Il mio impatto con
la politica italiana, mi manda periodicamente in apnea o mi agita come un vento
improvviso. Sì, per quanto l’età e il contare niente mi consentano di assistere
e ricordare. Smagata, sto sola e parlo con me stessa e con eventuali altri (immaginari!), del mondo che un poco so , quello politico che,
pur ignorandomi, mi ha sempre trovata e variamente colpita, oltre che
inquietata.
Mi viene da
osservare che non c’è scampo dall’improvvisazione che alimenta l’elettoralismo,
e da questo che la fomenta e la incalza. E va così, secondo me, dalla Bolognina
in poi, anzi da prima: dalla proposta berlingueriana del Compromesso Storico, sfociato
nella tragedia della lotta armata da cui si è usciti annichili per via di una
sorta di sentimento di sospetto e di colpa diffusi, tali da indurre i partiti
della sinistra a correre verso abiure di pancia e a inneggiare alla caduta del
Muro, come se con quello fossero caduti tutti i muri, non solo fisici e
ideologici, ma quelli sociali, razziali e politici, che invece si sono
moltiplicati sfociando in una miriade di guerre. A un sonno della ragione se n’è
subito sostituito un altro, per cui con l’acqua sicuramente inquinata delle piaghe
ideologiche, specialmente quelle di stampo “sovietista” giudicate più
pericolose, si è gettato via il nerbo della riflessione teorica sulle logiche
di sistema e il patrimonio sociale e culturale che aveva animato la parte più
nobile della lotta politica di base.
Dopo, preceduto
dall’edonismo reganiano, c’è stato in Italia l’intervallo fescenninico del Cav.,
che ha frullato con la sua non disinteressata munificenza molti cervelli
ritenuti pensanti. E poi, com’è noto, L’Europa ha bruscamente suonato la fine
della presunta “ricreazione”, ossia del welfare state, un lusso che avrebbe
provocato l’indebitamento degli stati nazionali. (Chi sa mai perché, il pane che mangiano gli
umani di ciurma è sempre quello che pesa troppo e mette in pericolo di naufragio
il vascello!)
Ma la crisi
sistemica mondiale (la famigerata tempesta senza autore o del dio
impunemente accusato!) aveva già fatto fluire i suoi veleni in tutte
le direzioni mettendo in una condizione di difficoltà irreversibile i baluardi
veri e finti delle economie e delle politiche nazionali, innescando una lotta di tutti contro tutti (specialmente
poveri contro più poveri) e favorendo aggregazioni
economico-politiche tese a occupare tutti i ponti di comando e a comprimere,
col terrorismo finanziario e la compressione dei diritti, le istanze di
promozione sociale delle classi lavoratrici, deprimendone la capacità contrattuale
e perfino il senso minimo di attività partecipativa al dibattito politico. Mi suona
uniforme un coro: le emittenti
mediatiche nostrane hanno continuato a cantare inni di ottimismo intanto che il
paese franava politicamente e moralmente.
La “gente” (Ecco, dai e dai, siamo divenuti una poltiglia
irrisoria col nome dell’antico patriziato romano: gens!), la gente
disertava le urne incoraggiata all’assenza quando conveniva al potere di turno.
Tutto l’arco politico ripeteva il refrain: le democrazie, quelle vere, (prendi
gli USA) hanno flussi relativamente
bassi; il 60% è fisiologico!
Così si è giunti al
40 e al 30% dell’oggi (fino al 4 marzo, poi, chi sa?). Come dire che
la fisiologia si posizionava verso il vizio incurabile. Politicamente morti,
socialmente zombi: le sensibilità sociali, compiacenti alla politica del
disimpegno, erano scivolate nell’imbarbarimento individualista, agevolato anche
dalla compressione delle spese per la sanità, la cultura (scuole di base comprese) e
altri servizi essenziali.
Non bisogna
dimenticare mai che l’intuizione di Beppe Grillo e del Casaleggio senior ha individuato
nell’inquietudine sociale, suscettibile di andar fuori controllo, l’ansia di
cambiamento di una moltitudine di persone, ha conferito parole ed esempi
intuitivi al marasma sociale e l’ha convogliato in direzione di una formazione
politica movimentista, cioè fluida e popolare (poi M5S) che riproponeva a
individui isolati, confusi, depressi e arrabbiati l’incontro discussione con
altri individui ugualmente inquieti, onde riscoprire sul campo della comunicazione
di piazza la necessità di una ricostruzione del senso sociale dissipato e del
necessario protagonismo popolare nelle decisioni politiche.
La base teorica del
movimento - per la verità caliginosa - è trovata nel giusnaturalismo
rousseauiano, secondo il quale lo stato di anomia naturale o quello attuale di
ingiustizia e caos economico-sociale va superato con un nuovo patto sociale che
conferisce cittadinanza all’individuo e sovranità al popolo. Questo diventa soggetto e oggetto di
azioni politiche dirette e sovrane, capaci di affrontare le richieste di
giustizia distributiva dei beni prodotti e non soggiacere senza discutere ai
dictat della compagine economica mondiale prevalente. L’impulso movimentista
immediato nasce dall’insostenibilità delle condizioni sociali di fatto (l’avvilente e
dilagante impoverimento), ma si chiarisce e si sostanzia nelle “assemblee
di piazza” divenute crogiuolo di narrazioni critiche alternative alle narrazioni
governative sostenute da interessi corruttivi evidenti e proliferanti, dunque sempre
meno credibili, “astratte” rispetto ai
bisogni oggettivi del corpo sociale.
L’emergere convulso
delle reti corruttive faceva riemergere la Questione Morale di berlingueriana
memoria, sulla cui scia molti ex elettori ed ex militanti delusi del PD
renziano si sono orientati. In effetti
tale posizione suonava per certi versi simile alle tesi riformistiche del PD
pre-renziano; ma esso si era mostrato passatista e debole nei confronti dei poteri
forti (leggi
multinazionali e banche) e imbelle contro la corruzione. Infatti
Grillo e il suo movimento ha avuto buon gioco nel rilevare a carico del PD le
discrasie tra dichiarazioni e pratica politica, denunciandone – talora in modo
teatrale – l’incapacità di prendere le distanze operative dagli arroccamenti di
casta e la sua indulgenza per la pratica del “cerchiobottismo” dilazionatorio.
Va osservato che
nella sua fase di crescita il M5S non ha esplicitato metodologicamente il sopra
menzionato riferimento teorico. Anzi gli iniziatori del M5S, pur avendo
ampiamente operato prelievi importanti da varie teorie (ricordo quanto dell’analisi marxiana delle
merci fosse presente in certi discorsi
di Beppe Grillo e quanto leninismo[1]
nel suo richiamare le folle disorganizzate al protagonismo politico!), si sono definiti post ideologici, cioè in
posizione di superamento delle classiche categorie del posizionamento politico
e, quando sollecitati, su ciò hanno costantemente insistito. Del resto in
un’Italia ancora impregnata di edonismo berlusconiano e delle sue grida d’orrore
per la presunta e larvale “infezione comunista”, bisognava rassicurare una
folla composita, con idee e informazioni confuse, ma anche guardarsi da un
sistema mediatico (con le eccezioni!) molto compromesso col liberismo
economico-finanziario, propenso a pareggiare i propri conti con la ben
tollerata e giustificata avidità capitalistica mediante lo sciorinamento del manto morale (assai remunerante sotto profili diversi),
utile per salvare il busines e il suo svincolato esercizio nel settore privato
e, all’opposto, puntare l’indice sulle
esose guarentigie che “il politico” si assicurava nelle forme del privilegio,
sia legalizzato che coperto,(cfr La casta e altro).
Intanto, archiviata in
termini etico-giuridici la questione “mani pulite”, si seppelliva in un
silenzio politico il lascito del perdurante modello democristiano all’interno
del PD che, nella juissance dell’egemonia sulla sinistra morente e strabica e
del potere di governo, di fatto scaricava sull’intero paese i costi
della spartizione e dell’abbandono sociale. (Bisognerebbe rileggere gli Scritti corsari di P.P.
Pasolini sulle responsabilità della DC e gli atteggiamenti del PCI sempre più
corrivi alla deriva del sistema, per capire ciò che accade oggi.)
Come si siano
distribuiti i flussi elettorali l’abbiamo saputo dopo il 4 marzo, ma abbiamo
altresì constatato e capito che essi non sono omogenei ai riferimenti
prescelti, che anzi i flussi in uscita producono forse lo stesso magma e le
stesse problematiche ambivalenti e contraddittorie pre-elettorali, con l’aggravio
delle reazioni particolaristiche dei sottogruppi.
Il forzoso contratto
di governo tra M5S e Lega - tanto caldeggiato da una tifoseria mediatica
ciarliera che ha ben soffiato sul disimpegno di quanto resta del PD - si rivela
una gabbia da gestire faticosamente per gli impegni contrapposti che contiene e
per il mare di problemi che premono dall’esterno del contratto stesso e che
finiranno per imporsi. L’esito politico e la durata stessa del governo dipenderà
da come si disporranno i rapporti di forza delle due componenti principali e
dagli impatti oppositivi che produrranno negli agenti economici e sociali
nazionali variamente sollecitati e compressi da un contesto politico mondiale
ondivago e confuso, che risulta occupatissimo a organizzare politiche aggressive
sia sul piano economico finanziario che sulla deterrenza militare: vedi le
sanzioni economiche USA contro stati non allineati, vedi gli obblighi a
sostegno delle spese militari, vedi l’indifferenza verso le sorti del pianeta e
dei popoli su cui ricadono le conseguenze dell’incuria e dello sfruttamento
indiscriminato delle risorse, eccetera.
Le convulsioni che
si verificano in seguito alle prime azioni di governo mi pare siano sintomo e
conseguenza di una carenza analitica del corpo sociale e anche dalla mancanza
di una visione prospettica organica da parte di tutti gli attori vincitori o
sconfitti. I problemi si sono accavallati in un settantennio di brancolamenti. Ma, stando ai sondaggi, bisogna anche dire che
un buon numero di italiani piegano sul più facile: cioè siano galvanizzati
dalla retorica di Salvini. (A suo tempo furono galvanizzati da uno che strillava
tanto, che si faceva chiamare Duce e li condusse alla rovina).
La posizione
salviniana si áncora
su una sorta di nazionalismo con pronunciate venature etnocentriche e razziali,
si vale di ciò che sopravvive della mitologia dei Lumbard, ma in una forma
abbastanza larga da farci stare un’italianità generica, bonificata dai
“terrun” e altri appellativi
politicamente scorretti che alienano voti. I toni tribunizi carezzano le
illusioni popolaresche di una supremazia politica e sociale su altri gruppi. Una
scaltra comunicazione propagandistica consegue la sua efficacia andandosi a
combinare con l’ancestrale pregiudizio che i pericoli vengano da fuori, dai diversi
in miseria, e che non il padre-padrone del capitale-despota si appropria
del frutto del tuo lavoro, ma un altro paria come te, anzi più disgraziato di
te.
È costui che mangia a ufo il tuo pane,
vive nella “pacchia” del far niente, dell’avanzare richieste senza titoli di
merito, mentre tu ti danni di fatica per avere il minimo. Tu sei cittadino,
lui, no. Lingua, leggi, suolo, usi sono per noi.
I fatti recentissimi
dicono in che cosa consiste il bengodi!
Così il detto “prima
noi, prima gli italiani” diventa cristiano abbastanza per solleticare, coi
bisogni compressi e politicamente inevasi, il rifiuto dell’altro. Così incrementata, la litigiosità
sociale porta buono all’autocrate o al gruppo di potere, perché lo esclude
dalla contesa come terzo neutro, lo erge a giudice di eversori veri o presunti,
amicandosene alcuni, stigmatizzandone altri, specialmente stranieri poveri o
italiani di ultima classe come i Rom e i Gitani, per i quali resta in serbo la
soluzione “ruspa”. Come non vergognarsi
di certi atteggiamenti!
Il M5S ha una teoria
politica ideologica che nega di avere, ed è quella sopra accennata, che trova
fondamento nel popolo sovrano, considerato come unità indistinta sulla cui
sovranità si conciliano o si possono conciliare tutti gli interessi nazionali.
Ciò che poi risulta fuorviante in quanto la parola popolo è concettualmente
ambigua, non meno della parola “gente”. Tuttavia bisogna dare atto al M5S di
aver coraggiosamente accettato la sfida che la realtà politica dell’Italia gli
ha posto davanti.
Le primissime
esplorazioni dell’iniziatore del M5S, Beppe Grillo, contenevano diverse
considerazioni di critica economico-sociale estrapolate dalla critica marxiana
al sistema capitalistico: quella teoria critica, che era stata frettolosamente
buttata via, con l’acqua sporca del Diamat staliniano insieme con le macerie del
muro di Berlino, dai suoi epigoni e giovani colonnelli dello stesso PCI in
sgretolamento; i quali confluirono in
ordine sparso nella strana fiumara raccogliticcia del Pds, poi DS e infine PD che nulla seppe fare se non cedere il
potere al paternalismo berlusconiano.
Ma l’urgenza di
canalizzare un conflitto sociale che minacciava di degenerare, faceva sì che si sorvolasse su poco
comprensibili pregiudiziali ideologiche e ci si occupasse delle condizioni più
diffuse ed evidenti, mettendo sul conto dell’allargamento della base sociale
verso la critica politica non poche e ingenue semplificazioni. A un’analisi scientifica approfondita (che avrebbe richiesto una precisa scelta di campo da
parte degli intellettuali, i quali invece erano entrati in massa a sostenere
l’establishment, già fortemente compromesso in faccende giudiziarie e criticato
da diverse inchieste giornalistiche) è andato sostituendosi un più
vago assunto etico: il cittadino escluso dalle tutele dell’establishment è più
vicino alla verità dei fatti, in quanto ne vive direttamente le conseguenze, è
per la sua stessa condizione marginale, lontano dai giochi di potere, dunque è
in linea generale onesto, ha un interesse diretto a partecipare al controllo
delle scelte politiche sulla base di un’etica della legalità e della
trasparenza.
Si torna all’idea piuttosto
semplicistica che la così detta società civile sia “per natura” migliore dei
suoi rappresentanti politici. Il riferimento a Rousseau mette a fondamento la
natura presunta “schietta” del nuovo Emilio. Il suo autore prerivoluzionario,
nell’ansia di salvarlo dall’afflato corruttivo della società vigente, lo deve
isolare e quasi forgiarlo pezzo a pezzo: ma il risultato è un mite beota. Senza
saperlo, Rousseau preconizzava la svolta tutt’altro che indolore della
Rivoluzione del 1789 e di quelle borghesi seguenti che, come dovrebbe essere
noto, aprivano la strada al capitalismo già scalpitante nell’Inghilterra del 1760.
Per tornare
all’attualità, abbiamo dovuto divenire consapevoli, nell’esplosione continua
dei fatti, che la società civile rispecchia ed è rispecchiata dai suoi
governanti. Che quindi il sistema va cambiato nei suoi fondamenti, ciò che in
condizione di globalizzazione (internazionalizzazione dei sistemi malavitosi quasi in
contiguità con i meccanismi così detti normali) non può essere
operato efficacemente in ambito nazionale.
Occorre una Morale
politica consapevole, non moralistica, e in continuo confronto con i meccanismi
che presiedono alle ricadute sociali dei modi del potere economico e del potere
ideologico nazionale e sovranazionale, i quali si combinano dando adito alla
creazione granitica del senso comune corrente, indolente all’esercizio critico.
Forse il gruppo
dirigente dei pentastellati sta imparando sul campo, e certo con batticuore e
fatica, la tentacolare complessità, mettendo in campo una buona dose di
volontarismo per resistere, non sempre efficacemente, alla deriva sovranista
etnocentrica di Salvini. E perciò, forse senza raccontarselo, nella
concitazione del decidere, operare e tentare di mediare, va a scuola di leninismo, o dovrebbe - come
giustamente osservò tempo fa Buttafuoco. Sospetto che circola e infiamma
polemicamente competitori e avversari.
Ragione per cui il
M5S dovrebbe costruirsi il nerbo teorico che gli consenta di resistere alla
chimera dall’elettoralismo, malattia endemica della compagine democratica e dell’attuale
partnership, e di servirsi anche delle
raffinatezze pedagogiche accessibili sul campo e renderle disponibili per la ri-organizzazione culturale del Paese.
Che dire del PD?
Il PD ha vissuto
indebitamente della fiducia dell’elettorato, acquisita nel periodo
berlingueriano poi basculante su ideologismi da signore, pacioso, educato e distratto. Molta parte dei suoi iscritti ed elettori
avevano nei suoi confronti un atteggiamento fideistico. Nonostante che il PD sia il
prodotto della confluenza di spezzoni di formazioni politiche decotte, il nerbo
della militanza di base rimaneva costituito dai comunisti e dai giovani della
FGCI. E costoro, dopo la Bolognina e ancora dopo con L’Ulivo prodiano, erano
ancora convinti che si fosse giunti sulla soglia dell’instaurazione di un
socialismo democratico capace di mettere in piedi una graduale pacifica
ripartizione delle ricchezze prodotte a beneficio delle classi lavoratrici più
disagiate. Ma un sistema non muta per pelosissime concessioni parziali e
divisive. In realtà il gruppo dirigente
si spostava ideologicamente verso le politiche liberiste, verso una
concertazione sindacale sempre più disarticolata, verso lo spostamento delle
risorse dal campo umano a quello del capitale.
Malgrado l’ansia e i
dubbi che il dualismo attuale può suscitare, la dialettica sta all’opera nei
fatti, tanto che persino un Marcucci può illudersi di gestirla con lo stile di
pensiero che gli è proprio, e fa il paio con le uscite elettorali del Cav.
Che scuole di pensiero!
E adesso che i buoi
sono usciti dal chiuso, forse i filosofi scriveranno e vorranno gestire LA
NUOVA REPUBBLICA.
Pds = part.democ.
della sinistra
D S = democratici di
sinistra ingresso della Margheritta
PD = esclusione della
sinistra
[1]Rammento
l’osservazione di P. Buttafuoco, se non sbaglio
in prossimità delle elezioni politiche, con cui sollecitava, certo ironicamente, il M5S a
continuare a prendere lezioni di leninismo.
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