venerdì 5 giugno 2015

E invece, andiamo a scuola del pensiero divergente! (Bianca Mannu ci prova)

I nostri politici e opinion maker si sgolano e si sbracciano a ripeterci che siamo fuori dalla crisi.
Crisi. Termine di origine greca derivante dal verbo krìnein -> decidere, con cui si indica uno stato transitorio di difficoltà economica che produce conseguenze di ordine sociale e politico, con mutamenti evidenti nei modelli sociali di identità e di comportamento, negli stili di vita, nelle concezioni culturali, nelle vite e psicologie individuali, formando un intreccio di problemi che dovrebbe dare adito a risoluzioni decisive.
Siamo più o meno consapevoli che il carattere interconnesso assunto dalle formazioni economico-sociali contemporanee (globalizzazione dell’economia, mobilità finanziaria, globalizzazione dell’informazione, della ricerca tecnico-scientifica,ecc.) fa in modo che un brusco mutamento, anche marginale e/o locale, nel prodursi e propagarsi accresca il suo potenziale di efficacia combinandosi con altri impulsi e causando in tutto il sistema mondiale dei veri e propri sconvolgimenti  di varia natura e temporalità.
A molti di noi, gente comune, sembra toccare il peggio – i diritti sfumano - mentre ogni plausibile spiegazione resta involta in confusi linguaggi e ogni decisione di salvezza sociale fuori dalla nostra portata.
La spiegazione medievale circa l’imperscrutabilità divina e il peso del peccato sulla distribuzione ineguale delle risorse e dei poteri fra gli umani, sopravvissuta fino a qualche decennio fa,  non può essere riproposta. Anzi sembra essere definitivamente sostituita da una specie di giusnaturalismo aggiornato, secondo cui nasciamo fisicamente simili, ma “naturalmente predisposti alla necessaria competizione sociale”: individui come gazzelle inseguite dai feroci felini che per altri, più feroci e più affamati, sono a loro volta gazzelle.
I maÎtres à penser ben remunerati  ripetono che gli squilibri sociali si sono forse originati  in quel gioco competitivo, che non sono appianabili e che nemmeno è desiderabile che lo siano, perché quel gioco sarebbe fisiologicamente sano e connaturato al giusto ricambio sociale e generazionale. Dunque gli squilibri non possono che presentarsi e ri-presentarsi come dato, intaccabile in misura minima con aggiustamenti migliorativi nei periodi di vacche grasse, cioè quando l’accumulo dei profitti è tale da tracimare dai caveaux dei pochi  e ricadere sulle sguarnite tavole dei più numerosi. (Leggi:effetti benefici del liberismo!)
Dunque siamo inguaribilmente disuguali sia per origine che per esito, a causa della diversa natura delle qualità mentali individuali, dell’aggressività, delle ambizioni, dalla forza di volontà e – parzialmente – anche in virtù  delle differenti condizioni di esistenza date, le quali sarebbero suscettibili di inversione e di miglioramenti, anche notevolissimi, per via dei meriti intellettuali, caratteriali e morali che l’individuo, nella sua incoercibile volontà di potenza, sarebbe capace di mobilitare per raggiungere i propri scopi realizzativi.
 Come dire che la tua povertà, la tua marginalità, le tue difficoltà sono da ascrivere alla tua pochezza, e magari alla tua infingardaggine o alla tua carenza del giusto tasso di aggressività.
Insomma, caro individuo, il tuo destino è unicamente nelle tue mani. Le leggi politiche, le regole economiche sono terra di nessuno: lì, liberi tutti. Dipende da te se la giochi bene o no.
In fin dei conti – qui lo dico, ma poi lo nego se non capisci il mio senso di moderazione – la morale è che la tua riuscita nel mercato del denaro e del potere (il bruscolo o l’eccesso di benessere di cui disponi, il potere di disporre sulla volontà altrui, la garanzia di debita distanza fisica  dalla vista dei morti viventi seminati sul tuo cammino, la distanza dalla loro e dalla tua puzza sbolognata sui loro cortili, ecc….) è ciò che conta, perché tu ti sei speso per la meritocrazia (= emerge e comanda che è bravo!) e tu ne sei la palese testimonianza. Dunque “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

Ma, poiché il sangue non è acqua e poiché quella ratio non convince,  a questo punto si torna al “homo homini lupus”.  E al posto del Leviatano, Stato, Monarca mediatore imparziale dei contrapposti interessi, ci sono i potentati multinazionali dell’industria, della finanza e della ricerca scientifica e bellica (sostenuti e rinforzati da quelli politici e istituzionali saldamente al loro servizio, mentre il privato di calibro si arrangia bene negli interstizi!) che, molto unilateralmente, sono ben orientati a incrementare, con tutti i mezzi possibili, i propri poteri e a estendere il controllo sugli atteggiamenti e comportamenti delle moltitudini, anche e sopra tutto sulle menti e sulla formazione degli individui singoli, perché costoro smettano di immaginare il senso di possibili coesioni collettive, e non gli venga nemmeno in sogno di desiderare e cercare mezzi per superare in modo inedito questo e altri vicoli ciechi della realtà.

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