lunedì 23 gennaio 2017

Bianca legge L'ANTRO DEL MOSTRO - esordio poetico di Alessio Simoni

Premetto che la prima sezione del presente scritto è stata pubblicata su ALIUD foglio aperiodico su temi e problemi di poesia e di prosa. 

Un libro per esistere
Opera prima in versi di Alessio Simoni, ventiquattrenne.
Un titolo ad effetto e a richiamo di certa iconografia filmica attuale? Macché; è una metafora che traduce efficacemente e visivamente la problematicità del rapporto di Alessio con la sua condizione umana fisica, col suo sé psicologico, con l’immagine di sé che il flusso allusivo/elusivo del milieu comunicativo umano insistentemente gli rinvia. Detto in parole povere, lui è il “mostro” perché tale si ravvisa nella propria evidente e insormontabile “disabilità-difformità”, a causa della quale e per la quale ha dovuto dare nome al luogo “adeguato”- “l’antro” - che “anonimamente” gli è stato assegnato. Si tratta di quella fortezza-prigione in cui scoprirsi chiuso e chiudersi, a tu per tu con l’ambivalente se stesso per come si sente e si sa. (Malcom X invitava i Neri a demolire anche lo steccato mentale con cui ciascuno rinforza soggettivamente l’esclusione oggettiva. Il meccanismo è identico per il “disabile”, ma forse peggiorativo). 
L’antro risulta altresì frequentato dalle personificazioni  fantasmatiche dei vissuti di Alessio, nelle quali  probabilmente convergono  tutte le negazioni fisiche, culturali e sociali, i travisamenti emotivi e affettivi agiti e subiti, gli spettri edonistici, estetici e utilitaristici - di cui si nutre la società contemporanea. Questi elementi diventando costitutivi delle istanze e degli inceppi dell’io, sono gli assidui torturatori delle esistenze - quella di Alessio, ma non solo, - inevitabilmente discoste dagli inarrivabili quanto instabili modelli della norma dominante, biecamente competitiva ed escludente.
Queste, le tracce della tematica di fondo,  da cui prendono corpo le composizioni della raccolta. Siccome il libro proviene da una direzione di cui il senso comune, colto e incolto, non si occupa, esso potrebbe apparire come prodotto avventizio, carico di  incertezze lessicali e morfologiche e di evidenti defaillances stilistiche – forse fastidiose, per i cultori del “poetese” in vernice –, le quali indubbiamente ci sono, ma sono il prezzo per un percorso iniziale non propenso all’omologazione nel “carinismo” edificante o nella pura goduria verbale, oggi proposti e accolti.
Da un antro ci si aspetterebbe, più che la parola del “mostro”, l’urlo, il pianto, l’accecamento, il ripiegamento afasico, il silenzio suicida,  ma anche, forse meglio, l’ingannevole e prefabbricato cliché consolatorio … su cui commuoversi e  poi mettersi l’animo in pace.
A ben riflettere da lì, di solito, non giunge alcun segno, a causa di filtri invisibili e spessi che si sommano alla comune sordità;  da lì non giunge quasi nessuna nozione di persona in carne ossa, né di sua rabbia o suo pensiero, ma solo narrazioni   fatte da altri, magari con intenti edificanti, con riferimenti a formalità  e ad astrazioni generali e generiche, boccaporti piuttosto che itinerari umani, a simulare accoglimenti e  premure ambigui e pelosi  con cui il “diversamente abile” e autocosciente sperimenta i duri impatti col sociale che si spaccia per “aperto”…
Ed ecco che salta fuori un … Non salta fuori per niente … Anche solo per questo cenno timido di “io ci sono e penso e scrivo” sotto forma di libro, messaggio in bottiglia lanciato in faccia alla sordità babilonese del nostro tempo … quanto sforzo, quante difficoltà!  Un libro, dunque,  esposto al sole e allo stesso tempo abbuiato in un colore d’ombra su un tavolino che pare di nessuno,  in una piazzetta di una delle più remote banlieues di mondo, in una “Mezcla” culturale periferica messa su da un pugno di ragazze …
Questo libro non è il fungo di una sporulazione anomala. Per ciò che dice e  per tutta la tensione ideativa che contiene, è stato necessario - non un qualunque pezzo di esistenza di un qualunque  medio cittadino - ma lo sfiato silenzioso e prolungato di una tensione fortissima, ignota al mondo, mantenuta dolorosamente per le redini contro la sonnolenza del congelamento e della compressione nel sottosuolo dell’esistenza … Dietro il “fatto/libro” si deve collocare una primigenia e autoprodotta scuola di volontà-decisione a vivere pensando e volendo comunicare, si devono  intuire le prove a esistere e  resistere da parte di Alessio, quindi la sua irruzione  - né immediata né pacifica, si presume - nel mondo del simbolo, come quella di un assetato che si accosti a un’acqua  torbida e persino letale. Entrarvi con i pochi strumenti carpiti a questo mondo avaro e circolarvi come un alieno, fare i conti con banalità dure come sassi e tirate a lucido come autentiche verità, e volersi proiettato in mai prefigurate avventure nella dimensione della parola, alle prese con un linguaggio che scalpita tra il letterario di altissimo lignaggio,  magari scoperto nell’antologia scolastica, e quello dell’uso metropolitano, morfologicamente selvatico.
Che Alessio, in quanto studente, abbia dovuto buttare l’occhio, sui massimi poeti della tradizione classica, appare un fatto quasi ovvio. Ma che vi abbia indugiato e se ne sia servito autonomamente con lucida audacia, insinuandosi nei saporosi componimenti della poesia classica antica (Adriano, per esempio) e medievale (Francesco d’Assisi e Cecco Angiolieri)  per pensare se stesso e dare forma a quel suo pensarsi, con esiti interessanti, è indice di un viraggio formativo importante e l’inizio di una ricerca stilistica nella direzione di un pensiero potente che rilegge la condizione personale  e “politica” dell’umano e del mondo di oggi in una dimensione ecumenica.
Sta ancora compiendosi l’oscuro percorso di Alessio per  trasformare in parole-suono, in parole-stridore, in parole-cesoia, in parole-grinfia, l’arsione di essere ciò  che il corpo obbliga e ciò che ci si vuole costituire(errata corrige) sempre e di nuovo: uomini. E il corpo fa quello che vuole, come disse la scienziata Montalcini, ma la testa, il pensiero sono io. Per Alessio ciò che abita il corpo e costituisce l’umano  è “l’essenza”. Essa è “meraviglia” e il corpo ne è rifugio, bara aperta e tempio. Per questa meraviglia, fragile anch’essa, che smentisce e nobilita le miserie del corpo e si traduce in impegno civile e morale, vale la pena accettare il difficile compito di sentirsi parte, pur sofferente e discorde, ma consapevole, del genere umano. Da questa inquietudine può nascere autentica poesia.
 
Il corpo e la parola

Quando il corpo vivente incontra la parola, questo incrocio  diventa discorso.
Quando il discorso prende di mira senso e significati, il corpo si scarnifica, in quanto diviene parola e anche parola scritta; questa si stacca dalla pura materialità originaria, la quale tuttavia permane  come presenza assente nella sussistenza produttiva del discorso. In tale congiuntura, la corporeità stessa, pur così intrusiva e fatto scontato, diviene il presupposto  recessivo del parlante/scrivente; cioè qualcosa che, letterariamente, non ha presenza, se non come allusiva e generica sorgente della costruzione del corpo-mondo verbale. Perché il corpo, nella sua nuda essenzialità, è letterariamente osceno e, più che materia bruta, è il congegno amovibile per discorsi eventuali, è dispositivo che mette in atto qualcosa che sorge dalla fisica vivente e si fa capace di elaborare discorsi nei più vari stilemi, ma nei quali il corpo come tale si risolve e dissolve.
Leggendo parecchi scritti, di poeti e prosatori, ma non solo, si ha l’impressione, anzi la netta percezione, che verso o discorso siano un paludamento del corpo che dice e scrive rimanendo in eclissi come entità fisica. Esso, o espressamente richiamato o rimanendo sottinteso, risulta emendato dalla propria carnalità  animale.
Anche là dove emerga rappresentato in scabrosa ipermetropia descrittiva, resta simbolizzato, e riconsegnato ai quadri, ai modelli attraverso cui viene elaborata la sua possibile trasformazione e accettabilità culturale. L’umano eccede la sua pure 
 insuperabile  fisicità/animalità.
Anche nella raccolta di versi L’antro del mostro, il corpo, corpo del mostro nel suo luogo appropriato, l’antro, pur dichiarando un riferimento  urgentemente biografico e personale, subito mostra un proprio paludamento: cioè è già elemento mentale, psicologico e storico letterario. E nondimeno il rivestimento simbolico indica una condizione reale: consistenza inquietante e negativa del corpo/prigione e persino quasi colpa. L’esperienza occlusiva ed escludente della fisicità cagionevole in questo mondo che la taglia ipocritamente fuori  dalla sua norma, trapassando nel corpo- parola e nelle sue declinazioni relazionali con altri corpi reali e “parlati”,  pur insistendo come condizione fisica in atto, è già spirito-mente del corpo in  parola.
In altri termini, è nel mondo del simbolo che si concretizza il ruolo della corporeità, cioè  i canoni della  sua proponibilità estetica ed etica, la barriera delle idiosincrasie pregiudiziali, il raggio degli accoglimenti e dei  rifiuti e la presa di coscienza della loro consistenza ed efficacia, della loro conflittualità e/o confluenza . E lì si delinea la dimensione mitologica e metaforica tramite cui si travestono  o si rivelano i portati del personale col sociale  e col politico.
 Alessio Simoni, per esempio, si “veste” da Nano, racconta la sua inutile ricerca d’amicizia-amore-completamento umano,  si fascia di speranzosa  Illusione e annaspa nel gorgo delle assenze. Ciò malgrado emana una propria Essenza  che eccede e supera la povertà corporea e, in qualità di  “ Tranquilla anima leggiadra” ospite del corpo/bara/tempio, trova alimento e procede nella ricerca libera e salvifica del senso, per mezzo e  oltre i duri limiti fisici e il sempre incombente immiserimento psicologico. Talora l’Alessio/pensiero/parola si libra disperdendosi come granello senziente nella condizione di natura/parola sotto il regime del Sole: concetto/immagine materna piuttosto che paterna. Ma poi intuisce che quella luce “è come un imbroglio che nasconde”…  Come dire che l’univocità della natura è un effetto mitologico e che nell’universo simbolico tutto è manipolabile.
E ancora Alessio si iscrive al registro dei Fuori asse  umani, rivendica la sua condizione “diversa”, e da quella prospettiva, cerca di valersi intelligentemente della possibilità di contestare ogni atteggiamento schematico, di  dissentire rispetto ai comodi luoghi comuni, per sperimentare, invece, l’autonomia del pensiero inquisitore, indicando nella ricerca di conoscenza e nella discorsività scientifica la possibilità di sorvolare a tratti, più che  il fango della  condizione a termine dei viventi, la sentina dell’insulsaggine e della follia che costantemente minaccia il genere umano, gonfio della propria millantata “supremazia”.
Ma Alessio sa bene che l’ottimismo della volontà personale ha respiro cortissimo: potenti lacci di ogni risma, compresi quelli sociali e culturali, si strutturano nell’“io” in catene di paure, di pregiudizi e di egoismi millantatori. La dimensione grettamente individuale impatta col delirio. Esso è sintomo dell’eccesso, talora  compresso e distorto oppure ignorato, che caratterizza l’umano. Delirio di possesso, delirio di potenza/impotenza, delirio di mancanza, sete inesauribile di quel qualcosa che si libera nel rapporto di riconoscimento io-altro, di quel qualcosa di necessario alla nostra pur precaria completezza, quel qualcosa inattingibile in un “mondo diviso” e che vi permane come assenza. Quando il delirio prevale “assume le facce ordinarie, le mostra a tutti, le fa odiare”.
Il delirio, si sa, è la risposta emotiva e panica a un dato insopportabile perché insuperabile come dato: la frammentarietà e discontinuità dell’umano, e l’erotismo negato. L’erotismo è quel “di più”  che si manifesta come ricerca dell’esperienza totalizzante con l’altro. Comprende l’amore, la morte e il legame col tutto.(cfr Bataille)  Il delirio, dice lucidamente Alessio Simoni, non è mai pago, risucchia ogni sentimento in vortici di carenze e sovrabbondanze, e l’amore stesso è demone e angelo che dà e leva rare possibilità di gioia. Considerazioni che  indicano la valenza erotica  di cui è impregnata la sua raccolta di versi. Vi è espresso l’erotismo del corpo, quel volersi identificare e compiacere in una propria fisicità e impattare invece nelle irrefutabili insanie della natura matrigna, fonte di dolore e minaccia di morte. Vi circola l’erotismo dell’anima quale immanente esperienza della discontinuità esistenziale e del suo necessario tendere al complemento relazionale, ma vi si coglie l’urto del suo scacco, reale o presunto, e il senso di una disperante  solitudine.
Anche l’erotismo del sacro  si manifesta chiaramente in questa silloge. Talora si esprime come negazione di un’entità trascendente dotata di poteri superumani nel cui seno addormentare il male del corpo e il male di vivere, talaltra come possibilità opposta, seme di speranza circa la reversibilità del male verso il bene; altra volta tale erotismo del sacro si manifesta in afflato cosmico, come esperienza interiore del profondo e necessario legame di ogni uomo con i suoi simili e dissimili viventi, con la natura in perenne resistenza al nulla incombente.
Tutti i temi e le problematiche essenziali del vivere umano formano il contenuto dei testi. In quali forme li elabora Alessio?
A una prima lettura sembra imporsi una certa discrasia tra la profonda tensione ideativa, stimolata dall’immediata urgenza dei vissuti e della loro portata ecumenica, ma  debolmente suffragata da riferimenti dottrinari ancora oscuri, e la realizzazione testuale in cerca d’uno stile autonomo. È ben vero che l’elaborazione in versi rende possibile – almeno secondo una visione popolareggiante – una quantità di licenze e passaggi espressivi al limite della perdita di senso, di riferimenti concettuali e di logica, ma è anche vero che un poeta neofita, portatore  di una materia prima così significativa, come quella che percorre le pagine di L’antro del mostro, ha necessità di maneggiare con perizia lo strumento linguistico e di affinare la scelta lessicale, se desidera che il proprio messaggio sia, quanto meno, inteso, se non goduto.  
Per ora, il primato del contenuto è lo zoccolo duro della scrittura di Alessio, ciò che non è poco in un momento e in un contesto letterario locale che spesso si scioglie in compiacimento dentro un vacuum verbalistico di finte emozioni.

Avendo scelto le parole “mostro” e “antro” per rappresentare la propria condizione, ma anche la propria inusitata  e “oscura” attività  vitale, che involge i più diversi e contrastanti sentimenti e meccanismi ideativi, Alessio dimostra di saper cogliere in modo diretto e coraggioso la potenza metaforica e polisemica della parola.

domenica 15 gennaio 2017

Da DOVE TRASVOLA IL FALCO - COME STRANIERA IN QUARTU - Bianca Mannu

         Quesito:Ci si può sentire stranieri in patria ? Ahimè, sì.  Non si annunciava alcuna crisi ... Però la pelle  diceva che i segni erano attivi, perché una società si ammala, parendo sana. I sintomi sono già avvertibili da coloro che hanno antenne sensibili, volte all'interno e all'esterno della propria coscienza vigile. 




         

  

  

   







       Come straniera


         Dentro il petto un silenzio mi divora
con aguzzi dinieghi - ancora e oltre
l’incandescenza rossa delle cifre
che il tempo mi accende dentro gli occhi.
Stilla il suo lento veleno nel grumo
mio - gonfio di tenebra e di pianto.

Denso fratello di silenzio e d’ira
i propri freni stride sull’asfalto
infoscato nell’ombra più cupa
della bruna discarica di cocci
e di cementizi residui - dove
neppure la mala erba rampolla -
dove il tempo del sole vi arde opaco
un proprio volto di color malsano .
Ora di radi e miopi lumi è sparsa:
l’assomigliano ad un presepio finto
oppresso dai maligni sortilegi
d’una borea povera di stelle.

Altro silenzio d’ansiti stizzosi
sorprende gli australi falansteri
addormentati come eretti cavalli
di Troia sparsi su strade insonni
per troppa luce e invisibili voci
di briachi accosciati sui tombini
a farfugliare il salterio ai ratti -
a ruttare vinosi vituperi
ai gatti vagabondi e irsuti.

Singhiozza sull’imbronciato quadrivio
un silenzio clochard senza riparo,
un silenzio di fuga e di abbandono,
un silenzio di gelo e di speranze - morte.

Un silenzio fosforoso piove
sulle arene allucinate, esposte
a lunghe bave d’alito cattivo
che l’empio suolo restituisce
e il cielo chiude entro le appendici sue
orlate d’insana porpora e di solfo.
Silenzio folle di gemiti e sussurri
stanco silenzio umido di pianto.

venerdì 6 gennaio 2017

ARROSSARONO - poesia da "Alluci scalzi" di Bianca Mannu



Arrossarono …

Arrossarono i giorni
le bandiere.
Arrossarono gli uccelli
di passo
contro il cielo
arrossarono embrici
asfalti e camini
arrossarono popoli
d’ erbe
sulle prode
arrossarono costole
di monti e siepi
all’orizzonte …
Arrossarono
il sangue già rosso
e di rosso colmarono
abissi di sdegno.
E tutto – con la notte -
il rosso annerì.
E non trovò strada
per il ritorno
 










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