I nostri politici e
opinion maker si sgolano e si sbracciano a ripeterci che siamo fuori dalla
crisi.
Crisi. Termine di origine greca derivante dal verbo krìnein
-> decidere, con cui si indica uno stato transitorio di difficoltà economica
che produce conseguenze di ordine sociale e politico, con mutamenti evidenti
nei modelli sociali di identità e di comportamento, negli stili di vita, nelle
concezioni culturali, nelle vite e psicologie individuali, formando un intreccio
di problemi che dovrebbe dare adito a risoluzioni decisive.
Siamo più o meno
consapevoli che il carattere interconnesso assunto dalle formazioni economico-sociali
contemporanee (globalizzazione dell’economia, mobilità finanziaria, globalizzazione
dell’informazione, della ricerca tecnico-scientifica,ecc.) fa in modo che un
brusco mutamento, anche marginale e/o locale, nel prodursi e propagarsi
accresca il suo potenziale di efficacia combinandosi con altri impulsi e causando
in tutto il sistema mondiale dei veri e propri sconvolgimenti di varia natura e temporalità.
A molti di noi,
gente comune, sembra toccare il peggio – i diritti sfumano - mentre ogni
plausibile spiegazione resta involta in confusi linguaggi e ogni decisione di salvezza
sociale fuori dalla nostra portata.
La spiegazione medievale
circa l’imperscrutabilità divina e il peso del peccato sulla distribuzione
ineguale delle risorse e dei poteri fra gli umani, sopravvissuta fino a qualche
decennio fa, non può essere riproposta.
Anzi sembra essere definitivamente sostituita da una specie di giusnaturalismo aggiornato,
secondo cui nasciamo fisicamente simili, ma “naturalmente predisposti alla
necessaria competizione sociale”: individui come gazzelle inseguite dai feroci
felini che per altri, più feroci e più affamati, sono a loro volta gazzelle.
I maÎtres à penser
ben remunerati ripetono che gli squilibri
sociali si sono forse originati in quel
gioco competitivo, che non sono appianabili e che nemmeno è desiderabile che lo
siano, perché quel gioco sarebbe fisiologicamente sano e connaturato al giusto
ricambio sociale e generazionale. Dunque gli squilibri non possono che
presentarsi e ri-presentarsi come dato, intaccabile in misura minima con
aggiustamenti migliorativi nei periodi di vacche grasse, cioè quando l’accumulo
dei profitti è tale da tracimare dai caveaux dei pochi e ricadere sulle sguarnite tavole dei più
numerosi. (Leggi:effetti benefici del liberismo!)
Dunque siamo
inguaribilmente disuguali sia per origine che per esito, a causa della diversa
natura delle qualità mentali individuali, dell’aggressività, delle ambizioni, dalla
forza di volontà e – parzialmente – anche in virtù delle differenti condizioni di esistenza date,
le quali sarebbero suscettibili di inversione e di miglioramenti, anche
notevolissimi, per via dei meriti intellettuali, caratteriali e morali che
l’individuo, nella sua incoercibile volontà di potenza, sarebbe capace di mobilitare
per raggiungere i propri scopi realizzativi.
Come dire che la tua povertà, la tua
marginalità, le tue difficoltà sono da ascrivere alla tua pochezza, e magari alla
tua infingardaggine o alla tua carenza del giusto tasso di aggressività.
Insomma, caro
individuo, il tuo destino è unicamente nelle tue mani. Le leggi politiche, le
regole economiche sono terra di nessuno: lì, liberi tutti. Dipende da te se la
giochi bene o no.
In fin dei conti – qui lo dico, ma poi lo nego se non capisci il mio
senso di moderazione – la morale è che la tua riuscita nel mercato
del denaro e del potere (il bruscolo o l’eccesso di benessere di cui
disponi, il potere di disporre sulla volontà altrui, la garanzia di debita distanza
fisica dalla vista dei morti viventi seminati
sul tuo cammino, la distanza dalla loro e dalla tua puzza sbolognata sui loro
cortili, ecc….) è ciò che conta, perché tu ti sei speso per la
meritocrazia (= emerge e comanda che è bravo!) e tu ne sei la palese
testimonianza. Dunque “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
Ma, poiché il sangue
non è acqua e poiché quella ratio non convince, a questo punto si torna al “homo homini lupus”.
E al posto del Leviatano, Stato, Monarca
mediatore imparziale dei contrapposti interessi, ci sono i potentati
multinazionali dell’industria, della finanza e della ricerca scientifica e
bellica (sostenuti e rinforzati da quelli politici e istituzionali saldamente al
loro servizio, mentre il privato di calibro si arrangia bene negli interstizi!)
che, molto unilateralmente, sono ben orientati a incrementare, con tutti i
mezzi possibili, i propri poteri e a estendere il controllo sugli atteggiamenti
e comportamenti delle moltitudini, anche e sopra tutto sulle menti e sulla formazione
degli individui singoli, perché costoro smettano di immaginare il senso di possibili
coesioni collettive, e non gli venga nemmeno in sogno di desiderare e cercare
mezzi per superare in modo inedito questo e altri vicoli ciechi della realtà.
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