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venerdì 19 giugno 2015

Letture difficili e intriganti- Approccio 2 di B. Mannu

Premessa e promemoria di oggi


Invitare amici e lettori a misurarsi con buone letture per ricavarne buone informazioni e anche stimoli a proseguire la propria formazione è forse un atto presuntuoso, se si ferma a un semplice invito. Altro è sfidare la difficoltà nella speranza di raccontare a me stessa alcune delle cose dette magistralmente da un altro, in questo caso, dal filosofo sloveno S. Žižek  . Qualcuno potrebbe obiettare: perché non lo fai in privato? E io rispondo che scrivere un blog è un atto politico. E il mio atto politico consiste, non solo nello scrivere e pubblicare versi e prosa narrativa, ma anche leggere in pubblico e cavarne quel po' che le mie forze consentono.Infatti la mia non è affatto una lettura sistematica, ma un viaggio molto interessante, ancorché impervio e non sequenziale dentro questi libri per meglio vedere al di fuori. Rammento le opere:
L'oggetto sublime dell'ideologia, - Ponte alle Grazie 2014
Organi senza corpi - La suola di Pitagora editrice
La fragilità dell'assoluto - 2007

A scuola da Slavoj Žižek


 Proporre al non-specialista di alcunché, quale io sono come tanti, di misurarsi con la complessità dei problemi del mondo attuale, implica indicare, come dicevamo, una necessità che è essenziale e vitale per ogni uomo: levarsi sopra la semplice, ma irrecusabile animalità.
Riconoscerci umani significa sapere e potere non appiattirci sulla condizione minima inscritta nel genoma. Data la nostra naturale indeterminazione,  occupiamo una frontiera dove l’animalità  è suscettibile di “trasustanziazione” (cfr. Žižek) a livello di “spirito” o, se si vuole, di spiritualità.
Con questo Ž. non invita a riconoscere o ad abbracciare una fede nella trascendenza o immanenza divina per ricuperare per l’animale uomo una dimensione, più che nobile, divina, quanto un suggerimento, forse, a considerare che quanto facciamo inconsciamente in risposta alla nostra natura animale, possiamo farlo meglio attivando consciamente le nostre potenzialità.
A partire dall’accoglimento - che sappiamo ambivalente - della nostra irrecusabile finitezza, sapendo che il nostro ingresso nel mondo (quello vissuto e percorso come esterno e quello vissuto come interno) è già da sempre involto e ci coinvolge nel sistema simbolico e che, per quanto si sia convinti che il mondo ci si pari contro come un Tutto Altro, abbiamo da prendere coscienza ancora che quanto vi accade e ci coinvolge esige di  divenire pensabile, ossia altro rispetto alla sua e nostra consistenza materiale, ma ad essa articolato.

  È in questo ambito ideologico, appunto, che vengono a strutturarsi, tramite i linguaggi, le nostre esperienze e i loro effetti introiettivi e proiettivi. Niente può attraversare o insediarsi in noi come immagine o pensiero, se non tramite i fantasmi/parola con cui riempire  le nostre lacune; e questi spesso si rivelano fallaci e inadeguati.
 I testi di Žižek menzionati analizzano i movimenti e le complicanze  del processo cui ho appena accennato. Il lettore comune come me ne segue con molta difficoltà le combinazioni. Esse corrispondono a logiche non meccaniche e comunque  non perspicue.  La circolarità tautologica che s’instaura al livello dell’ideologia  può comportare il totale o parziale fallimento della nostra presa sulle cose e su noi medesimi.

Certo, a questo punto dovrei desumere una definizione minima di che cosa s’intenda con la parola ideologia. Ma la difficoltà fa davvero tremare le vene e i deboli polsi filosofici. Con acerba e presuntuosa riduzione direi che ideologia è tutto il sistema di rappresentazioni, di idee, di enunciati-valore e di simboli in cui si condensa la cultura di una società in un certo tempo storico; e si potrebbe persino aggiungere che essa ne rappresenta il carattere. Ma rimanderei alla lettura di un breve saggio molto limpido Sull’Ideologia  di L. Althusser(1976), certa che Žižek non me ne vorrebbe, anzi. Il filosofo franco-algerino - benché non riesca a essere convincente, secondo Žižek, circa la descrizione del modo con  cui avverrebbe la sussunzione dell’individuo a soggetto assoggettato all'ideologia -  individua e analizza gli aspetti materiali e ingiuntivi degli apparati ideologici. Lettura molto istruttiva e accessibile, perché la sua analisi riguarda i supporti materiali e il carattere organizzato dell'ideologia.
Dovrei per un senso di trasparenza dire che cosa s'intende per tautologia. In un enunciato,ad esempio il cerchio è rotondo, il significato del secondo lemma  "rotondo" ripete ciò che è inscritto nel concetto di cerchio.

Voglio indicare rapidamente che la nozione di ideologia, pur non mostrando collegamenti evidenti con la materialità produttiva che fonda l’esistenza dei gruppi sociali, è così tanto importante che nei conflitti bellici i belligeranti, non solo mirano alla distruzione dell’economia e delle risorse materiali del rispettivo nemico, ma cercano di minare in tutti i modi la persistenza e la funzione totalizzante del suo sistema ideologico, il quale agisce da riferimento identitario e quindi da collante sociale.
Attualmente, altro esempio, nella lotta mondiale per la supremazia politico-economica, l’ideologia occidentale si contrappone a quella mediorientale e viceversa, sotto l’effetto totalizzante delle religioni e delle morali politiche. L’attacco ideologico reciproco tende a tagliare i collettori motivazionali dell’identità e dell'unità "spettrali" del gruppo avverso esponendolo alla rottura dello specchio, cioè a una sorta di morte per dissolvimento della propria immagine.

 Ma quel che risulta più difficile da capire è il come e il perché della curvatura  che questo diaframma ideologico imprime al nostro rapporto col mondo e con la natura–mondo di cui siamo composti.
Il fantasma ideologico, che dal di fuori entra dentro la coscienza individuale formandola, è precostituito e costitutivo della così detta identità personale, è ineliminabile: in altri termini ci preesiste il mondo e le strutture incorporee che ce lo introducono simbolicamente, ci preesistono i codici delle lingue, la messe dei significati e delle significazioni. 
Però mai questa complessa impalcatura prassica (guida e sollecita azioni) e simbolica è  terra di nessuno, mai neutra, essa è già da sempre occupata da qualcuno, per esempio, da un Patriarca o da un Padrone (il Grande Altro, il grande Super Io), è attraversata da tensioni e resistenze irriducibili all’uno; è tuttavia permeabile e mobile come complesso macchinico produttore di ambiguità contraddizioni, gerarchie di poteri, presieduto da una (o più) entità che enunciando ordina, obbliga,  accoglie, esclude, elabora, inventa, falsa, distorce, complica e ci costituisce come soggetti, come io assoggettati, e riproietta nel così detto mondo materiale i suoi  prodotti. Quello che noi indichiamo come mondo materiale, altro rispetto agli io, non è intanto a sua volta tetragono, ma spugnoso, padronale, prassico e occulto produttore di materiali simbolici.
In parole forse troppo semplici  il luogo dell’ideologia è quello dell’Autorità, e il luogo dove gli interessi innominabili si presentano come garanzia di giustizia, equanimità, verità, bene supremo, eccetera.


venerdì 5 giugno 2015

E invece, andiamo a scuola del pensiero divergente! (Bianca Mannu ci prova)

I nostri politici e opinion maker si sgolano e si sbracciano a ripeterci che siamo fuori dalla crisi.
Crisi. Termine di origine greca derivante dal verbo krìnein -> decidere, con cui si indica uno stato transitorio di difficoltà economica che produce conseguenze di ordine sociale e politico, con mutamenti evidenti nei modelli sociali di identità e di comportamento, negli stili di vita, nelle concezioni culturali, nelle vite e psicologie individuali, formando un intreccio di problemi che dovrebbe dare adito a risoluzioni decisive.
Siamo più o meno consapevoli che il carattere interconnesso assunto dalle formazioni economico-sociali contemporanee (globalizzazione dell’economia, mobilità finanziaria, globalizzazione dell’informazione, della ricerca tecnico-scientifica,ecc.) fa in modo che un brusco mutamento, anche marginale e/o locale, nel prodursi e propagarsi accresca il suo potenziale di efficacia combinandosi con altri impulsi e causando in tutto il sistema mondiale dei veri e propri sconvolgimenti  di varia natura e temporalità.
A molti di noi, gente comune, sembra toccare il peggio – i diritti sfumano - mentre ogni plausibile spiegazione resta involta in confusi linguaggi e ogni decisione di salvezza sociale fuori dalla nostra portata.
La spiegazione medievale circa l’imperscrutabilità divina e il peso del peccato sulla distribuzione ineguale delle risorse e dei poteri fra gli umani, sopravvissuta fino a qualche decennio fa,  non può essere riproposta. Anzi sembra essere definitivamente sostituita da una specie di giusnaturalismo aggiornato, secondo cui nasciamo fisicamente simili, ma “naturalmente predisposti alla necessaria competizione sociale”: individui come gazzelle inseguite dai feroci felini che per altri, più feroci e più affamati, sono a loro volta gazzelle.
I maÎtres à penser ben remunerati  ripetono che gli squilibri sociali si sono forse originati  in quel gioco competitivo, che non sono appianabili e che nemmeno è desiderabile che lo siano, perché quel gioco sarebbe fisiologicamente sano e connaturato al giusto ricambio sociale e generazionale. Dunque gli squilibri non possono che presentarsi e ri-presentarsi come dato, intaccabile in misura minima con aggiustamenti migliorativi nei periodi di vacche grasse, cioè quando l’accumulo dei profitti è tale da tracimare dai caveaux dei pochi  e ricadere sulle sguarnite tavole dei più numerosi. (Leggi:effetti benefici del liberismo!)
Dunque siamo inguaribilmente disuguali sia per origine che per esito, a causa della diversa natura delle qualità mentali individuali, dell’aggressività, delle ambizioni, dalla forza di volontà e – parzialmente – anche in virtù  delle differenti condizioni di esistenza date, le quali sarebbero suscettibili di inversione e di miglioramenti, anche notevolissimi, per via dei meriti intellettuali, caratteriali e morali che l’individuo, nella sua incoercibile volontà di potenza, sarebbe capace di mobilitare per raggiungere i propri scopi realizzativi.
 Come dire che la tua povertà, la tua marginalità, le tue difficoltà sono da ascrivere alla tua pochezza, e magari alla tua infingardaggine o alla tua carenza del giusto tasso di aggressività.
Insomma, caro individuo, il tuo destino è unicamente nelle tue mani. Le leggi politiche, le regole economiche sono terra di nessuno: lì, liberi tutti. Dipende da te se la giochi bene o no.
In fin dei conti – qui lo dico, ma poi lo nego se non capisci il mio senso di moderazione – la morale è che la tua riuscita nel mercato del denaro e del potere (il bruscolo o l’eccesso di benessere di cui disponi, il potere di disporre sulla volontà altrui, la garanzia di debita distanza fisica  dalla vista dei morti viventi seminati sul tuo cammino, la distanza dalla loro e dalla tua puzza sbolognata sui loro cortili, ecc….) è ciò che conta, perché tu ti sei speso per la meritocrazia (= emerge e comanda che è bravo!) e tu ne sei la palese testimonianza. Dunque “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

Ma, poiché il sangue non è acqua e poiché quella ratio non convince,  a questo punto si torna al “homo homini lupus”.  E al posto del Leviatano, Stato, Monarca mediatore imparziale dei contrapposti interessi, ci sono i potentati multinazionali dell’industria, della finanza e della ricerca scientifica e bellica (sostenuti e rinforzati da quelli politici e istituzionali saldamente al loro servizio, mentre il privato di calibro si arrangia bene negli interstizi!) che, molto unilateralmente, sono ben orientati a incrementare, con tutti i mezzi possibili, i propri poteri e a estendere il controllo sugli atteggiamenti e comportamenti delle moltitudini, anche e sopra tutto sulle menti e sulla formazione degli individui singoli, perché costoro smettano di immaginare il senso di possibili coesioni collettive, e non gli venga nemmeno in sogno di desiderare e cercare mezzi per superare in modo inedito questo e altri vicoli ciechi della realtà.

lunedì 27 aprile 2015

Resistenza - Commento con poesia di Alfonso Gatto

Resistenza è  virtù delle persone che - mentre stanno subendo decisioni altrui, dunque imposte, o che scontano esiti del proprio consenso magari sbagliato oppure quasi estorto con inganni - contrastano, agiscono ostacolando quelle decisioni.
Resistenza  è opporsi delle persone (così dette semplici che semplici non sono) col loro vivere/fare quotidiano a un sistema che, per perpetuare il suo potere, innesca/ha innescato un processo che impazzisce e che, pur di conservarsi il potere, diviene perno di scontro insanabile tra i suoi stessi cittadini, mettendo a rischio mortale la sopravvivenza dell’intero gruppo sociale.
Resistenza è risorsa e risposta alternativa di popolazioni solitamente inermi, laboriose, capaci di logica pratica, ma destituite di potere politico e giuridico, esposte al ricatto e alla marginalizzazione/esclusione dalle decisioni che i centri del potere confiscano per sé, infrangendo ogni limite.
Ecco perché è stata chiamata Resistenza la reazione, ormai storicamente definita a partire dall’8 settembre 1943, di una parte non maggioritaria di italiani contro il governo Repubblichino (di Salò) e l’occupazione tedesca.
Certo, senza le Forze Alleate, la situazione italiana avrebbe conosciuto l’abisso. Ma le decisioni prese all’unisono da gruppi politicamente e territorialmente diversi della Penisola e disposti a correre i massimi rischi, ha incoraggiato ampie frazioni della popolazione civile a schierarsi dalla loro parte aiutandoli, sostenendoli, riconoscendosi nel loro operato e cooperando apertamente per cacciare i tedeschi dai nostri territori metropolitani. Un esempio per tutti, le Giornate di Napoli.
In quel modo, quella parte di cittadini si è assunta la responsabilità, a prezzo di tante vite e sofferenze durissime, di restituire al popolo italiano la sua compromessa dignità e ha reso poi necessaria e reale la costituzione dello Stato Italiano democratico.
Dovremmo però rimanere consapevolmente distanti dalle celebrazioni “d’ufficio” gonfie di retorica. La retorica falsifica e sminuisce l’apporto smisurato da parte di chi si sacrificò allora e di chi anche oggi si espone al sacrificio del proprio personale interesse, pur non avendo rilevanza pubblica, per difendere principi di giustizia sociale  e morale. La resistenza dovrebbe essere un atteggiamento permanente contro lo strapotere di chiunque pretenda di erigere baluardi e steccati sociali e razziali contro qualcuno o gruppi. La resistenza è efficace quanti più cittadini vi partecipano, quanta maggiore consapevolezza sorregge quei comportamenti che sono l’essenza di vera inclusione e crescita civile.
Mi piace perciò ospitare in questa pagina una poesia di Alfonso Gatto tratta da «La storia delle vittime».

domenica 19 aprile 2015

Giocare a "La tua morte è mia vita " E che vita!

"Mors tua, vita mea" era, presumibilmente un saggio motto per significare che nel ciclo naturale della vita, il trapasso di una generazione di viventi dovesse lasciare spazio alla vita della generazione successiva.
Oggi pare invece che l'opulenza postmoderna, ottenuta togliendo ai molti esseri, e al pianeta stesso, il diritto ad accettabili condizioni di esistenza, debba condensarsi insensatamente nelle mani di alcuni, senza che vi sia il minimo conato di desiderio di esistenza oltre il proprio fradicio ventre e l'immediata genia.
Non si esprime alcuna solidarietà operativa per le moltitudini di poveri, prodotti della logica cumulativa fredda e perversa di quei Mida, anzi si soffia sulla pancia egoista del pidocchio di qui e di quello di là, contro il povero di là : investire denaro sul tracollo totale di altri, non importa chi, non importa come, a man salva e persino con tranquilla coscienza, perché così posso diventar ricco da un giorno all'altro, o posso diventare ancora più ricco e controllare la mia ricchezza contro i bisogni urgenti e inevasi di altri. E così la vita degli ultimi, che pure è una vita di cacca, deve ogni giorno misurarsi con i denti e le unghie dell'ultimissimo, ancora più orribile.
La ricchissima Europa fa del mare il suo filo spinato, fa dell'inclemenza meteorologica e della  micidiale lotta politica dei subalterni e degli esclusi il suo baluardo e il suo miserevole alibi. Non vuole guardare ciò che pure ha prodotto col suo dominio e la sua egemonia . E dove non c'è mare, c'è la mutria della sua stupida presunzione: dove l'individuo, ridotto alla corporeità dei suoi immediati bisogni, essendo nella condizione di monade solitaria della propria impotenza, deve pensare/inventare senza sosta modi per sopravvivere, anche contro quelli come lui, deve divenire l'umano imbestiato.. Eccoci tutti ridotti a lotte ferine, aggressioni per una spettrale salvezza tra disperati e fra loro e noi penultimi, immenso residuo della decadenza, a cui del "noi" rimane il negativo di ciurma incattivita . Perché così, chi ha potere elude la possibilità di essere individuato come causa efficiente e può meglio regnare. Monarchi di denaro, senza nobiltà, usurai, schiavisti per mezzo di anonime strutture, per interposti schiavisti e scherani, tutti coinvolti in un gioco di complicità da cui non si esce: la struttura perversa perverte e riproduce le condizioni della propria perversione.  
Tristemente, come non constatare che ciò che credevi un limite si sposta e tocca una nuova aberrazione?.

Chi voglia può seguire il seguente link

http://www.huffingtonpost.it/2015/04/07/syrian-journey-videogioco-bbc-utenti-rifugiati-siriani_n_7016036.html