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giovedì 25 febbraio 2021

L'ALTRA METÀ DELL'UOMO - poemetto in IX stanze - Bianca Mannu

Dedicato alle donne e al marzo delle donne

I

Gineceo … come ipogeo
 
La storia era partita senza scorte -
su per giù così ben prima di Saffo -
ché per allora si moveva vuota
d’ogni scelta muliebre per sentenza
d’ogni nozione di piglio controverso
d’ogni scimmia di dottrina maschia
in voce bianca e di gentile aspetto …
Mai che donna avesse corale udienza
e il suo dire prendesse ala di precetto
ma scimmia del padre in voce di falsetto
sempre nella oikìa risonasse
 in sua eco perfetta.   
II
Maschia  la cifra …  
 
Era la polis neanche in germe sogno
quando il kyros dominava dall’akros
su quanto palpitava nell’oikos
E già - per tacito costume - a stuolo
aedi digiuni ed àuguri affamati
con vili bifolchi e ignobili accattoni
stanno alla stoa d’arroganti Aristoi –
tediati signori di non pingui armenti –
alla razzia come alla guerra avvezzi
e ad altre usanze – benché regali- atroci
Tutto era maschio allora per l’assetto
convenuto - pur in sacro peplo involto

 III

Appartate …

Compresse in obbligate stanze
donne a oblique dee imparentate
– possibili olocausti –  quasi nulla
di pubblica evidenza – al più alveare
per produzione padronale : fattrici -
nutrici in turnover per regola d’età -
di varie trame tessitrici - all’ira
esposte di Partenos – operaie tristi
 di sudari e di lugubri trapassi –
ministre vicarie di pargoli ed ancelle
in  tempi/luoghi circoscritti  - regni
che Giove mai diresse di persona

IV
 Crogiuoli d’angustie


Valuta – o Zeus – l’ancillare suo status:
ad Erinni ed a Moire “insorellata”!
Per natura o per Fato disarmata
docile manufatto a sua insaputa
come s’anche la mente amputata avesse!
Di sé - mutila alquanto e deprezzata -
un alias per noia tesseva inopinato
nelle pieghe del suo ambito privato …
Ed ali  nutriva - cupide di volo -
in preda al capogiro di gemmare
da sé un suo doppio irriducibile:
cheloidi - maschio e femmina – in uno
quali spiriti nel Fato perturbati

V
Tempo del sacro

Agli Aristoi compete – grato nume –
disporre il nodo del sacro col profano
- interrogati gli àuguri - e imporre
ai coadiuvanti sequenze e modi
a norma d’uso consacrato.
“Per le più ambite e molto audaci imprese
l’arduo assenso divino impetrerai
con somma pietas  e con  zelante cura
- la vittima sacrale sull’altare
degna dell’entità dello scongiuro.

 VI
Dedica

Per convenuti segni  - dalle schiere
di pizie importune e di veggenti orbi
di sgradite mogli o di sleali ancelle
d’esecrate etère o d’infanti inermi  -
- tra l’una e l’altra parentesi lunare            
o del  pigro corso generazionale -
nel viluppo segreto e transeunte
dei suoi moltiplicati equivoci –
per oblazione era estratto  un ente  
… pressoché filiale
In qualità d’umano paradosso
era dunque dal padre-re promosso
all’appetito scosso d’un simulacro
ospite d’un nume in auge …

VII

Guiderdone

Immane prezzo e senso della prova
per la vittima segnata “a sé già persa”
nel santo tiaso o nel mistero assurdo
Sciolto in rituali dissimulatori
e assise conviviali il panico sacro
a individuali spasimi intrecciato:
 impetrare la comune buona sorte
 scongiurare imminenti carestie
la colpa e il suo ristoro ripartire
sotto la potestà del dio: per sempre 

VIII

Combinazioni

Forse accadde -  e per più volte accadde -
che una famula di provata devozione
 - con licenza di filiale sbrego – al padre
il pugno infragilito teneramente aprisse
onde allentare i sigilli al sordo tempo
e  accelerare del suo moto la misura :
sì che il gesto uscito uno e individuale
si dispose nella storia a campione generale
e si chiamò  progresso! 

IX

Ricorrenze in asintoto 

Ma ancora e fino a un “sempre” più caduco
l’umano - col de iure insieme - inventa
sue procedure autoassolutorie
e trasmutando dimentica
e  deriva in … replicanti tragiche 
giaculatorie. 



sabato 31 marzo 2018

UNA LETTURA IN DIRETTA di ANGELA ARGENTINO


Nota di Bianca Mannu . Ecco una poetessa e scrittrice che, mentre legge un libro non suo, scrive osservazioni e giudizi,  interroga e dialoga con i testi e gli autori. Sì, in questo caso lo fa spontaneamente, e con semplicità  ci chiede se noi autori vogliamo leggere in pubblico i suoi commenti. Abbiamo in testa i soliti commenti frettolosi del social. Diciamo di sì, ma poi ci rendiamo conto che non è possibile, data la lunghezza,  nel corso di una presentazione. Ci impegniamo a pubblicarne su questo blog.  
Il suo scritto è un seguire quasi passo dopo passo la silloge di poesie “Sulla gobba del tempo” la cui foto postata su fb ne segnava l’uscita editoriale e poi la 2^ presentazione a Quartu S. E.
Angela Argentino, sembra leggere quasi ad alta voce; lo fa, come si può constatare, in un modo molto singolare, scevro da formalismi e da presunzioni autoreferenziali, né si appiattisce sul modello dei vuoti pourparler invalsi nei crocicchi di fb, magari scompigliando le inquadrature, che di lei e di noi e di altri,  i bigdata della rete estrapolano quali atteggiamenti più solidi e frequenti. 
In ogni caso Lei ci offre un modello di lettura in diretta, perché, a quanto pare, lei “sa leggere”!
Trascrivo integralmente risparmiando un po’ sugli spazi.
*****

Angela legge Sulla gobba del tempo



Qualche tempo fa sono entrata nel cerchio magico di alcuni poeti sardi. Li leggo e  li sento vicini. Il libro ‘’ Sulla gobba del tempo’’ mi ha portato le voci preziose di 4 di loro a cui vorrei far giungere, oggi, le parole che ho segnato a margine di certe loro poesie.

Mariatina Biggio sa racchiudere in poche parole miracolose  la memoria e il dolore, il tempo e le sue spoliazioni.  La sua poesia è racchiusa in cammei incastonati in un bracciale di parole che a volte diventa sottile e inutile struttura alle pietre preziose di alcuni versi di rara bellezza. Imparerà che la riduzione può triplicare l’ineffabile musica di Eros che ’’ nel nulla si infiora’’ mentre lei ‘’...musica l’ora del sogno, in bocca la luce dei baci..’’
‘’Ero pietra rimossa’’. In questo solo verso la tenace volontà di vivere nel sole.
Nel verso  ‘’ isola di nuove stagioni’’ coniuga in poesia la solitudine umana e le  poche speranze dell’uomo, al sogno dell’immensità dopo di noi. 
Sa cantare il Tempo, Mariatina.
Il tempo di una casa, il tempo di una persona diventati invisibili al tramonto.
E’ l’anima, la sua interlocutrice; un’anima sollecitata che va incontro al corpo per diventare insieme, altare nel vento. 
E’ fatta di attese che si accumulano sul cuore, la sua vita.
E’ alla Memoria che lei affida l’estrema comunione tra gli uomini;  è alla Speranza che lei innalza il suo cantico perchè l’uomo semini ancora bontà e saggezza.
Persino i sogni infranti sono un pane da spartire in una comunione tra gli uomini e il creato. Infine, è una Eucarestia che Mariatina innalza alla sua Sardegna, mensa sulla quale ha raccolto tutti i doni e tutte le meraviglie.

******
A Bianca Mannu piace perdersi nella pluralità semantica delle parole. Già il titolo della sua raccolta mi obbliga a certi interrogativi:  stagioni nuove e nuova mente?  o  temporanea mente come intelligenza provvisoria per il tempo della nostra vita?
Tutte le sue poesie richiedono impegno; sono profonde,sofferte.
‘’Curva minore’’ è per me la concezione descritta come  un teorema di fisica.  Suona al mio cuore con la stessa forza dell’equazione della relatività.
Il risultato è una sapiente cecità che vive e si spegne.

Ora dimmi, cara Bianca, se è mai stato detto con tale forza cosa è l’essere umano? Sei tu l’istante perso? Quell’atomo in corsa che ha perso la sua corsa un istante, per farsi raggiungere dal sole? Ora trasformata in mille e ancora mille istanti che ubbidiscono alle leggi dell’elettronica, una vita umana sotto un cielo che esiste in forza del suo nome, e tu Bianca, creatura Bianca, che sente il suo tempo già passato come quello di una stella la cui luce ci arriva dopo la sua morte.  Del futuro fai già un passato .

 Il tuo ‘’vizio di vivere’’ è tutto un discorso  di pezzi di sé, estranei a se stessi ed è tutto un attrarre nel tempo  breve della vita, il breve tempo a noi concesso per esercitarci  a carpirne il mistero e la ragione. E in questa ricerca  che ci vede come amebe inconsapevoli, affamate di vita, nonostante noi, impariamo il vizio di vivere.
In ‘’Sintesi e dispersione’’  mi sono persa. Poesia altissima.
Ho visto tante guerre  tra verbi e sostantivi  ‘’ ...su dissonanze vocaliche ALITO malferma...’’  dove ALITO può essere verbo ma ho pensato che tu lo avessi VOLUTO concepire come un sostantivo maschile  da accoppiare ad un aggettivo femminile, a sottolineare un conflitto tra geni, entrambi approssimativi e di genere diverso.
‘’ll tempo tesse l’assenza ‘’ un altro verso dove dichiari di non appartenere alla vita ma di percepirti solo come un’immagine fissata di essa .
’’... Indecidibile...’’  e non indeciso  è  il tuo presente perché impossibile da determinare. Mi hai condotta alla fine a guardarti ridotta a un ‘’ biocco di polvere tra spifferi vagante sull’ammattonato’’ 
Il tuo ‘’ scampolo per-verso ‘’ già dall’attacco arriva allo stomaco come un pugno, per il pronome  indicativo ‘’ questa’’, indirizzato alla vita, che non osi nominare.
 E descrivendo passaggi, ingressi forzati, strettoie e affanni,  chiusa in questo ‘’pugno ossuto’’, continui  a ricevere l’oltraggio del tempo.
 In un veloce excursus verso il passato che fu di ‘’ sensi aperti’’ ora ‘’ questa’’ ( di nuovo il rifiuto a chiamarla vita) tu poetessa e donna ,ti presenti come un ammasso di sensi volti solo a proteggerti. Gli occhi per guardarti attorno senza cadere e la bocca muta.  
E’ tutta giocata sugli ossimori del tempo, la poesia ‘’ Rinascere’’ , poesia preziosa nella sua scaltra velocità di slittamenti semantici e temporali. Tutto un lanciarsi  verso l’attimo che tutto ribalta e tutto conclude e nello stesso tempo, esso stesso incapace  e consapevole di non potersi annullare.
Mi è rimasto, alla fine della ripetuta  lettura delle tue poesie, un senso di luminosa e illuminata disperazione, un invito a guardare la vita o chi per essa, ad occhi aperti, con un sorriso ironico che lasceremo inesplicato.
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Carlo Onnis  procede con chiarezza nell’esposizione del suo sentire interiore, così pregno, così affranto, cosi rassegnato ma anche così glorioso nei suoi i canti alla Natura.
Ha posto una sua poesia a compendio del suo testamento poetico e umano. L’ha posta alla fine della sua raccolta e si intitola ‘’Teorema’’
Quasi l’ esposizione di una legge matematica, in essa stende il bilancio della vita al  tramonto  ‘’memoria morta sul sorriso comune,nudo come la rosa senza giardino’’
Magnifiche le sue immagini aperte alla natura, colme di mestizia e di una dolcezza lieve come carezza. Albe e  tramonti, uccelli in volo, onde insonni;  tutto il suo mondo di Sardegna e tutta la sua anima di uomo, si fondono in poesia sommessa.
‘’Fui una volta’’ è un testamento lasciato sul tavolo, sotto i raggi di un sole ad occidente, la vita di un uomo raccontata come il  volgersi delle stagioni: semi, germogli, spiga e stoppia ma anche pane ormai consumato che mi  richiama il detto arcaio ‘’  ‘Εφαγε το ψωμi’ του’’  (‘Efaghe to psòmi tu = Ha mangiato il suo pane )  di colui che ha consumato quanto gli era stato dato per cibo.
In tutte le poesie di Carlo ho colto dei passaggi, dei travasi,  come in ‘’Talismani’’ dove dalle labbra sgorga l’acqua che va a dissetare l’anima .
Una poesia mi ha dato la misura di quanto Carlo lamenta come continua perdita :‘’ Trecce nere’’ . Quelle ‘’ ...trecce nere sulla schiena/ fianchi di cerbiatta...’’  è un ricordo sconvolgente per plasticità ed evocazione. Una primavera stesa ai piedi degli amanti che vive   ormai solo nel ricordo. No, non possiamo  dire che ‘’ vive ’ .  E’  presente, torna di tanto in tanto, confonde il calendario, rattrista ancora. 

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Fra tutti i poeti, Giuseppa Sicura, presenta  le poesie più difficili da leggere. In esse, volutamente, confluiscono le parole della tecnologia e vengono affrontati dei temi oggettivamente difficili da esprimere con le parole della poesia cui siamo abituati.
‘’ Sbalzi di coscienza’’ ci introduce subito a una mancanza o perdita di equilibri e il linguaggio stesso è difficile ricerca di armonia. Ci presenta un mondo disumanizzato e supertecnologico dove l’uomo è stato cacciato alla periferia.
 Affronta i temi del viaggio e dello spaesamento non in chiave pesonale ma sociale  e civile. Implora  ‘’pietas’’  per l’uomo colpito dalle ingiustizie   ‘’...  non stormi di rondini / ma colonne di profughi in  marcia/ per un grammo di terra/ per un soffio di vita’’  
Dubbi e miserie umane affida con un ricordo leopardiano alla luna che guarda a grand’angolo; la solitudine umana  viene osservata ‘’...dall’ alto come un drone...’’, le   relazioni umane si affidano alle maglie infide del network;  la superficialità e la banalità vengono consacrate da un tocco sulla tastiera. A consolazione e rifiuto esce la sua poesia disincantata ‘’...in fretta ripristino il balcone/ annaffio le mie ore/ incolonno i giorni/ inseguo il valzer lento dei girasoli’’ In questo ossimoro di inseguire la lentezza e il quotidiano, sta la sua scelta come persona e come poeta.
‘’Banca del dolore’’  ha un ritmo incalzante nella metrica. L’eco dei versi  crea  emozione;  i temi sociali della migrazione, della disoccupazione e della solitudine urbana, sono uno schiaffo . Ma poi ecco arrivano i versi della chiusa  ‘’ l’augurio che a tutti sia lasciato il respiro /e restituito  grano  e lievito (‘’ lievito e grano’’ sarebbe suonato più musicale ma Giuseppa ha scelto di essere aspra in questo suo discorso)  e    ’’...  lo zucchero per qualche domenica/ dignitosa’’  non rima nè  musica nè un  apparente nesso.
Giuseppa opera la scelta consapevole di usare  aggettivi in apparenza sconnessi, collegati a  certi sostantivi che invece sono chiari a prima vista nel verso  della stessa poesia.
 Se lo ‘’   lo zucchero per qualche domenica’’ appaiono immediatamente come  tazza e cucchiaino per un caffè domenicale, ecco che a capo, nella riga sottostante,appare l’aggettivo ‘’dignitosa’’ che pur sapendo essere  riferito a domenica, sta lì, solo e in castigo, ad aspettare che tu trovi il suo senso.
Tanti neologismi, anche di provenienza anglofona, richiamano la tecnologia disumana che ha portato l’uomo a vincere sull’uomo con armi diverse.
Sempre, in queste poesie difficili, perchè erto e spinoso è il linguaggio di Giuseppa, c’è un grido, un’implorazione ‘’...perche la tua scienza affonda/ e non trova parole nè accordi/ nè fiori nè ferri/ che fermino gli odi e le guerre?’’
Giuseppa, in questa raccolta si è assunta il non facile compito di fare poesia con le parole aride  della tecnologia, ancora senza senso, solo denominazione di merce su scaffali  ma poi si scioglie da esse, dal loro  peso di morte e anche con le parole aride che getta all’aria come immagini slegate, crea una poesia dura e di denuncia  ‘’ traffici sfrenati/ di fameliche formiche/ cicche di sigarette/ e macchie di rossetto    ‘’ ... ad intrecciare due coordinate/ che rivelino in mare/ un carico di uomini illusi ‘’
Ci sono tanti  imperativi nella  scrittura di Giuseppa, e uno magnifico sta nella poesia per me piu bella ‘’ La scala’’ 
 ‘’Datemi una scala/......./per arrivare al cielo..’’
Tutta la poesia è un  grido, un’invocazione, uno sdegno, un pianto e la caduta del sipario su tanta vergogna inflitta dall’ uomo sull’uomo e dall’ uomo sul pianeta.
Poesia civile e  scomoda dove l’elegia si è  nascosta e si è racchiusa in ciò  che  Giuseppa non ha voluto dire. Una poesia di mancanza che non è facile da leggere.


Gli autori di SULLA GOBBA DEL TEMPO: Mariatina Biggio - Bianca Mannu - Carlo Onnis - Giuseppa Sicura - ringraziano sentitamente.






venerdì 17 febbraio 2017

Una gradita corrispondenza con ANTONIO ALTANA - appassionato poeta sardo logudorese

Nota di Bianca - Sarda del Sud, so ben poco dei vari idiomi dell'Isola e delle "Isolette". Sono un'inguaribile italofona, di cui non accampo né lode né biasimo. Fu mio padre a cantarmi il sì che suona, lui, internazionalista, così innamorato dell'italiano e dei suoi grandi artisti.
Non è certo la prima volta che io e Antonio Altana entriamo in corrispondenza. E certo di ciò - faccio per dire - m'incolpo, visto che sono io a propormi a lui, e non solo a lui, come autrice di testi e stampe, cerino che si accende e si spegne, come tanti, nella grande Babele  telematica. E lui, lettore attento, mi gratifica da poeta qual è. E allora io, per un verso, mi fregio dei suoi doni per dare più corpo alla mia minuscola fiammella letteraria; per altro verso, tentenno e non sono ancora capace di dare una risposta netta alla domanda: ma, se scrivesse sonetti irriverenti verso i tuoi testi, li pubblicheresti nel tuo blog?  Tergiverso un po', ma poi rispondo: . È l'esca di eventuali colloqui a più voci ad attirarmi comunque.  E poi c'è di mezzo il mio mini-romanzo, Camilla.  Mi spiace che non se ne sia detto neppure male. Tale sono!
Si noti nei versi sottostanti, tanto nell'idioma logudorese (originario) quanto nella traduzione italiana (dell'Autore stesso) il perfetto rispetto dell'incatenamento delle rime in entrambe i sonetti. Ciò indica che A.Altana prende le distanze dalla propensione in voga, in cui peraltro mi riconosco: quella che dismette le forme classiche a favore del verso libero, il quale può mascherare il semplicismo e persino l'imperizia linguistica, appiattendosi su un parlato che restringe i riferimenti concettuali al vissuto lessicale più immediato e superficiale. Per converso, l'ossequio formale può produrre, specialmente nelle traduzioni, delle torsioni lessicali, sintattiche e di senso, che nuocciono  alla duttilità espressiva.   
Il ventesimo secolo - senza calcolare notevolissimi annunci -  ha conosciuto la destrutturazione delle forme cristallizzate, nella pittura, nella scultura, nella musica, nella letteratura (poesia e prosa), nella danza, nel pensiero filosofico, nei modelli delle varie discipline scientifiche spesso antesignane di inaudite trasformazioni...



Da Antonio a Bianca

Apo acabbadu de leger "kamilla" e ti fato sos prus bellos cumplimentos. Unu libru chi sues e ingulles chena tind'abizare. Unu libru chi afrontat sentidos de rara bandizada e trama a unicu tratu chi custringhet medas bortas su letore a assaborare licuras fora dae su cuntestu pro menzus tratrenner ritmos e gustu. Gai apo detzisu de ti fagher immodestu unu sonete cun sa tua (pretesa) solita traduida, isperende chi ti aggradet.





Camineras de ischidu

Lùghida caminera de sentidu
intrigada tra litos e bujores
sìrigat bida cun licos sapores
e giamat alas pro bi fagher nidu

Paralinfa e bandida de dolore
in èdola s'arrundu trobeidu,
tramas e de cussu ch'as bestidu
no as ischirriadu su minore.

Linfa bidale dae ramos sicos
sues e solves ferta abbeddiada
e astras brios cun buddidos ticos

Ses tue caminera islacanada
pro dare ponte, arrundu cun aficos
e a dulche amore edonica venada


                      




Ho finito di leggere “Camilla” e ti faccio
i più bei complimenti. Un libro che assorbi e divori quasi senza accorgerti. Un libro che affronta tematiche  inconsuete, con una trama lineare che talvolta induce il lettore a rileggere passi estratti dal loro contesto per cogliere meglio ritmi e stile. Così ho deciso di comporre e donarti un sonetto accondiscendendo anche alla tua solita pretesa di averne la traduzione. Spero che ti piaccia. (L'audacia premia i forti, si dice. Così, a lume di naso, Bianca ha tradotto.)




Sentieri del sapere (traduzione di A. Altana)

Luminoso sentiero di passione
 groviglio tra le selve del far sera, 
germoglia vita farcisce la sfera
e chiama l'ali al nido che dispone.

Bandita e paraninfa, una brughiera 
dell'edera rifugio, opposizione
trami e, nell'ordito il tuo alone
 brilla di viva luce alla raggiera.

Linfa vitale dalle gialle foglie
 suggi e dissolvi le brinate pene
e brio congeli con roventi doglie.

Tu il sentiero, né muri né catene 
per dar ponti, riparo, porta e soglie
e dolce amore edonico tra vene.


martedì 26 maggio 2015

Poeti e parole

I poeti hanno a che fare con quanto  materialmente li tocca e li ferisce  e con quant'altro dai corpi espande come luce, ombra e forse onda, d' incorporea insistenza: parole e segni d'alfabeti gonfi di febbri e di affezioni atti a combinare innaturali matrimoni e figliare creature stravaganti, intrusive, inquisitorie, lesive,derisorie,  lenitive, subdole ed elusive, aguzze e taglienti per scapezzare la banalità indecenti di certi materiali ambienti per nulla o troppo ospitali. Anche versi suadenti per lettori frettolosi e diffidenti .
Mi consento il lusso con la gioia di rubare due poesie a due poetesse ignare e di aggiungervi  la mia per fare
un terzetto, un cibreino, un guazzetto, né di cielo né di mare.


La parola piccola di Angela Argentino

Io la cerco la parola piccola e scolpita
vigile nel silenzio.

Mi tira in cerchio
dentro un mal di testa
e sta lì
a me sola visibile.



Una voce da tempo di Giuseppa Sicura 

Una  voce da tempo 
mi cammina a fianco
penetra nera nei silenzi


impalpabile luna
segue la mia orbita
spande le sue fosche ombre

e intanto dentro me
ogni granello si  fa montagna
ogni ferita figlia
di cellula impazzita