Sulla forca del dubbio
-che non mi salva
e non mi assolve -
la mia vita di carne
il mio cuore di foglia
sono tuttora appesi
quasi che per destino
aria e vento
mi siano muri e pavimento
e il grembo e il seno – caldi - (perduto
asilo
provvisorio
a filo di frontiera e mitico alimento) –
siano oggetti per il sogno
e il perenne ontologico scontento.
quel sole - duplicato come vero
sul display della corteccia cerebrale -
che pende in senso ortogonale
sul manufatto del Fabbricante cieco
(discrimine oggettuale arcionato sull’assurdo)
vademecum “par provision y por necesidad”
in ordinari sopralluoghi e disamine insicure
…
O mia povera anima analfabeta e credula
tutta contratta dal peso dei timori
sul fondo più opaco – più disprezzato e
osceno!-
del mio scurissimo sfintere
sentenzioso oracolo di salute corporale
e inverecondo sintomo di tabe irrimediabile!
Il pendere reale da un rampino virtuale
ratifica l’immanenza della dissoluzione
che certo mi risolve (fatale presente
indicativo!)…
… in un culo di tempo mi risolve
me in un luogo apatico dissolve
in cui “la vita” (rappresentata in
verbis)
per
decisione autogena
mi separa da sé
vel si divide da me
senza possibilità di
reciproco rimpianto.
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