giovedì 2 giugno 2016

Su Dove trasvola il falco - poesie di Bianca Mannu

Nota 
Parlare  della propria opera può suonare autoreferenziale, vanitoso. 
Riflettiamo un po'.  La poeta, ancor più del poeta, per la nota e non superata questione che una donna avrebbe ottenuto dalla natura qualche marcia in meno, deve superare più ostacoli per dimostrare, non solo che vale,  ma che esiste. Esistere per altri sembra la facile deduzione di una constatazione. E invece non è così. È  richiesto l'assenso di qualche autorevole testimone, meglio se di sesso maschile, il quale si faccia garante. Garante di che, poi?
Dunque supero questa questione rivendicando il diritto di essere madre di me stessa,  certificando la mia esistenza di poeta con l'esibizione della mia scrittura in righe corte e parlando di essa come mio modo di ospitare nel mio spazio interiore esseri e cose e trasformarli in enti comunicabili. Questi, se sono enti e non solo glifi sillabici, tornando all'esterno si trascinano qualcosa che è parte di me e che è irriducibile alla loro scarna natura, ammesso che esista una natura in sé delle cose e delle persone e non si dia, invece, un continuo processo relazionale che neppure la scrittura fissa per sempre. Anzi la scrittura  rimescola passato, presente, eventuale e inopinabile, sommuove anche scuotendole le cristallizzazioni culturali che tendono ad assolutizzarsi e, ripetendosi, a banalizzarsi.
In Dove trasvola il falco  il mio  discorso fa corpo col mio modo di vivere e di essere sarda, di sentirne la storia, di condividere le ansie e le fatiche delle nostre genti  senza compiacermi e specchiarmi in forme sentimentali declamatorie e dicendo no all'erotismo compiaciuto delle "cartoline"poetiche spesso taroccate, come le foto per risultare adescatrici nei confronti del turista. Oggi propongo in dono un riferimento paesaggistico rivissuto come leggenda.


I Sette Fratelli
 
Arcionati in cresta – sette!
Come i sette peccati capitali –
vicine le teste sul corto collo
a confabulare oscuramente
di orrende cose di terra e di mare.

Hanno – di fraterno –
la somiglianza petrosa
il profilo ferrigno
e lo stare prossimi e ingrugniti
come i giorni della settimana
cui s’è guastata la festa.

Di fraterno gli manca
l’invettiva l’avida mano
e il gesto assassino.

Fraternamente dividono
l’ossuta schiena d’una cavalcatura
che attende al passo le nubi
per fingere di galoppare
sopra gli argentei capricci

del mare.