domenica 24 marzo 2019

Ve lo dico in versi - messaggio in bottiglia di Bianca Mannu

Non c'è abbastanza forza, non c'è abbastanza animo e perizia di parola, non posso contare su una dialettica capace di graffiare l'irta superficie di questo presente che ci vuole tutti innamorati della parola definitiva dall'apparenza secca che si svende (e tu l'accatti come una pepita regalata dalla dea bendata) e che invece - ma senza inganno, perché  così ingenuo non sei - esibisce schizzi e sbrendoli di visceri... Niente ti pare più autentico d'un viscere che parla! E ti sembra che parli proprio a te e per tuo conto: ah! Un contatto diretto con la verità in persona... Sì, sta scritto in tutti gli spot, in quasi tutti i post dei social, in maree di soap opere e di films, di articoli di stampa e di pubblicazioni online, sta scritto che la verità alberga nel buco più profondo d'uno sfintere capace di vellicare all'azione le mani, i piedi, la bocca, e i loro prolungamenti meccanici.  Sentirsi vendicato e nutrito, anche per un solo istante di sogno! 
Oppure? Oppure dubita di questo tutto, che certo è molto incattivito perché ha dimenticato l'Origine, la grande Ragione originaria che aveva per ogni cosa il ruolo e la parola giusta, una, quella del re, del papa, del principe, del signore locale, quella dello sgherro, che tanto avevano in un dio silenzioso e cifrato il Disegno, e non c'era da sbagliare. Lo sbaglio è avvenuto, sarebbe avvenuto, - costoro non usano tanto volentieri i dubitativi - per colpa di chi, indisciplinato, ha provato  a progettare un altro ordine con altri indisciplinati. Così, è nata la confusione generale, dicono certi signori - pure accademici titolati - i quali si stanno riunendo a consesso per rimettere le cose a posto, al modo del bel mondo antico del rispetto e della pace! 
A ben guardare questi due corsi si connettono bene fra loro, perché nulla vieta all'uomo del buon tempo antico e alla donna della casa di sentirsi appellati da dio tramite i propri visceri, tutti assemblabili sotto il nome di anima. Il Lui di turno sarà magari una grande Anima, ma lei resterà sempre un po' più piccola, indicabile con la lettera minuscola.
Essendo un po' disperata per lo stato terreno e celeste, io, qualche mia perplessità, ve la dico in versi estrapolati da  mie diverse composizioni con cui non mi consolo.

In marcia

Torme di umani in marcia: miseria generale.
Ciascuno si sente infetto del problema personale.
Il dorso sopra i visceri contratto a inutile difesa.
Sibillina o mortifera circola anonima –
in agguato- mista alle polveri - l’offesa
nel vento detonante.
Si sosta in cunicoli e in anfratti di muri per sfuggirle –
si veglia in bilico sul piede della fuga
si trattiene il respiro sopra il lume cieco
della vita afflosciato sul suo minimo
dentro il sistema limbico …
Si sposta con le torme dei fuggiaschi
una miseria fetida di morte.
Di morte in morte riaffiora
aggrappata alla creatura puntata sul resistere.

Spiaggiata in corpi esausti - arranca verso
gli angoli d’un mondo che la teme
come se già non ci dormisse insieme …
Involta nelle pieghe ora più fruste
di vesti scombinate da molteplici accidenti
tuttavia dilaga oscenamente maschia
nel sole dei giardini
s’infratta nei timidi cespugli
quasi a voler scansare l’evidenza
che impone del derelitto la familiarità con l’indecenza.

La città nobile scioglie nel frizzo mattutino
tra eleganti palazzi il traffico operoso
e fluisce umanamente babelica
intorno al suo epigastrio.

Ma a sera espone l’opulenza dei lumi
esulta di colori e di profumi
spumeggia di movida espone sul passeggio
l’indifferenza ferina dei carini e il loro futile corteggio.
Ecco l’immagine di copertina.

Ma - come la notte avanza incontro alle ore piccoline –
     s’attenuano le luci e i belli
tornano ad abitare i lussuosi ostelli.
Allora sono le ombre dei porticati e degli androni
a riempirsi di sbadigli sussurri e strabalzoni …
È l’altra umanità che – suo malgrado –
occupa la lista d’ombra della quinta –
che il nottambulo rasenta senza averla distinta –
che l’ultimo galoppino delle pizze
annusa fuggendo verso il suo fastigio
gravido d’un domani che – già se lo figura –
riserva solo appena qualche sfumatura di grigio.

Luci basse in quarta di copertina.

Solita storia

Che cos’altro ti pare
rimanga da fare
per noi figlie sempre obbedienti
al femminino perentorio
fabbricato all’esterno
indi importato come  legge
del paterno romitorio.
..........................................

Che cos’altro resta da fare
dopo l’amore  voltato in dovere
dopo i bambini da partorire
dopo le pappe da confezionare
dopo le febbri da curare
appresso agli infanti da sorvegliare
agli scolari con cui compitare
e alla morale da impartire –
insostituibile vicaria fedele
dell’ostinata griffa patriarcale?

Resta forse un pezzo di vita:
esser presenti al finale di partita.
Avendo vissuto – o donna oscura -
l’altrui vita per procura
da protagonista or puoi recitare
il tuo atto unico di grande  bravura
 e ancor prima del tuo requie
disporre per altri funebri esequie.

Se sul finire del tuo tragitto
 ti resta un raggio d’intelletto
puoi tracciare un rigo netto
e segnare in verbo asciutto
d’avere fatto quasi tutto:
ma negli annali della Storia
di te ben poco resta in memoria.

Dicendoti donna fedele e modesta
la tua legge è rimasta questa:
in prima istanza la famiglia
con la carriera del marito
fonte di grano concupito.
Il matrimonio della figlia
è una meta e l’occasione
di alzare l’asta della magione.
La politica e la burocrazia
son per il pargolo la giusta via.
.....................................................

Ma quivi giunta forse la vita
ti regala stizzoso un prurito
di celebrarti con lo scritto
poiché bazzicasti a lungo la scuola
e sai compitare qualche parola

Lo scritto in versi l’avevi nel sangue
il tema è pronto e da tempo langue
nel tuo diario dove – ibernato -
giace il tuo cuore innamorato.

Innamorato e di nuovo  fremente
per quel giovane avvenente
che  imperversò nella tua vita
lasciandoti sola e impoverita.
Se ancora vivo e con l’aterosclerosi
non può godersi l’apoteosi.
 Nel Web


… lungo le strade del Web
sulle piazze del web
certi menestrelli
privi di pappagalli
distribuiscono a tutti i naviganti
miracolose ricette volanti
ghermite in angoli dispersi –
smarrite perle - diresti –
secondo cui – volendo - potresti
conseguire con facilità
gioie tante
dolori scarsi
comunque cosparsi
di polveri esilaranti
 e di finta felicità …
In rivolta

Tracima
in rivolta
fino al bianco degli occhi
il mio sangue
a sballottare un pensiero
incapace di farsi
parola.

Quale parola?
Forse questa che posa
disponibile
sulla soglia più esposta
al passaggio di chiunque
o l’altra più in là
moralista
che occupa un’ampolla
che pare di vetro
e quasi sta … di pietra?

Né ampolla né vetro
ma l’erompere
in colposa trasparenza
come rrrabbbia:
montante gorgoglio dell’erre      
scagliata sull’«a» 
di repentino acciaio       
erta a comprimere il fiato
verso la fessura orale
in tenuta semistagna  
per effetto di inavvertiti
argini labiali –
innesco meccanico
definitivo scatto in fuori -
sparo di senso
in mezzo all’aria esterna
che si sposta stupita
e già stanca.

Il nome della rabbia
è il ricordo spettrale
del sangue agli occhi
del lampo assassino
nelle iridi incassate
come fucilieri pronti
dietro le feritoie
dell’immaginazione.           

venerdì 8 marzo 2019

8 marzo, giornata internazionale della donna

Nota - Non mancano quotidiane ragioni per indicare ciò che non va nella condizione femminile in tutti i paesi del mondo. Non mancano ottime ragioni alla nostra lotta, evidente o silenziosa che sia.
Si profilano all'orizzonte speranze reali per effetto dell'impegno creativo che va sviluppandosi nei settori più complessi e diversi ad opera di donne, anche molto giovani.
Anche per quelle donne come me, che giovani non sono più, c'è sempre da riflettere e imparare.

Oggi voglio dirigere, a chi voglia buttare un occhio in questa paginetta, un breve messaggio in versi liberi che, all'apparenza, sembra alludere a qualche mio problema psicologico o affettivo. Ebbene, no. Si riferisce invece agli effetti lesivi dei modelli predisposti dall'esterno (governo patriarcale di tutto l'orizzonte vitale) come compito e come limite, con significativa allusione all'uso della parola creativa,ossia quella letteraria.
Altra me

Mio sonno - mia tremula 
anima vile 
credeva alle corazze
alle selve d’alabarde
a difesa del cuore pulsante

 La cifra segreta del dire
 ha preso stanza
 dentro la verga …

E nel mio cuore acefalo
inebetisce
come la lingua
nell’eccesso di saliva

Il verso non può che alludere. Ma oggi propongo un discorso molto esplicito e illuminante
Dall’introduzione al  «La poesia femminile italiana dagli anni ’70 a oggi»
 di Ambra Zorat
«Una poetessa che sia nata tra gli anni Trenta e Cinquanta e si sia dedicata alla scrittura negli ultimi trent'anni si è ritrovata a comporre versi in una situazione ambigua e contraddittoria risultando contemporaneamente dentro e fuori dal codice poetico.
Dentro perché sui testi della tradizione poetica italiana si è formata e ne riconosce con passione l'universale bellezza. Fuori perché sa, in modo più o meno consapevole, che dall'elaborazione di questi testi è stata esclusa e la sua immagine è stata costruita da altri in modo falsificante. L'intensità anche tragica con la quale diverse poetesse contemporanee percepiscono ed esprimono le contraddizioni del reale è ricollegabile al fatto che in quanto donne, a lungo fuori dall'elaborazione della lingua poetica e del suo immaginario, provano un forte bisogno di iscriversi nel linguaggio, di recuperare il legame che esiste tra vita e scrittura, ma conoscono bene per averla subita anche la carica di violenza che possiede la poesia.»
«Andrà ricordato come negli ultimi decenni siano stati pubblicati numerosi e validi studi sulla narrativa femminile del Novecento, molto più rare invece sono le ricerche organiche e approfondite sul versante poetico. Questo ritardo della critica è riconducibile in parte alla difficoltà con la quale le stesse donne si sono cimentate con l'universo altamente formalizzato della poesia. A differenza della narrativa, che nella letteratura italiana è un genere letterario relativamente recente, il genere lirico vanta infatti una lunga e articolata tradizione nella quale il femminile è codificato come oggetto poetico, come musa ispiratrice, assai di rado riconosciuto come soggetto di discorso. Per una donna, incamminarsi lungo la strada della poesia è più difficile
- soprattutto ottenere un riconoscimento del proprio lavoro sembra essere più impegnativo che dedicarsi alla scrittura in prosa. La posizione dalla quale prende la parola dedicandosi alla poesia è infatti più ambigua e contraddittoria. Forse proprio in virtù delle difficoltà incontrate, i risultati raggiunti risultano particolarmente intensi e rilevanti».