Nota di
Bianca Mannu . Ecco
una poetessa e scrittrice che, mentre legge un libro non suo, scrive
osservazioni e giudizi, interroga e
dialoga con i testi e gli autori. Sì, in questo caso lo fa spontaneamente, e
con semplicità ci chiede se noi autori
vogliamo leggere in pubblico i suoi commenti. Abbiamo in testa i soliti commenti
frettolosi del social. Diciamo di sì, ma poi ci rendiamo conto che non è
possibile, data la lunghezza, nel corso
di una presentazione. Ci impegniamo a pubblicarne su questo blog.
Il suo
scritto è un seguire quasi passo dopo passo la silloge di poesie “Sulla
gobba del tempo” la cui foto postata su fb ne segnava l’uscita editoriale e
poi la 2^ presentazione a Quartu S. E.
Angela
Argentino, sembra leggere quasi ad alta voce; lo fa, come si può constatare, in
un modo molto singolare, scevro da formalismi e da presunzioni autoreferenziali,
né si appiattisce sul modello dei vuoti pourparler invalsi nei crocicchi di fb,
magari scompigliando le inquadrature, che di lei e di noi e di altri, i bigdata della rete estrapolano quali atteggiamenti più solidi e frequenti.
In ogni
caso Lei ci offre un modello di lettura in diretta, perché, a quanto pare, lei “sa
leggere”!
Trascrivo
integralmente risparmiando un po’ sugli spazi.
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Angela legge Sulla gobba del tempo
Qualche
tempo fa sono entrata nel cerchio magico di alcuni poeti sardi. Li leggo e li sento vicini. Il libro ‘’ Sulla gobba del
tempo’’ mi ha portato le voci preziose di 4 di loro a cui vorrei far giungere,
oggi, le parole che ho segnato a margine di certe loro poesie.
Mariatina Biggio sa racchiudere in poche parole miracolose la memoria e il dolore, il tempo e le sue
spoliazioni. La sua poesia è racchiusa
in cammei incastonati in un bracciale di parole che a volte diventa sottile e
inutile struttura alle pietre preziose di alcuni versi di rara bellezza. Imparerà
che la riduzione può triplicare l’ineffabile musica di Eros che ’’ nel nulla si
infiora’’ mentre lei ‘’...musica l’ora del sogno, in bocca la luce dei baci..’’
‘’Ero
pietra rimossa’’. In questo solo verso la tenace volontà di vivere nel sole.
Nel verso ‘’ isola di nuove stagioni’’ coniuga in poesia
la solitudine umana e le poche speranze dell’uomo,
al sogno dell’immensità dopo di noi.
Sa cantare
il Tempo, Mariatina.
Il tempo
di una casa, il tempo di una persona diventati invisibili al tramonto.
E’ l’anima,
la sua interlocutrice; un’anima sollecitata che va incontro al corpo per diventare
insieme, altare nel vento.
E’ fatta
di attese che si accumulano sul cuore, la sua vita.
E’ alla Memoria
che lei affida l’estrema comunione tra gli uomini; è alla Speranza che lei innalza il suo cantico
perchè l’uomo semini ancora bontà e saggezza.
Persino i
sogni infranti sono un pane da spartire in una comunione tra gli uomini e il
creato. Infine, è una Eucarestia che Mariatina innalza alla sua Sardegna, mensa
sulla quale ha raccolto tutti i doni e tutte le meraviglie.
******
A Bianca Mannu piace perdersi nella
pluralità semantica delle parole. Già il titolo della sua raccolta mi obbliga a
certi interrogativi: stagioni nuove e
nuova mente? o temporanea mente come intelligenza
provvisoria per il tempo della nostra vita?
Tutte le
sue poesie richiedono impegno; sono profonde,sofferte.
‘’Curva
minore’’ è per me la concezione descritta come
un teorema di fisica. Suona al mio
cuore con la stessa forza dell’equazione della relatività.
Il
risultato è una sapiente cecità che vive e si spegne.
Ora dimmi,
cara Bianca, se è mai stato detto con tale forza cosa è l’essere umano? Sei tu
l’istante perso? Quell’atomo in corsa che ha perso la sua corsa un istante, per
farsi raggiungere dal sole? Ora trasformata in mille e ancora mille istanti che
ubbidiscono alle leggi dell’elettronica, una vita umana sotto un cielo che
esiste in forza del suo nome, e tu Bianca, creatura Bianca, che sente il suo
tempo già passato come quello di una stella la cui luce ci arriva dopo la sua
morte. Del futuro fai già un passato
.
Il tuo ‘’vizio di vivere’’ è tutto un
discorso di pezzi di sé, estranei a se
stessi ed è tutto un attrarre nel tempo
breve della vita, il breve tempo a noi concesso per esercitarci a carpirne il mistero e la ragione. E in questa
ricerca che ci vede come amebe
inconsapevoli, affamate di vita, nonostante noi, impariamo il vizio di vivere.
In ‘’Sintesi
e dispersione’’ mi sono persa. Poesia
altissima.
Ho visto
tante guerre tra verbi e sostantivi ‘’ ...su dissonanze vocaliche ALITO malferma...’’ dove ALITO può essere verbo ma ho pensato che
tu lo avessi VOLUTO concepire come un sostantivo maschile da accoppiare ad un aggettivo femminile, a
sottolineare un conflitto tra geni, entrambi approssimativi e di genere diverso.
‘’ll tempo
tesse l’assenza ‘’ un altro verso dove dichiari di non appartenere alla vita ma
di percepirti solo come un’immagine fissata di essa .
’’... Indecidibile...’’
e non indeciso è il
tuo presente perché impossibile da determinare. Mi hai condotta alla fine a
guardarti ridotta a un ‘’ biocco di polvere tra spifferi vagante
sull’ammattonato’’
Il tuo ‘’
scampolo per-verso ‘’ già dall’attacco arriva allo stomaco come un pugno, per il
pronome indicativo ‘’ questa’’,
indirizzato alla vita, che non osi nominare.
E descrivendo passaggi, ingressi forzati,
strettoie e affanni, chiusa in questo ‘’pugno
ossuto’’, continui a ricevere
l’oltraggio del tempo.
In un veloce excursus verso il passato che fu
di ‘’ sensi aperti’’ ora ‘’ questa’’ ( di nuovo il rifiuto a chiamarla vita) tu
poetessa e donna ,ti presenti come un ammasso di sensi volti solo a proteggerti.
Gli occhi per guardarti attorno senza cadere e la bocca muta.
E’ tutta
giocata sugli ossimori del tempo, la poesia ‘’ Rinascere’’ , poesia preziosa
nella sua scaltra velocità di slittamenti semantici e temporali. Tutto un
lanciarsi verso l’attimo che tutto
ribalta e tutto conclude e nello stesso tempo, esso stesso incapace e consapevole di non potersi annullare.
Mi è rimasto, alla fine della ripetuta lettura delle tue poesie, un senso di
luminosa e illuminata disperazione, un invito a guardare la vita o chi per essa,
ad occhi aperti, con un sorriso ironico che lasceremo inesplicato.
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Carlo Onnis procede
con chiarezza nell’esposizione del suo sentire interiore, così pregno, così
affranto, cosi rassegnato ma anche così glorioso nei suoi i canti alla Natura.
Ha posto
una sua poesia a compendio del suo testamento poetico e umano. L’ha posta alla
fine della sua raccolta e si intitola ‘’Teorema’’
Quasi l’
esposizione di una legge matematica, in essa stende il bilancio della vita al tramonto
‘’memoria morta sul sorriso comune,nudo come la rosa senza giardino’’
Magnifiche
le sue immagini aperte alla natura, colme di mestizia e di una dolcezza lieve
come carezza. Albe e tramonti, uccelli
in volo, onde insonni; tutto il suo
mondo di Sardegna e tutta la sua anima di uomo, si fondono in poesia sommessa.
‘’Fui una
volta’’ è un testamento lasciato sul tavolo, sotto i raggi di un sole ad
occidente, la vita di un uomo raccontata come il volgersi delle stagioni: semi, germogli, spiga
e stoppia ma anche pane ormai consumato che mi richiama il detto arcaio ‘’ ‘Εφαγε το ψωμi’ του’’ (‘Efaghe to psòmi tu = Ha mangiato il suo pane
) di colui che ha consumato quanto gli
era stato dato per cibo.
In tutte
le poesie di Carlo ho colto dei passaggi, dei travasi, come in ‘’Talismani’’ dove dalle labbra
sgorga l’acqua che va a dissetare l’anima .
Una poesia
mi ha dato la misura di quanto Carlo lamenta come continua perdita :‘’ Trecce
nere’’ . Quelle ‘’ ...trecce nere sulla schiena/ fianchi di cerbiatta...’’ è un ricordo sconvolgente per plasticità ed
evocazione. Una primavera stesa ai piedi degli amanti che vive ormai solo nel ricordo. No, non possiamo dire che ‘’ vive ’ . E’ presente,
torna di tanto in tanto, confonde il calendario, rattrista ancora.
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Fra tutti
i poeti, Giuseppa Sicura, presenta le poesie più difficili da leggere. In esse, volutamente,
confluiscono le parole della tecnologia e vengono affrontati dei temi
oggettivamente difficili da esprimere con le parole della poesia cui siamo
abituati.
‘’ Sbalzi
di coscienza’’ ci introduce subito a una mancanza o perdita di equilibri e il
linguaggio stesso è difficile ricerca di armonia. Ci presenta un mondo disumanizzato
e supertecnologico dove l’uomo è stato cacciato alla periferia.
Affronta i temi del viaggio e dello spaesamento
non in chiave pesonale ma sociale e
civile. Implora ‘’pietas’’ per l’uomo colpito dalle ingiustizie ‘’...
non stormi di rondini / ma colonne di profughi in marcia/ per un grammo di terra/ per un soffio
di vita’’
Dubbi e
miserie umane affida con un ricordo leopardiano alla luna che guarda a
grand’angolo; la solitudine umana viene osservata
‘’...dall’ alto come un drone...’’, le relazioni umane si affidano alle maglie
infide del network; la superficialità e
la banalità vengono consacrate da un tocco sulla tastiera. A consolazione e
rifiuto esce la sua poesia disincantata ‘’...in fretta ripristino il balcone/
annaffio le mie ore/ incolonno i giorni/ inseguo il valzer lento dei girasoli’’
In questo ossimoro di inseguire la lentezza e il quotidiano, sta la sua scelta come
persona e come poeta.
‘’Banca
del dolore’’ ha un ritmo incalzante
nella metrica. L’eco dei versi crea emozione;
i temi sociali della migrazione, della disoccupazione e della solitudine
urbana, sono uno schiaffo . Ma poi ecco arrivano i versi della chiusa ‘’ l’augurio che a tutti sia lasciato il
respiro /e restituito grano e lievito (‘’ lievito e grano’’ sarebbe
suonato più musicale ma Giuseppa ha scelto di essere aspra in questo suo discorso)
e
’’... lo zucchero per qualche
domenica/ dignitosa’’ non rima nè musica nè un apparente nesso.
Giuseppa
opera la scelta consapevole di usare
aggettivi in apparenza sconnessi, collegati a certi sostantivi che invece sono chiari a prima
vista nel verso della stessa poesia.
Se lo ‘’
lo zucchero per qualche domenica’’ appaiono immediatamente come tazza e cucchiaino per un caffè domenicale,
ecco che a capo, nella riga sottostante,appare l’aggettivo ‘’dignitosa’’ che
pur sapendo essere riferito a domenica,
sta lì, solo e in castigo, ad aspettare che tu trovi il suo senso.
Tanti
neologismi, anche di provenienza anglofona, richiamano la tecnologia disumana
che ha portato l’uomo a vincere sull’uomo con armi diverse.
Sempre, in
queste poesie difficili, perchè erto e spinoso è il linguaggio di Giuseppa, c’è
un grido, un’implorazione ‘’...perche la tua scienza affonda/ e non trova
parole nè accordi/ nè fiori nè ferri/ che fermino gli odi e le guerre?’’
Giuseppa,
in questa raccolta si è assunta il non facile compito di fare poesia con le
parole aride della tecnologia, ancora
senza senso, solo denominazione di merce su scaffali ma poi si scioglie da esse, dal loro peso di morte e anche con le parole aride che
getta all’aria come immagini slegate, crea una poesia dura e di denuncia ‘’ traffici sfrenati/ di fameliche formiche/
cicche di sigarette/ e macchie di rossetto
‘’ ... ad intrecciare due coordinate/ che rivelino in mare/ un carico di
uomini illusi ‘’
Ci sono
tanti imperativi nella scrittura di Giuseppa, e uno magnifico sta
nella poesia per me piu bella ‘’ La scala’’
‘’Datemi una scala/......./per arrivare al
cielo..’’
Tutta la
poesia è un grido, un’invocazione, uno sdegno,
un pianto e la caduta del sipario su tanta vergogna inflitta dall’ uomo
sull’uomo e dall’ uomo sul pianeta.
Poesia
civile e scomoda dove l’elegia si è nascosta e si è racchiusa in ciò che Giuseppa non ha voluto dire. Una poesia di
mancanza che non è facile da leggere.
Gli autori di SULLA GOBBA DEL TEMPO: Mariatina Biggio - Bianca Mannu - Carlo Onnis - Giuseppa Sicura - ringraziano sentitamente.
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