arriva così:
un ansare di vento
dalle cime alle gole dei colli
strappa alla spossata pagina
lo straniante congedo dalle cose
(cose solite e insolite
senza più domande) in
Spoglia d’autunno
per altrui sensi “cosa/cose”
in ordinari frammenti.
arriva così:
un ansare di vento
dalle cime alle gole dei colli
strappa alla spossata pagina
lo straniante congedo dalle cose
(cose solite e insolite
senza più domande) in
Spoglia d’autunno
per altrui sensi “cosa/cose”
in ordinari frammenti.
Ritagliava uno
spazio
d’orrore
euclideo
sotto i passi …
Come un pane,
azzimo e
raffermo,
il colle,
camuffato
nella
precarietà perenne
dei nuovi
abituri,
di colpo
mostrava
-
sfacciatamente glauca -
la mollica a
perpendicolo
su un fondo
d’acqua
ruvida di sassi
verdemente
lanuginosi
d’umida
vecchiezza.
In quell’iride
cieca
un’angusta
misura d’assoluto:
obliqua aleggiò
l’ombra
d’un possibile
volo …
- Un balzo, poi
… più niente.
E la madre,
grande,
si stagliò nera
sull’orlo
e follemente
giocò
con la
vertigine bianca
della bimba
senza gridi.
aleggiava sbandando - il cuore
in fermento –
nel sole – all’incontro
della sua primavera.
Dal calamo casto disciolta -
smarriva
turgore e profumo - sconvolta
annusava
nell’aria l’autunno -
intriso di cenere e fumo.
Noticina- Ringrazio di cuore Pinterest
per questo prelievo. (bm)
e amo il maestrale
quando involve il vespro viola
e da quel lontano sito
prende fiato di mare
e rotolando per le plaghe
d’erbe morte e sassi
arriva a me – amorosa spiona –
stridendo allegro e sfrontato -
tra le stecche delle mie persiane
ancor più lo godo
quando tutti pori mi spalanca
per penetrarmi di sé
e cacciarne i fumi caldi
accaniti sulle mie più interne foglie
affiochite da una sete incapace
di valersi d’un’acqua
subitamente malevolmente
calda e d’altri eccessi infetta
tanto l’amo
e non gli ascrivo a colpa
i suoi impazziti soffi
sui più pazzi fuochi
bestialmente umani
e tanto l’amo
che sotto la sua danza indocile
- incurante sonno –
docilmente m’abbandono.
👀 Ringrazio per queste splendide immagini (b.m.)
Vibra di cromo il giallo euclideo
indosso alle scarpate vergini.
Severe fioriture – albini grumi –
vestono gli ulivi di canizie
che il vento – pettinando - depone
sulle zolle già rasate e smosse
dentro recinti riassestati
a scongiuro di fiammifere intenzioni.
Verzicando in silenzio
spiattellano alla precocità
della calura i loro pampini dentati
le vigne in parata sulle zolle -
d’ogni altro stelo ossessivamente
ripulite -
aleggiano come ombrelli
i loro palmi tra le spire
dei cirri e su corimbi neonati
che già cullano umorali eventi.
Immensi e sonoramente atavici
sfilano nel vespro i greggi:
smagrite perché di vello
hanno i pastori denudato le bestie -
lunghi musi penitenti
nel saio assottigliato
color dell’acqua sporca.
Dimessa veste conviene
forse a questa stasi: covato
“en plaine air” il tramenio della fatica
si spinge l’occhio esoso al frutto
che un poco sguscia dall’ambigua
digitalità di Crono e molto oscilla
sulla stadera indecifrabile di Ade.
Noticina o piccola premessa di ordine personale - Data la mia età o, forse, la mia noia verso un presente che non si decide a passare per incontrarsi faccia a faccia con una più consapevole logica, ho diradato la mia navigazione in fb e persino la mia attività in questo blog. Però penso e scrivo ancora testardamente. Il luogo dove attualmente risiedo s'impone alla mia riflessione emotiva; questa, incurante della poeticità generalmente praticata, si fa strada verso una parola che vorrebbe essere qualcosa di più elaborato rispetto, sia al pianto nostalgico per un eden perduto, quanto un dire cauto verso il sorriso di chi si esalta compiacendosi di dar voce al bello assoluto. Altresì rivendico la distanza da una nota spese o da un promemoria per gli acquisti: cerco di ricuperare la carica simbolica della mitologia per alludere al nostro dramma attuale. (BM)
Hai un cognome strano! –
è
un pretoriano d’oggidì
venuto ad apostrofarmi
da sotto i galloni del kepì
« Ecco … - ride per allettarmi -
ecco - una stellina gialla
t’appunto sul pastrano … »
Ed io: - Rifiuterei il galano
« Niente di personale – dice
-
solo un piccolo segnale
per i distinti da implicare
in questa - qui o là – semplice
guerra universale -
impossibile glissare»
Sarò merla o gazza?
-
Ora con la stellina finto oro (!) -
e il nome un po’ balzano …
… in quale guerra m’insinuo
con gli attributi di razza?
« Aspetta un semestrino – dice
-
ché ti spedisco a Gaza!»
Penso:- Con gli occhi a mandorla
e la pelle tinta d’Africa
potrei fingermi creola
ma penserei che la metrica
dell’idioma mio parlato
non corrisponda al fatto
Ecco - perciò stesso
sarò statua di gesso
davanti al quesito censorio
del milite littorio
Se fossi come non vorrei e sono
mi darebbero della poco di buono
sarei spinta giù con acribia
in fondo al rione Carestia
E dopo – se un po’ ci pensi –
dubito che scamperei alla follia
d’esser preda della guerra a pezzi
o della guerra … purchessia
È stato già:
per astratta remissione
nella seconda ventina
del secolo ventesimo -
meno che bambina
sullo scalino dell’ impossibile
privo di proporzione
e di coerenza matematica -
vi sono rimasta statica -
una briciola indefinibile -
un ente trascurabile
inviato per inerzia pulsante
ad arrestarsi sull’ orlo beante
del buco madornale
dell’irragione generale
apertasi nell’anno 1939:
bellicista arrogante!
Era greve - armato
fino all’ultimo dente -
un rullo semovente -
un’immane mitraglia
caricata per lasciare il niente
ed offrire la Terra alla gentaglia
Pure l’orrore procede
per respiri ed apnee:
bisogna che fino alla noia
ce lo raccontiamo – o mondo boia -
con molto suo contorno
il crollo all’inferno ed il ritorno
perché abbia anche senso
l’estremo nostro giorno.
Noticina -Niente ricorso alle immagini. Bloccare la coazione a ripetere. Trovare subito la breccia per il ritorno e negare possibilità alle riedizioni : bisogna espungere dal DNA bestiale dell'uomo la soluzione ultimativa e riprogettare il senso della coesistenza orientata alla risoluzione concordata dei conflitti politici e sociali, essendo figli d'una sola madre terra.(BM)
Una mattina il sole fece l’occhietto
all’uomo con gli stracci e lui non si levò
Col suo più lungo raggio - il sole
frugò tra l’erba dell’aiola:
perché tinto di rosso vide
il sasso.
Con quel rosso il sasso si spiegò.
Arrivarono uomini in divisa:
confusione tanta anziché no.
Al sasso fu data la qualifica di arma:
ma chi nella notte quell’arma sollevò?
Interrogato - il vento rispose “niente so”.
Al sole né quesito né risposta
proprio razionale non sembrò.
Morta – per sé con voce calma
allungando i raggi commentò
disponendosi a calare …
“Neppure il sole ci sta più con la testa!”
deplorò un brandello di straccio
rimasto a penzolare tra il cespo
di fiori bianchi dell’unico oleandro nano
che dava il suo amaro a una pattuglia d’api.
“La testa ci sta, ma è sbagliata la lettura
del commento: morta è la
verità
ancora prima del colpo di teatro”-
Così pareva che il sole rispondesse.
Ma era l’effetto d’un cirro agitato e scuro
che il vento lanciava sul disco allucinato.
Così fu stabilito e rubricato.
Eppure il guizzo della nuvoletta
con roco accento affiorante dalla pancia
sembrava a pochi umani sentenziare:
“Solo chi ha ben vissuto
può morire
e muore vagliandone il perché.
Tanti di noi umani –
svuotato il cranio
da ogni accurata riflessione -
tremiamo ad ogni schiocco -
ma morire non possiamo:
da sempre morti siamo!”
Sulla soglia d’un paesaggio
fintamente usuale
lievita spettrale
il suo fondo disastrato:
lì mi blocca lo sgomento
per il mio inutile cimento
per la mia onirica insistenza
nel tentare d’afferrare qualche istanza
su cui issarmi in trasparenza
dal mio caos esistenziale
Mi sveglio per abitudine ancestrale
sull’incipiente ritorno della luce
che – presumo a caso – cuce e ricuce -
raccolti dal pantano –
alcuni sensi laceri
d’un tempo precristiano
e intrugli di frantumi
in malsicuri barlumi
di cristianesimo nostrano
Cerco nell’orcio d’un antico garbuglio
la perdurante sodezza d’una parola
d’ordine
che ripristini l’argine all’odierno
subbuglio …
E invece mi tremano in disordine
voci straniere e insensate -
nella foresta vergine
di prode scalcagnate
Vivendo così dove gli enti
e i quadri del vedere –
parendo fedeli documenti
in date timbri e firme di accreditamenti
-
mentono da filibustiere –
assumi per vero ed essenziale
solo il tuo
ultimo raschio catarrale
In questa soglia di dormiveglia -
che a tratti mi nega la fede
anche sulla fisicità della soglia
sotto malfermo piede -
incappo nell’esperienza
della massima stranianza
di sudore all’umido fluente
oltre l’intimo abisso
questo residuo di niente.
Unda e ispunda
sempre pensato morto –
non dà segno di vuoto
per chi
incurante passi -
non dà
segno di pieno
se non
c’inciampa
l’altrui
vivente osso.
Ma per
l’anacoreta
o
l’uomo senza tetto
era
áncora - il sasso - ed è
la principiante
sodezza dell’approdo
nel
malfermo grembo della contingenza -
è l’immediata
fisica intimità
tra pulsione e fissità.
Sul fondo sdrucciolevole
dell’eventualità
- sfuggita
al
civile imperio della causalità -
la vita
si gioca nella secca di vortice
che va
da me a te - da te a me …
Che
cosa cambia il turno
del
soggetto e dell’oggetto
se non l’effetto diseguale
d’un
fortunoso impatto?
Ma chi
farà mai da fossile
dove la
vita lambisce
pulsando come onda
or
l’una or l’altra sponda?
Visite
di Atropo
Incappucciata e in veste nera se la
figura ognuna/o
tremando infantilmente al ritorno del
mitico profilo
quando - compagno di letto - uggiola come noia
un male indeciso e pellegrino che ninnando vocalizza:
“Non ora - c’è tempo – c’è … tempo –
ancora … non è l’ora …”
E sul frizzo birichino più dolce
signoreggia il sonno.
Ma più funereo straccio torna a claudicare
sui bordi semispenti delle ciglia
quando la vita inclina alla fatica
dello stare in giaciglio incattivito
dopo il più cattivo giorno capovolto:
così straniata/o che non ti riconosci
più.
Sulla tua china trascolora la luce
ancor di più verso un livore d’ombra
che gela gli alfabeti sulla soglia.
Tu fuggi all’indietro sulla capriola
dell’inganno - ma il gioco scioglie le
corde
all’uragano degli assurdi: triste
saltimbanco di volizioni postume.
Non c‘è rimedio a questa solitudine
ventosa –
non altra logica se non questa:
di uscire dal tempo nel singolare
modo del gatto – allungarsi del muso
a cogliere l’attimo unico ed eterno
di tepore in una traccia di sole
o in un baffo sbiadito di memoria
dove dilegua il tuo graffito d’esistenza
con la prescrizione assoluta
d’ogn’ istanza.
Noticina- Ringrazio di cuore i siti che mi hanno permesso di usare le immagini
Un
certo vento
Labbri stretti