sabato 30 novembre 2019

biancamannu42@gmail.com



Tempesta - Poesia di Eugenio Montale

Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo;
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba d’ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!


Noticina – Preziosa come un vaticinio, gelida e tagliente
come una gemma di cristallo. La dedico a me e a tutti gli  Italiani, alacremente impegnati con il fango.
E al sole, che li sbeffeggia dal cielo e dall’acqua  in turbamento, oppongono sonnambuli  la fiamma del pollice acceso sulla fede di
abitare il bel paese.

giovedì 28 novembre 2019

Tempesta - Poesia di Eugenio Montale




 Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo;
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba d’ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!




Noticina – Preziosa come un vaticinio, gelida e tagliente come una gemma di cristallo. La dedico a me e a tutti gli  Italiani, alacremente impegnati con il fango. E al sole, che li sbeffeggia dal cielo e dall’acqua  in turbamento, oppongono sonnambuli  la fiamma del pollice acceso sulla fede di abitare il bel paese. Eugenio Montale era ligure!







domenica 20 ottobre 2019

Vecchiaia - da Quot dies di Bianca Mannu


VECCHIAIA

Sgranando i suoi dinieghi la vita
sgocciola l’oscenità del suo fondo
Nel lucido rigore che sovverte
impietoso le più mendaci speranze
la disubbidienza irriducibile del corpo
sbeffeggia un “voglio” superstite
nel vacillante tragitto tra muri
e maniglie …
E partorisce il disgusto
del supremo recesso esperito
nell’azzardo mattutino sino al sofà
per leggere
ancora il tempo del niente
sulla rugiada dell’erba.

Nota - La vecchiaia: soggetto di elusione e di pronunciata mistificazione nella società contemporanea. Testo scritto nella penultima decade del secolo scorso, lo dedicavo mentalmente alla fase declinante della vita di mio padre, con quanto di doloroso comportava. Ora sta per dire di me e di quanti, espunti dalla vita produttiva e dalla vita di relazione, "aspettano Godot". 

lunedì 23 settembre 2019

Fabulazioni - da Tra fori di senso - poesia - di Bianca Mannu


Come di passi una fuga
lungo androni
di niente
sdrucciolano fabulazioni -
senza memoria
di senso -
s’affrettano  verso
fine e fini-
occlusi oppure
no -
indefinibili
forse -
fradice di razionali
forme
e forre
e fori
casualmente fuse
in croci
di ramaglie conturbate
da estasi
selvagge
sotto croste di licheni
ispessite
di stanca vecchiezza
esauste
sorde
ai richiami dei venti
singhiozzanti
nell’asmatico flusso
delle antiche lune
affogate nei pozzi
o assiderate
nella brina
che martirizza i germogli

Noticina - Il testo non è recente, ma lì ritorno per l'afflizione del troppo dire fuori dal senso.  Tuttavia la parola, con senso o senza senso, è condizione di esistenza umana. Ringrazio Wrog, laboratorio politico e zona freestyle per i suoi interessanti articoli su scrittura e temi letterari. mi sono permessa di usare l'immagine qua sopra, che trovo bellissima e... parlante! (BM) 



domenica 4 agosto 2019

Étranges étrangeres = Strani stranieri - poesia di Jacques Prévert








Strani stranieri

Cabili de la Chapelle e dei lungofiumi di Javel
Uomini di paesi lontani
Cavie delle colonie
Dolci piccoli musicanti
Soli adolescenti di porta Italia
Bohémiens di porte Saint-Ouen
Apolidi d’Aubervilliers
inceneritori della grande immondizia della città di Parigi
sbollenta tori delle bestie trovate morte in piedi
nel bel mezzo delle strade
Tunisini di Grenelle
Reclutati debosciati
Manovali disoccupati
Polacchi del Marais di Temple di Rosiers

Ciabattini di Cordova carbonai di Barcellona
pescatori delle Baleari oppure del Finisterre
scampati da Franco
e  deportati di Francia e di Navarra
per avere difeso in ricordo della vostra
la libertà degli altri

Schiavi neri di Fréjus
tormentati ed ammucchiati
ai bordi di un piccolo mare
dove poco vi bagnate

Schiavi neri di Fréjus
che ogni sera evocate
nei locali disciplinari
con una vecchia scatola di sigari
e qualche pezzo di fil di ferro
tutti gli echi dei vostri villaggi
tutti gli uccelli delle vostre foreste
e venite nella capitale
solo per festeggiare a passo cadenzato
la presa della Bastiglia il quattordici luglio

Ragazzi del Senegal
esiliati espatriati e naturalizzati

Ragazzi indocinesi
giocolieri dai coltelli innocenti
che vendevate un tempo ai tavolini fuori dei caffè
graziosi dragoni d’oro fatti di carta piegata

Ragazzi troppo presto cresciuti e così in fretta andati
che dormite oggi di ritorno al paese
col  viso nella terra
e con bombe incendiarie che arano le vostre risaie

Vi è stata restituita
la moneta delle vostre carte dorate
vi sono stati resi
i vostri piccoli coltelli nella schiena

Strani stranieri

Appartenete alla città
appartenete alla sua vita
anche se ci vivete male
anche se morite.


Nota  di B. Mannu
Autore poliedrico del Ventesimo, Prévert fu molto popolare in Italia, più per i suoi film che per i suoi scritti. La sua produzione poetica, imparentata alla fotografia e alla cinematografia, fu  considerata di stampo realistico e affine al neorealismo italiano, allora in auge da noi.
Lasciamo ai critici le collocazioni e i limiti nel parterre storico letterario. La sua fama attuale sembra riguardare principalmente le poesie d’amore, testi d’impatto immediato, canzoni senza tempo. Quando, come da noi, tutto vacilla e promette buriane, l’amore, sia pure letterario, è un ideale ombrello di fuga e di sognante asilo. Specialmente in tempi come il nostro che d’«amor sui» e peste ad altrui si fa gridata professione per voce sola e corali.
Invece rileggendo di Prévert certi testi poetici e realistici, che chiamerei impegnati, trovo intera la forza incisiva, ancora parlante. Oltre un secolo di storia, di migrazioni e di immigrati concentrata in questi versi. E mi domando: è Prévert  che ha scavalcato il suo giorno o il suo giorno sta sopra noi e dura a tramontare? In ogni caso lui è grande ed è presente al giorno, noi piccoli siamo un po’ anche morti.

  

giovedì 27 giugno 2019

De sos poetas e de su poetare - di Antonio Altana

Noticina - Trascrivo la secca presentazione di Antonio Altana per i Sardofoni e specialmente per gli innamorati del sardo-logudorese: "Una noa prella de Bianca Mannu Torrada in logudoresu.
È la gemella, per dir così, di quella del post precedente. Come non compiacersi!?


De sos poetas e de su poetare

Zentamine de “eo” sun sos poetas
zente isparta e pèrdida continu
intro de aposentos a pisinu
in mare de pabiros e retzetas
tra sas intragnas de telecanales
imbarcados tra remos e tra velas
o subra parastazos lamentelas
de giojas e anneos virtuales.
Apostorzados in antologîas
che pumatas restadas in sas manos
o in pischeddos de sos ortulanos
resende contos in burgadas ghias
de eddias, caldanas e dolores
de tocasanas cun ervas e chimas
resadas cun sos dicios o cun rimas
o poesia in fumu chena ardores
ch’atraessant sos versos tessidores
cun nuscu lebiu… de lanzas madias.
Zentamine de “eo” sun sos poetas
e onz’unu solu - pro costitussione –
Intro buscica de su Sé ch’impone
Curende ninfas pro notas perfetas
E orchidare in ervas ois e tuncios
cun ramuzos in padru leterariu
ue cosmu grascia, e feu umanitariu
ispuntant in sos pasculos furuncios.
Custos imbarzos dulches de surzire
cun aundadas de licos enzimas
de disizos e de avilimentu
in modu chi su se nadu retentu
leet de deus sas prus altas chimas
e pro modestia, su “deo” bestire
Mancari cun metafora carrale
De su verbu aldiante
Cale siat un’oju universale.
Unu “eo” – usuale a sos poetas –
chi bidet giaras sas cosas atesu
e sensos dae libros at ispresu
cun meda coro e passiones netas
poi pranghent s’esser solu islacanadu
cun sos amores in bida torrados
e un’astiu ferale rinnegadu.
Ispiant cussu “tue” chi in issos mancant
e cando no impitadu
che iscrannu abbratzadu
in chilciu de lugherra lebiu tancant.
E sa poeta! Apoi osservassiones
e pianghida onzi movida de coro!
poi de meda declarare issoro
de tocasanas pro sas passiones…
e onzi solitu visciu cunclamadu
pro cantu regulare l’at ammissu
apende faladorzas traessadu
e pro d’nz’unu disanimu fissu
isparghet a modellu universale
compudu cun medida catastale…
poi d’aer pintu frisos iscuridos –
in longu e largu e fintzas de traessu –
sos mazores ispantos coloridos –
regoglidos a fortza in donzi essu
de su “eo” poeticu cumbessu
in s’arcana natura remonidos
e in sas supesadas de cussentzia
chi litzitu isciarit sa parfentzia
de su proite asie no frecuente
reguardu a cussu “eo” esistentziale
de poeta ch’isbotat de repente
puru in antipoeticu sinzale -
e in parte bonucoro o sindigale
de cussu nois prus pagu aparente –
chena su cale bene non bi campat
perune – ma est neune si li mancat?

giovedì 20 giugno 2019

Dei poeti e del poetare da "Tra fori di senso" di Bianca Mannu

Dei poeti e del poetare



Una folla di io sono i poeti.
Una folla sparsa e persa
dentro chiuse stanze
su spianate di carte
su telecanali
a bordo di velieri
nominali
di virtuali scaffali di doleances
di minimali gioie
di virtuose paranoie.

Assiepati stanno nelle antologie
come invenduti pomi
nelle ceste dei fruttaioli
di periferia
scandendo stagioni
scoprendo meteopatie verbali
proponendo meteo terapie
in rima e in libera caduta.
Ivi la poesia – un fumo
o forse meno – traversa i versi
con un vago sentore … di scansia.

Una folla di io sono i poeti.
Ciascuno è solo - per costituzione -
dentro  la vescica del suo Sé
a gestire il demone del canto
a grufolare tra l’erba delle parole/pianto
a ruminare sulle pampas letterarie
dove Natura Bella
e umanità meschine
fioriscono in pascolo ferace.

Questi gli alimenti da metabolizzare
con i fluenti enzimi
del desiderio e della frustrazione
di modo che il Sé - nato piccino -
prenda statura da Dio
e per modestia
prenda nome di io
magari sottinteso nella persona
del verbo contemplante
che funge da occhio universale.

Un io – quello dei poeti –
dallo sguardo ipermetrope
e molti libreschi sensi
molto cuore e altri
debordanti sentimenti.
E piangono i poeti
la loro sublime solitudine
i loro oltretombali amori
i loro feroci e denegati odi.

Spiano quel tu che a loro manca.
E –  quando non usabile
a guisa sgabello –
lo stringono –  in effigie –
nel cerchio
della loro flebile lucerna.

Il/la poeta! Dopo aver
sperimentato e pianto
ogni specie – consentita! –
di emozione …
Dopo molte dichiarate
antalgiche passioni
e ogni conclamata smania -
regolamentare! –
avendo percorso clivi
di personale scoramento
e averli estesi a modelli universali
di catasto e di visura …

Dopo aver dipinto in fregi neri -
Chiudere fuori un problema è restare prigionieri del proprio pregiudizio.
Un poeta è niente, se resta sordo ai triboli dei suoi simili.
per lungo per largo e per traverso -
le più colorate sensazioni –
raccolte in forza
della specifica   entratura
dell’Io poetico
nei misteri della Natura
e nell’ascesi della Psiché -
lecito è domandarsi

“Ma perché
risulta così inusuale
che l’Ego esistenziale
del Poeta
si scopra  e si dichiari –
magari in forma antipoetica -
parcella solidale e sindacante
di quel noi meno formale –
senza di cui bene ci campa
alcuna gente -
ma senza di cui si è … niente?”                                                  

sabato 8 giugno 2019

Quot dies - poesia edita di Bianca Mannu nella raccolta omonima


QUOT DIES

 
Processione di giorni crocifissi
alla fretta meridiana del pasto
che nulla concede a melopèe
conviviali di drammi abusati.

Tempo contratto sul filo di bava:
crinale che incide e sutura
i due lobi coscritti del giorno.

Giorni somiglianti ad altri giorni
come chiodi ad altri chiodi
alla bocca della stessa chiodaia.

E, inospiti, sgranano …
Dissimile è il rosario dei pensieri
Sorti agli estremi taglienti …
… degli orli.

Una pace cattiva li esala
e li intesse di silenzi petrosi
con l’ansito assiduo degli occhi
inselvati in un “oltre” profano.




 



lunedì 20 maggio 2019

Macchinismo - inedita di Bianca Mannu


Macchinismo
Scrosciano le ferraglie sulle gomme:
una statale appena - sognandosi autostrada -
ferocemente scuoia i suoi budelli …
Avvolge di furia indietro
la sua di piombo lunga
faccia in stato di fusione

Tra rombi e strida
la sua mascella si mantiene ortogonale
ai raggi della stella meridiani
ostentando proterva la squisita insegna
dell’artificio umano

Nessuna affinità con l’innocenza assassina
dell’acqua stravolta e senza sguardo
figlia di terra che strapiomba
in teoremi d’obliato senso

Scroscia e stride indiscussa
l’arroganza piena d’occhi invece
del nostro  familiare manufatto
che ci traveste da dei
pronti al misfatto.
  
Scroscia e stride vellicando
il fondo del diaframma viscerale
sulle nostre paure addormentate
dentro i crani disattivi
blindati in credenze … d’arredo

Sbraita oltre gli orli degli sperefundos [1]
l’arroganza – gasata e tronfia –
del Divus Tecnologicus –
pastore di customer senz’anima
                                  
Suonano ignote  in quei baratri
delle nostre sciagure multiformi sirene
e di cani abbandonati arbitrarie
echeggiano canee
allo scoccare d’ogni solstizio estivo

Svegliarsi – addormentarsi - svegliarsi
ri-addormentarsi e ri-svegliarsi
(orribile  nenia pendolare) nella gola degli urti
tra i fumi dell’attrito e il singhiozzo dei clacson –

tra ermetici silenzi e il pulsare dei fari –
tra le sirene perforanti e l’intervallo infetto
trafitto da voci – quasi pigolii  pungenti
di atterrati moribondi e redivivi  gementi

 L’archiviazione postuma procede segnando
sul conto delle funeste coincidenze
l’ennesimo misfatto - quasi che
un possente vulnus - forse più ineluttabile
della gagliarda perfidia personale -
sia fatalmente inscritto nell’umano come tale

Così ogni figlio di madre bipede –
senza più domande – impara  sul campo
a scassare gli ingranaggi della vita
a spostarli sul gaudioso menù dell’idiozia
e ad archiviare esiti simili perversi
quali prodotti di detta variabile spettrale 
che cade pronta da un cielo sempre verticale

a imprimere  il suo definitivo  ruggito
a calcoli … già perfetti! – … A meno che Allah -
o chi ne ostenti la procura -  
se ne attribuisca cura e “merito”!




[1]Dal Sardo  = precipizio, dirupo. (N.d.A.) 

Notarella -Non ho l’abitudine né la presunzione di commentare in versi la cronaca del giorno. Ma come ogni poeta/scrittore o, se preferite, battitore libero (Quanto mai suddita d’un genere, la lingua!), battitore libero di testi, tasti ed erbe di brughiera, esposta (bando alla concordanza!) al cipiglio  di scettrati e coronati, degna del segno meno  - con cui si decorano “les femmes” d’ogni  classe – sono porosa a quanto vortica d’intorno, specialmente agli effetti di certi meccanismi.
Oggi apprendendo svolgimento ed esito, debitamente filmati e postati sui social, della folle corsa di due ultratrentenni Peter Pan, sono tornata a questo mio testo, il cui senso mi auguro venga colto nella sua allusiva esorbitanza dal gesto richiamato. (BM)

domenica 21 aprile 2019

Mitica Resistenza - inedita di Bianca Mannu

Mitica R.  

Da bambina la conobbi in foto
che sorrideva – mitica –
a una primavera in grigio

Di lei – si diceva – s’erano innamorati
come di una bella Circe
sciami di giovani che chiusero la guerra

Alquanti perciò dormivano
eterni ragazzi
sotto alle croci nella terra

Di lei si malignò per lungo tempo
come di una bella indocile
che a tanti disse no

Ora si curva il mio canuto capo
sull’impietrito onore
ma non trova asilo
nel più antico rancore.

A me era dato un tempo
che aveva il fiato corto
della fatica giornaliera
dell’andare avanti

calciando sassi contundenti 
avvolti negli stracci logori
d’una assonnata compassione
che procedeva torpida
ed anche un po’ puttana
pronta al baratto
di pezzi d’anima e lumi di cervello

Sessant’anni di niente
per andare a cavallo d’una pertica
dal niente al nulla
come se avessi da sempre
 vissuto dormendo
tra gli stracci della culla



Nota - Perché mitica? Perché ero piccola ed ero sarda: un lichene su una costa d'arenaria. Mitica malgrado i libri di storia, mitica per via delle riduzioni, mitica per il suo cuore ideale ed etico-politico testimoniato dal tributo di sacrifici e di sangue, mitica per le immancabili aderenze con la sporca guerra alla quale fascismo e nazismo costrinsero i popoli. Mitica perché di nuovo i negazionisti sembrano avere il fiato degli addormentati sul cuscino deì leaderismi più sbracati, mitica perché "il prima noi" fa paio col "prima io" a giustificazione razionale (falsa razionalità!) ed etica perversa delle abissali differenze sociali, e si unisce a spregio della salvaguardia del pianeta. Mitica perché il sogno di Olimpia viene frequentemente tradito negli stadi. Mitica perché lo spirito gregario e semplicistico attraversa molti gangli istituzionali e la così detta "opinione pubblica" sembra avere sussurri di fronda e grondare fede mitologica in chi urla :io voglio, io faccio, io per tutti. E ogni riferimento a 360° non è casuale. (b.m) 
Nota II, riferibile a quest'autunno postelettorale del 2022 e dopo aver dovuto sopportare lo sconcertante e perfino buffonesco teatrino messo su da una nutrita parte dei politici nazionali. Come infinite altre volte, ho assistito alla commedia degli inganni, in cui parole e gesti  risultano merci di scambio per la messa in scena successiva. Cari comunicatori e non onesti chiosatori, inamidati Commessi istituzionali, siete l'immagine speculare d'un popolo confuso e incolto, al quale continuate a dare "circenses" al posto dell'essenziale. Ma nemmeno un popolo ingannato può considerarsi e dirsi innocente. (b. m.)     
  

giovedì 18 aprile 2019

Pagine letterarie: Metafisica

Pagine letterarie: Metafisica: L’arsura della terra e la lontananza del cielo: così rarefatto è il grido del singolo, pellegrino claudicante di Bianca Mannu Per...

domenica 24 marzo 2019

Ve lo dico in versi - messaggio in bottiglia di Bianca Mannu

Non c'è abbastanza forza, non c'è abbastanza animo e perizia di parola, non posso contare su una dialettica capace di graffiare l'irta superficie di questo presente che ci vuole tutti innamorati della parola definitiva dall'apparenza secca che si svende (e tu l'accatti come una pepita regalata dalla dea bendata) e che invece - ma senza inganno, perché  così ingenuo non sei - esibisce schizzi e sbrendoli di visceri... Niente ti pare più autentico d'un viscere che parla! E ti sembra che parli proprio a te e per tuo conto: ah! Un contatto diretto con la verità in persona... Sì, sta scritto in tutti gli spot, in quasi tutti i post dei social, in maree di soap opere e di films, di articoli di stampa e di pubblicazioni online, sta scritto che la verità alberga nel buco più profondo d'uno sfintere capace di vellicare all'azione le mani, i piedi, la bocca, e i loro prolungamenti meccanici.  Sentirsi vendicato e nutrito, anche per un solo istante di sogno! 
Oppure? Oppure dubita di questo tutto, che certo è molto incattivito perché ha dimenticato l'Origine, la grande Ragione originaria che aveva per ogni cosa il ruolo e la parola giusta, una, quella del re, del papa, del principe, del signore locale, quella dello sgherro, che tanto avevano in un dio silenzioso e cifrato il Disegno, e non c'era da sbagliare. Lo sbaglio è avvenuto, sarebbe avvenuto, - costoro non usano tanto volentieri i dubitativi - per colpa di chi, indisciplinato, ha provato  a progettare un altro ordine con altri indisciplinati. Così, è nata la confusione generale, dicono certi signori - pure accademici titolati - i quali si stanno riunendo a consesso per rimettere le cose a posto, al modo del bel mondo antico del rispetto e della pace! 
A ben guardare questi due corsi si connettono bene fra loro, perché nulla vieta all'uomo del buon tempo antico e alla donna della casa di sentirsi appellati da dio tramite i propri visceri, tutti assemblabili sotto il nome di anima. Il Lui di turno sarà magari una grande Anima, ma lei resterà sempre un po' più piccola, indicabile con la lettera minuscola.
Essendo un po' disperata per lo stato terreno e celeste, io, qualche mia perplessità, ve la dico in versi estrapolati da  mie diverse composizioni con cui non mi consolo.

In marcia

Torme di umani in marcia: miseria generale.
Ciascuno si sente infetto del problema personale.
Il dorso sopra i visceri contratto a inutile difesa.
Sibillina o mortifera circola anonima –
in agguato- mista alle polveri - l’offesa
nel vento detonante.
Si sosta in cunicoli e in anfratti di muri per sfuggirle –
si veglia in bilico sul piede della fuga
si trattiene il respiro sopra il lume cieco
della vita afflosciato sul suo minimo
dentro il sistema limbico …
Si sposta con le torme dei fuggiaschi
una miseria fetida di morte.
Di morte in morte riaffiora
aggrappata alla creatura puntata sul resistere.

Spiaggiata in corpi esausti - arranca verso
gli angoli d’un mondo che la teme
come se già non ci dormisse insieme …
Involta nelle pieghe ora più fruste
di vesti scombinate da molteplici accidenti
tuttavia dilaga oscenamente maschia
nel sole dei giardini
s’infratta nei timidi cespugli
quasi a voler scansare l’evidenza
che impone del derelitto la familiarità con l’indecenza.

La città nobile scioglie nel frizzo mattutino
tra eleganti palazzi il traffico operoso
e fluisce umanamente babelica
intorno al suo epigastrio.

Ma a sera espone l’opulenza dei lumi
esulta di colori e di profumi
spumeggia di movida espone sul passeggio
l’indifferenza ferina dei carini e il loro futile corteggio.
Ecco l’immagine di copertina.

Ma - come la notte avanza incontro alle ore piccoline –
     s’attenuano le luci e i belli
tornano ad abitare i lussuosi ostelli.
Allora sono le ombre dei porticati e degli androni
a riempirsi di sbadigli sussurri e strabalzoni …
È l’altra umanità che – suo malgrado –
occupa la lista d’ombra della quinta –
che il nottambulo rasenta senza averla distinta –
che l’ultimo galoppino delle pizze
annusa fuggendo verso il suo fastigio
gravido d’un domani che – già se lo figura –
riserva solo appena qualche sfumatura di grigio.

Luci basse in quarta di copertina.

Solita storia

Che cos’altro ti pare
rimanga da fare
per noi figlie sempre obbedienti
al femminino perentorio
fabbricato all’esterno
indi importato come  legge
del paterno romitorio.
..........................................

Che cos’altro resta da fare
dopo l’amore  voltato in dovere
dopo i bambini da partorire
dopo le pappe da confezionare
dopo le febbri da curare
appresso agli infanti da sorvegliare
agli scolari con cui compitare
e alla morale da impartire –
insostituibile vicaria fedele
dell’ostinata griffa patriarcale?

Resta forse un pezzo di vita:
esser presenti al finale di partita.
Avendo vissuto – o donna oscura -
l’altrui vita per procura
da protagonista or puoi recitare
il tuo atto unico di grande  bravura
 e ancor prima del tuo requie
disporre per altri funebri esequie.

Se sul finire del tuo tragitto
 ti resta un raggio d’intelletto
puoi tracciare un rigo netto
e segnare in verbo asciutto
d’avere fatto quasi tutto:
ma negli annali della Storia
di te ben poco resta in memoria.

Dicendoti donna fedele e modesta
la tua legge è rimasta questa:
in prima istanza la famiglia
con la carriera del marito
fonte di grano concupito.
Il matrimonio della figlia
è una meta e l’occasione
di alzare l’asta della magione.
La politica e la burocrazia
son per il pargolo la giusta via.
.....................................................

Ma quivi giunta forse la vita
ti regala stizzoso un prurito
di celebrarti con lo scritto
poiché bazzicasti a lungo la scuola
e sai compitare qualche parola

Lo scritto in versi l’avevi nel sangue
il tema è pronto e da tempo langue
nel tuo diario dove – ibernato -
giace il tuo cuore innamorato.

Innamorato e di nuovo  fremente
per quel giovane avvenente
che  imperversò nella tua vita
lasciandoti sola e impoverita.
Se ancora vivo e con l’aterosclerosi
non può godersi l’apoteosi.
 Nel Web


… lungo le strade del Web
sulle piazze del web
certi menestrelli
privi di pappagalli
distribuiscono a tutti i naviganti
miracolose ricette volanti
ghermite in angoli dispersi –
smarrite perle - diresti –
secondo cui – volendo - potresti
conseguire con facilità
gioie tante
dolori scarsi
comunque cosparsi
di polveri esilaranti
 e di finta felicità …
In rivolta

Tracima
in rivolta
fino al bianco degli occhi
il mio sangue
a sballottare un pensiero
incapace di farsi
parola.

Quale parola?
Forse questa che posa
disponibile
sulla soglia più esposta
al passaggio di chiunque
o l’altra più in là
moralista
che occupa un’ampolla
che pare di vetro
e quasi sta … di pietra?

Né ampolla né vetro
ma l’erompere
in colposa trasparenza
come rrrabbbia:
montante gorgoglio dell’erre      
scagliata sull’«a» 
di repentino acciaio       
erta a comprimere il fiato
verso la fessura orale
in tenuta semistagna  
per effetto di inavvertiti
argini labiali –
innesco meccanico
definitivo scatto in fuori -
sparo di senso
in mezzo all’aria esterna
che si sposta stupita
e già stanca.

Il nome della rabbia
è il ricordo spettrale
del sangue agli occhi
del lampo assassino
nelle iridi incassate
come fucilieri pronti
dietro le feritoie
dell’immaginazione.