Nientificazione
Sulla soglia d’un paesaggio
fintamente usuale
lievita spettrale
il suo fondo disastrato:
lì mi blocca lo sgomento
per il mio inutile cimento
per la mia onirica insistenza
nel tentare d’afferrare qualche istanza
su cui issarmi in trasparenza
dal mio caos esistenziale
Mi sveglio per abitudine ancestrale
sull’incipiente ritorno della luce
che – presumo a caso – cuce e ricuce -
raccolti dal pantano –
alcuni sensi laceri
d’un tempo precristiano
e intrugli di frantumi
in malsicuri barlumi
di cristianesimo nostrano
Cerco nell’orcio d’un antico garbuglio
la perdurante sodezza d’una parola
d’ordine
che ripristini l’argine all’odierno
subbuglio …
E invece mi tremano in disordine
voci straniere e insensate -
nella foresta vergine
di prode scalcagnate
Vivendo così dove gli enti
e i quadri del vedere –
parendo fedeli documenti
in date timbri e firme di accreditamenti
-
mentono da filibustiere –
assumi per vero ed essenziale
solo il tuo
ultimo raschio catarrale
In questa soglia di dormiveglia -
che a tratti mi nega la fede
anche sulla fisicità della soglia
sotto malfermo piede -
incappo nell’esperienza
della massima stranianza
di sudore all’umido fluente
oltre l’intimo abisso
questo residuo di niente.
L'immagine della luna sugli sterpi è un mio dipinto che regalai a mia sorella Bruna, buonanima.
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