compito di fare poesia con le parole aride  della tecnologia, ancora senza senso, solo denominazione di merce su scaffali  ma poi si scioglie da esse, dal loro  peso di morte e anche con le parole aride che getta all’aria come immagini slegate, crea una poesia dura e di denuncia  ‘’ traffici sfrenati/ di fameliche formiche/ cicche di sigarette/ e macchie di rossetto    ‘’ ... ad intrecciare due coordinate/ che rivelino in mare/ un carico di uomini illusi ‘’
Ci sono tanti  imperativi nella  scrittura di Giuseppa, e uno magnifico sta nella poesia per me piu bella ‘’ La scala’’ 
 ‘’Datemi una scala/......./per arrivare al cielo..’’
Tutta la poesia è un  grido, un’invocazione, uno sdegno, un pianto e la caduta del sipario su tanta vergogna inflitta dall’ uomo sull’uomo e dall’ uomo sul pianeta.
Poesia civile e  scomoda dove l’elegia si è  nascosta e si è racchiusa in ciò  che  Giuseppa non ha voluto dire. Una poesia di mancanza che non è facile da leggere.


Gli autori di SULLA GOBBA DEL TEMPO: Mariatina Biggio - Bianca Mannu - Carlo Onnis - Giuseppa Sicura - ringraziano sentitamente.