lunedì 6 luglio 2015

Democrazia - inedita di B. Mannu dedicata ai Greci

Un intervallo "poetico" - per così dire - come saluto al popolo greco e a noi tutti per auspicare il vero ritorno alla (e incremento della!) prassi democratica in Europa e nel mondo.

Democrazia

Qualcuno disse «Democrazia».
Non un empio - né un captivo - fu.
Non fu disgrazia che quella voce
 assemblasse
al nome il Nume del concetto.
Pure - da allora – Nemesi
le impose con lo sguardo
Necessità e Ventura.
Con  gli stessi decreti
 il Parlante «liberò»
in  mano agli  Aristoi.

Stretto - per prova - alle solerti Moire
per spegnere con la vita sua di uomo
o con l’infamia  del suo Logo
le ali alla Parola detta.
Egli abbracciò il suo Fato
e volse - per non smentirsi - verso  Dite
 sapendo acceso un lume-
errante già - per i futuri umani.
S’affiochirono altri nel poco.
E subito una siepe di arbusti
cinse l’esordio storico di lei
e le assegnò
 angusti luoghi e brevi tempi.

Fuori rimase
 un verminaio piccolo e vivace
di allogeni schiavi
 della terra e delle cave.
Certo qualcuno ne  ricevé contagio
e voltando le terga all’uso dell’abuso
 ne lanciò la febbre nell’eventuale corso
della storia.

Nomade ancora «Democrazia»
corre il pianeta - salta i muri –
scava cunicoli da talpa
e i sogni frequenta
di chi ha fioca voce.
Cambia di luogo
e guarda tempi brevi di rigoglio.
Si bagnò nel sangue uscendo dalle notti.
Passò indenne nei roghi.
Vestì abiti smessi.
 Fu agghindata
 perché non paresse quella.
Andò svilita in cambio di moneta
ancella e scudo  di rettori e padroni.

E ancora rampolla - nuova -
nei pensosi desideri  dei tanti
che si chiamano per lei dalle galere
per mettere ali ai corpi -
ali alle ali - per affratellarsi
oltre le frontiere
 e unire a lei  - numinose -  altre
antiche e nuove voci di riscatto.

sabato 4 luglio 2015

Letture difficili e intriganti- approccio 3 a citate opere di Slavoj Žižek a cura di B. Mannu

In parziale riferimento alla complessa articolazione tra la sfera delle esistenze materiali e quella della simbolizzazione, senza poter entrare nel merito dei complicati teoremi e ragionamenti che Žižek distende attraversando gli immensi campi del pensiero filosofico, scientifico e artistico, e un po’ collegandomi  alle precedenti esposizioni, cercherò di ripartire dal seguente quesito: il mondo immateriale delle idee e quello materiale delle cose naturali fisiche si parlano o non si parlano?

 Una prima risposta suona grosso modo così.
La totalità-mondo risulta del tutto inaccessibile e noi manchiamo sempre e per sempre il bersaglio della conoscenza di quanto starebbe dietro l’apparenza fenomenica. Perciò possiamo parlare in termini di verità relativamente alle nozioni parziali e temporanee relative a quanto la soggettività umana è in grado di cogliere mediante le sue categorie. Esse  ci forniscono solo una schedatura fenomenologica. La verità circa il Tutto sotteso ai fenomeni ci è preclusa. E si può dire che questa posizione corrisponde alla concezione kantiana e ai suoi prosecutori.  E a questo punto il nostro Autore sottolinea che la pretesa di parlare o di far parlare il Tutto in prima persona è un distorsione ideologica che esige un Garante/Dio esterno al processo teoretico
 Si dà, però, una risposta alternativa. Alcuni pensatori, scienziati, filosofi e teorici psicanalisti, per esempio Deleuze e Lacan, interlocutori preferiti di Žižek, sostengono che “la cosa là fuori” non è affatto scritta nel linguaggio dei numeri o di altri concetti e che sarebbe nostro compito di decrittarla, come argomentava Galileo. Ma “La cosa là fuori” non bussa tutta intera, avanza per elementi parziali, come cosa simbolicamente opaca, e poiché non trova la sua casella simbolica, crea problemi di natura logica e linguistica. Quando i problemi, diciamo d’incasellamento si accumulano, irrompe nella continuità discorsiva ideologica come non-senso, come elemento linguistico paradossale che si inserisce negli interstizi, nelle discrasie tra significati e significazioni interompendone il flusso e segnando l’emergere di un nuovo o possibile significato, il quale venendo in superficie e configurandosi come paradosso, scombina l’assetto esistente delle concatenazioni, definisce un nuovo campo di significati, e, se vince la partita, torce e assoggetta a sé quelli vecchi. Ma tutto questo non avviene pianamente, come la vicenda di Galileo insegna, il quale ha dovuto inventarsi filosofo per tentare la difesa della sua  teoria astronomica. Come dire che ha dovuto compiere un intervento di natura politica nell’ambito delle scienze fisico-astronomiche, in quanto il Padrone del discorso era appunto il Sant’Uffizio, il quale è rimasto molto offeso per essere definito “Simplicio”.  E questo è come dire che gli effetti di verità si ottengono comunque a livello della discorsività, la quale però, in certe condizioni, ha mezzi molto convincenti, come appena detto e avviene come avvenne nella vita di Galileo.
Si prospetta però anche una terza possibilità, ossia che la verità parli di persona? La risposta per bocca del Freud/Lacan di Žižek e di Žižek stesso mi appare grosso modo così «Sì, qualcosa emerge dal coacervo materiale, manifestandosi come sintomo, qualcosa che emerge come problema, come quasi-parola che stride, come istanza che richiede un lavoro di trasformazione e pretende di prevalere acquisendo, per così dire, esistenza importuna e semiclandestina per il tramite di un individuo umano.
 Però questa terza possibilità fa tutt’uno con la seconda precedente, perché la totalità del mondo non  si  presenta di persona, bensì tramite il qualcosa senza luogo (ciò che non ha collocazione nei significati esistenti) Questo qualcosa più che nascere come cosa che dice nasce come cosa che prova a dire o  che denuncia ed annuncia, un qualcosa che irrompe e fa reagire a muraglia i vecchi  fantasmi simbolico-linguistici. (I muri e le muraglie, sia fisicamente costruite che solo minacciate-progettate, sono anche il sintomo tetragono di un reale che oppone resistenza) .
In questo senso, dichiara Žižek, Gesù è «Uno di questi oggetti che parlano… le sue parole sono un ottimo esempio di quell’”Io, la verità, parlo” che si profila in coincidenza con la morte del Grande Altro/Dio».
Ossia la comparsa di Cristo nella storia, il suo dire e il suo dover morire a causa del senso misconosciuto/rifiutato del suo dire/fare, indicherebbe che la presunta e biblica presenza-parola garante di Dio-Verità assoluta, (infeudata a un Padrone: Sinedrio, Sapere Autoritario, per esempio) diventa da quel momento impossibile.
Dunque resta esclusa l’intromissione del Testimone-Dio o Grande Altro a garanzia d’una presunta rivelazione totale del mondo là fuori sempre uguale a se stesso. E correlativamente risulterebbe inadeguata l’idea che l’attività sia una componente esclusiva della soggettività umana, ciò che riproporrebbe l’idea di una Mente attiva e ordinatrice, opposta alla fissità materiale delle cose.
Forse sarebbe il caso di sostenere l’ipotesi, dice Žižek,  che il faticoso procedere del divenire scientifico, interrogato filosoficamente e dunque politicamente, a parziale rettifica della curvatura ideologica fuorviante, sia la sola verità possibile, mai esaustiva e completa, perché la così detta realtà stessa è un movimento di elementi materiali e di pensiero, perché “il Reale non è semplicemente esterno al Simbolico, ma è, piuttosto, il Simbolico stesso privo della propria esternalità, della sua eccezione fondante”.  Eccezione fondante che, se ho ben capito, è l’interruzione della chiusura ideologica ad opera del Reale non ancora simbolizzato che s’impone nella forma di elemento sintomatico.
 In L’oggetto sublime dell’ideologia Žižek riferisce che Lacan ha attribuito a Marx l’invenzione della nozione di sintomo. E dedica a questo tema un intero capitolo per dimostrare che Lacan asserendo quanto sopra non ha fatto una battuta di spirito, ma una deduzione teorica ben fondata, a dimostrazione che i tempi dell’invenzione e della ricerca si possono incrociare in modo sorprendente indicando la distribuzione ineguale dei campi di ricerca scientifica, la  quale in fondo dice la verità nello scoprire  che non c’è nessuna identità negli oggetti e nei soggetti e che  non esiste una garanzia preliminare sulle connessioni e sugli effetti retroattivi di un concetto.
Dunque, se ho capito una briciola di tutta la complessa sequenza logica che attraversa i saggi menzionati, il mondo monolitico al quale chiedo se davvero corrisponde alle idee che me ne sono fatta o che mi hanno infilato è solo effetto di una distorsione a livello della struttura ideativa, ineliminabile come struttura, ma rettificabile nei suoi effetti.

 

venerdì 3 luglio 2015

"L'ape e l'architetto" - Per diffondere il ricordo di Marcello Cini

Ecco come il passato anticipa il presente.
Chi è Marcello Cini ? Se n'è parlato nel 3° programma della radio.
Wikipedia pubblica alcuni elementi biografici. Ne copio alcuni.
Marcello Cini (Firenze, 29 luglio 1923[1]  Roma, 22 ottobre 2012) è stato un fisico e ambientalista italiano, impegnato in attività di ricerca nell'ambito delle particelle elementari, della meccanica quantistica e dei processi stocastici.
È stato professore emerito all'Università La Sapienza di Roma, chiamato da Edoardo Amaldi nel 1957 per la cattedra di Istituzioni di Fisica teorica e in seguito di Teorie quantistiche . È stato inoltre vicedirettore della rivista internazionale "Il Nuovo Cimento".
Dagli anni settanta ha accompagnato questa attività con studi di storia della scienza e di epistemologia, e interventi su varie riviste e sul quotidiano "Il manifesto", di cui fu tra i fondatori, scelta che gli costò la radiazione dal Partito Comunista Italiano nel 1970.
Nel 1967 fece parte del Tribunale Russell sui diritti dell'uomo, visitando il Vietnam durante la guerra e testimoniando le atrocità belliche.
È stato direttore della rivista SE/scienza esperienza fondata da Giulio Maccacaro.
Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo l'Ape e l'Architetto (1976) (scritto insieme a Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio), Il paradiso perduto(1994), Dialoghi di un cattivo maestro (2001).
Ha ricevuto il premio Nonino 2004 "A un maestro italiano del nostro tempo".
È morto nel 2012, all'età di 89 anni[2].
Cini viene ricordato per la sua battaglia volta ad analizzare i modi con i quali la ricerca scientifica è condizionata nelle sue decisioni e scelte di fondo dalla intromissione del capitale privato, che trasforma ogni prodotto della mente in merce.  
Riporto qui di seguito alcuni stralci tratti da un articolo di Scienza in Rete
Per quanto possa sembrare strano, immaginandolo dall’Italia di oggi, c’è stato un tempo in cui la pubblicazione di un libro poteva avere la capacità di catalizzare il dibattito intellettuale per settimane, anche al di fuori delle mura degli ambienti accademici. L’esercizio di immaginazione si fa poi quasi intollerabile all’idea che, almeno una volta, trentacinque anni fa, il libro che per un determinato periodo polarizzò le discussioni su giornali e riviste sia stato una raccolta di saggi a tema scientifico: un’opera apertamente tecnica, sul rapporto tra scienza e società.
Un passaggio del libro che invece rimane subito impresso per chiarezza e lungimiranza è quello in cui Cini riporta un suo intervento risalente a otto anni prima, al 1968, e dove in poche righe prevede e anticipa lo sviluppo di personal computer e informatica, capendo il ruolo di primo piano che essi avranno nella società che verrà e avanzandone da subito un’aspra critica: 
Io sono abbastanza convinto che nei prossimi venti o trenta anni avremo uno sviluppo dell’industria dei calcolatori derivante dall’aumento del consumo privato del calcolatore, esattamente analogo a quello che è stato il consumo privato dell’automobile […]. Questo sviluppo introdurrà forme di selezione ulteriore, di asservimento ulteriore, di competizione ulteriore, di imprigionamento dell’uomo in una logica sempre più inesorabile, dovute soprattutto al consumo privato. È chiaro che questa è un’industria che, se dal punto di vista economico può veramente dare uno sviluppo al sistema del tutto analogo a quello della motorizzazione privata, si presta a dare al singolo un consumo che lo asservisce, lo narcotizza, lo droga.
In anticipo sui tempi è anche l’analisi critica sul profitto che il capitalismo punta e punterà a trarre dalle merci immateriali. Se è vero che già in quegli anni, negli Stati Uniti, le ricerche finanziate dai privati superavano per la prima volta quelle foraggiate da fondi federali, è però solo nel 1980 che il mercato si imporrà davvero come terzo protagonista nel dialogo tra scienza e società. In quell’anno, infatti, si avranno i primi brevetti  a protezione della proprietà intellettuale su tecniche scientifiche (come quella di clonazione del DNA ricombinante) e addirittura su organismi viventi, come quella che il Patent and Trademark Office (PTO) statunitense concederà su un batterio geneticamente modificato. Gli autori avevano tuttavia già allora chiaro come il sistema capitalistico negasse ogni differenza tra beni materiali e immateriali, riducendo l’informazione a merce. 

domenica 28 giugno 2015

Un "Jadie" della letteratura ? Considerazioni spicciole di B.Mannu

Una volta erano gli apparati della Critica ad attraversare la foresta letteraria e a decretare quali testi, il come e il perché potessero occupare il “luogo sublime dell’arte”. Era la Critica a segnare la demarcazione tra alberi  ed erba di sottobosco, come allora si diceva.
Ecco, coloro che a vario titolo, da dilettanti, da scrittori della domenica, da emergenti  in pectore, formavano questa prateria , erano visti in guisa di erbe spontanee, cultori di presunzioni impossibili.  Ma ogni tanto la stessa Critica o l’Editoria alta e lungimirante estraeva - a volte cogliendo bene, a volte sbagliando - una promettente singolarità che prendeva posto, o consentendo o polemizzando con l’universo dato, nel Parnaso dei grandi. Troneggiavano le grandi riviste di critica letteraria sopra una miriade di pubblicazioni  locali, talora molto agguerrite e vivaci. Si sviluppavano salutari polemiche a cui poteva  accedere il grande pubblico.
Giornali quotidiani, periodici dii cultura varia e soprattutto la TV, riecheggiavano notizie e idee, indicavano legami di riferimento tra diverse teorie sull’arte e non solo. La TV era allora animata da una certa verve pedagogica e volontà di acculturazione delle masse poco alfabetizzate; e dunque, sia pure afflitta  da blocchi moralistici e pulsioni conservatrici, favoriva il contatto diretto con poeti  e  scrittori di valore indiscusso e con le loro opere.
Il valore letterario non veniva rozzamente schiacciato sulla dimensione mercantile, caso mai questa pareva scaturire dal valore intrinseco e/o dalla risonanza che l’opera produceva  in virtù della sua qualità artistica, ossia nella sua capacità di farsi strada anche nell’immaginario comune, elevandolo. Insomma l’osmosi funzionava, o così pareva.
Detta così sembra che io descriva una condizione paradisiaca. Tutt’altro. Era un contesto attraversato da forti contrasti ideologici, oltre che politici, sociali e di costume. Ma nella dialettica delle differenze s’insinuavano istanze e scaturigini di accenti e modalità di discorsi, di attinenze più autentiche, in qualche modo contigue, ma non conformiste, alla vita delle persone così dette comuni. L’arte della parola si chinava sul mondo povero, ma ricco di tensioni e istanze positive, da descrivere e sviluppare creativamente.
Non c’è e non vuole esserci  nostalgia in questa troppo breve e iper-schematica rimemorazione, ma manifestare il senso dello scarto prodottosi allorchè il mercato è entrato di prepotenza, senza forti e razionali interposizioni, in tutti i gangli della vita nel nostro Paese e nel mondo, ovvero dal momento in cui anche in un’ Italia, fino ad allora recalcitrante e gelosa di una sua singolarità politico-culturale, ci si è  ridotti a dimensionare tutto secondo la logica mercantile, curvata sul più miope e becero interesse-godimento privato immediato, privo di ogni sana istanza sociale e performativo nei riguardi delle giovani generazioni, quelle anni ’80 e post. (Invito a leggere online il bell’articolo Gli anni dell’edonismo reganiano di Roberto D’Agostino su La stampa – opinoni )
È in tale contesto che non solo è morta la critica militante, lucida e “disinteressata” nei diversi settori della vita sociale e politica, ma anche nel settore delle arti e letteratura. Per cui , il “luogo sublime dell’arte” . come giustamente osserva S. Žižek risulta conteso e preso nei molteplici assalti dei sistemi di mercato. È  il mercato , sulla base del consumo godereccio e rapido a decidere lo statuto artistico, o meglio a decretare a quali oggetti competa l’occupazione del luogo sacro dell’arte. Questo luogo si identifica quasi totalmente con la diffusione mercantile del prodotto.
Lungo questa deriva è il potere sublimante della forma, della sua apparenza allusiva  a cedere rispetto a una sensibilità sempre più rastremata sull’elementare richiamo dell’oggetto materiale, sull’elemento immediatamente dirompente, che poi è il residuo, lo scarto, il vuoto, ossia ciò che resiste al consumo, che indica una saturazione dell’orrore, tale che la sublimazione tragica non può più avvenire, ma al più cambiarsi  in parodia e farsa, come sottolinea Žižek in La fragilità dell’assoluto.  
 In questo modo, tra l’altro, viene a cessare il senso dell’interna coerenza dell’opera rispetto agli impulsi intenzionali del suo autore, il quale viene “forzato”,”sedotto” a produrre in funzione della consumabilità mercantile e del pubblico, e quest’ultimo, culturalmente deprivato, non può che disporsi al livello di fruizione più basso e  banale, di modo che lo spazio simbolico naufraga piuttosto che nella mancanza di senso, nel senso spettrale riesumato e parodistico di una condizione inesistente o di condizioni che non sfociano se non in un rabbioso autocompianto.  
Ma che ne è del grande sottobosco letterario? Esso è quanto mai fiorente in senso quantitativo. In forza del fatto che ogni umano sarebbe per natura latore di una sensibilità estetica, di una istintiva propensione all’espressione emozionale mediata dal linguaggio, il godimento compositivo si apre a una mai vista democratica frequentazione. Il ciberspazio è una rete di fiumi che trascinano di tutto con relativa facilità e tutto vi coesiste o vi compare e scompare, impregiudicato.       

   

domenica 21 giugno 2015

Intervallo con "poesia" -Il tempo nasce vecchio - inedita di Bianca Mannu

Il tempo nasce vecchio

Qua –

fra gli sterrati contesi alla campagna –

il tempo nasce vecchio e ingordo

affetto dalla stessa cupidigia

del più stupido

di tutti gli animali: l’uomo -

l'uomo che di sé e di tutto

ha fatto cose da contare

che tutto ha posto in crapula

e messo in portafoglio -

adesso annusa da stazione prona

gli esiti suoi

caduti dal tempo

della stazione eretta.

Nota Va da sé che non l'uomo in generale è stupido, ma certo quella parte di umani  "che di tutto ha fatto cose da contare, ecc.,ecc.. La nobiltà dell'uomo conosce oggi un temibile logorio e il tempo suo si accorcia pericolosamente e diventa il tempo del suo sterco.. 

sabato 20 giugno 2015

Conversazione a lato di Approccio 2 di Letture difficili e intriganti

Maria Concetta Rosa Giannalia scrive a commento:
Se ho ben capito, l'analisi di Zisek è finalizzata a dimostrare come,nella comprensione e valutazione del mondo, ognuno di noi risente di  schemi mentali indotti dalla società in cui vive e nella quale agiscono gli interessi-idee dei gruppi di potere economico. Le nostre idee, dunque, solo apparentemente sarebbero idee nostre, in realtà sono veicolate dalle ideologie di tali gruppi. Questa visione totalizzante sviluppa da un altro punto di vista il concetto di Super-io freudiano. Ma allora: in che modo ogni uomo può rendersi veramente libero? Mi sembra questo l'insormontabile problema filosofico cui  non si riesce a dare risposta. E se è vero che studio e letture sviluppano la capacità di porsi criticamente di fronte all'ideologia, è pur vero che chi potrà affrancarci dal "sussumere", come tu dici, altre idee, altri modi di guardare al mondo che non siano quelle derivate dalle nostre letture? In altri termini, potremo mai essere ideologicamente liberi? 

Bianca Mannu rispondendo scrive
Intanto è stato K.Marx a elaborare un primo concetto di ideologia a partire dalle Tesi su Feuerbach nelle quali critica l'atteggiamento contemplativo dei filosofi e la loro ignoranza della prassi che trasforma in senso reale i rapporti economico-sociali e il modo di produrre; ed è il movimento economico sociale che muove le categorie  del pensiero e genera gli impulsi alla formazione delle idee e delle immagini che di quegli stessi rapporti si formano nelle teste degli uomini. Ma in una società di gruppi sociali ineguali, le condizioni della produzione materiale genera rapporti di potere e subalternità. La classe al potere controlla anche la produzione delle idee e del sistema educativo e logico, mediante il quale  quegli stessi rapporti di potere si eternizzano come enti assoluti, principi irrecusabili. Quindi, sì, a carico dell'individuo si consuma la massima alienazione ideologica. Ma per Marx la vera trasformazione e liberazione soggettiva avviene prima di tutto a livello della prassi sociale col mutamento dei rapporti di potere.

Che ne è, dici, della libertà dell'io? La libertà è un processo verso la consapevolezza circa l'uso degli strumenti del pensiero facendoli collidere fra loro e con gli effetti che l'esperienza pratica genera a carico del simbolico.  La libertà dell'io è quella che forse conquista l'isterica o il nevrotico  nel processo psicanalitico: la disponibilità degli strumenti scientifici  con l'elaborazione del sintomo per mezzo del transfert  con lo psicanalista. A livello sociale, la trasformazione della politica da strumento di dominio a strumento di partecipazione. Il trasferimento della "jouissance"  dal denaro-merce-potere ad altri oggetti. Questa forse, in pochi rozzi soldoni, una porzione delle tesi di S.  Žižek

Considerazioni post-discussione a cura di B. Mannu
La materia di riferimento è così complessa che ogni tentativo di condensarla rischia di risultare banale. Facciamoci consapevoli che la facilitazione che presiede all'acquisizione e all'esposizione delle nozioni e dei loro nessi imprime loro una certa curvatura che può essere eliminata con gli approfondimenti e col più largo confronto delle idee e il ricorso diretto alle fonti più attendibili.
L'alterazione massima si ha quando l'apertura verso la ricerca s'interrompe nella chiusura dell'opinione, una vera prigione ideologica che è largamente esterna (opinion maker, giornalisti, esperti vari) rispetto all'autocontrollo della propria formazione, nel senso anzidetto.
Vale la pena a questo punto di scrivere una breve nota estraendola dal "Riso totalitario"(in Žižek L'oggetto sublime...) in cui Ž. polemizza con l'Umberto Eco de Il nome della rosa a proposito, ma non solo, della mancanza di riso, di distacco ironico nei regimi totalitari. "Ciò che disturba... nel Nome della rosa ...è la fede implicita nella forza liberatrice e antitotalitaria del riso.." 
"Nelle società contemporanee, sia democratiche sia totalitarie, questa distanza cinica, il riso, l'ironia, fanno parte del gioco". E dopo questa puntualizzazione Žižek al paragrafo "Il cinismo come forma dell'ideologia" dice così "la definizione più elementare di ideologia è probabilmente racchiusa in questa celebre proposizione del Capitale di Marx:.....Non sanno di far ciò, ma lo fanno".
A parte che mi ricorda la frase di Gesù sulla croce riferita dai Vangeli (Ah, l'ebraismo di Marx!) "Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno", Žižek continua:"Il concetto di ideologia comporta una specie di fondamentale, costitutiva ingenuità: il misconoscimento dei suoi stessi presupposti, delle sue condizioni oggettive..."

venerdì 19 giugno 2015

Letture difficili e intriganti- Approccio 2 di B. Mannu

Premessa e promemoria di oggi


Invitare amici e lettori a misurarsi con buone letture per ricavarne buone informazioni e anche stimoli a proseguire la propria formazione è forse un atto presuntuoso, se si ferma a un semplice invito. Altro è sfidare la difficoltà nella speranza di raccontare a me stessa alcune delle cose dette magistralmente da un altro, in questo caso, dal filosofo sloveno S. Žižek  . Qualcuno potrebbe obiettare: perché non lo fai in privato? E io rispondo che scrivere un blog è un atto politico. E il mio atto politico consiste, non solo nello scrivere e pubblicare versi e prosa narrativa, ma anche leggere in pubblico e cavarne quel po' che le mie forze consentono.Infatti la mia non è affatto una lettura sistematica, ma un viaggio molto interessante, ancorché impervio e non sequenziale dentro questi libri per meglio vedere al di fuori. Rammento le opere:
L'oggetto sublime dell'ideologia, - Ponte alle Grazie 2014
Organi senza corpi - La suola di Pitagora editrice
La fragilità dell'assoluto - 2007

A scuola da Slavoj Žižek


 Proporre al non-specialista di alcunché, quale io sono come tanti, di misurarsi con la complessità dei problemi del mondo attuale, implica indicare, come dicevamo, una necessità che è essenziale e vitale per ogni uomo: levarsi sopra la semplice, ma irrecusabile animalità.
Riconoscerci umani significa sapere e potere non appiattirci sulla condizione minima inscritta nel genoma. Data la nostra naturale indeterminazione,  occupiamo una frontiera dove l’animalità  è suscettibile di “trasustanziazione” (cfr. Žižek) a livello di “spirito” o, se si vuole, di spiritualità.
Con questo Ž. non invita a riconoscere o ad abbracciare una fede nella trascendenza o immanenza divina per ricuperare per l’animale uomo una dimensione, più che nobile, divina, quanto un suggerimento, forse, a considerare che quanto facciamo inconsciamente in risposta alla nostra natura animale, possiamo farlo meglio attivando consciamente le nostre potenzialità.
A partire dall’accoglimento - che sappiamo ambivalente - della nostra irrecusabile finitezza, sapendo che il nostro ingresso nel mondo (quello vissuto e percorso come esterno e quello vissuto come interno) è già da sempre involto e ci coinvolge nel sistema simbolico e che, per quanto si sia convinti che il mondo ci si pari contro come un Tutto Altro, abbiamo da prendere coscienza ancora che quanto vi accade e ci coinvolge esige di  divenire pensabile, ossia altro rispetto alla sua e nostra consistenza materiale, ma ad essa articolato.

  È in questo ambito ideologico, appunto, che vengono a strutturarsi, tramite i linguaggi, le nostre esperienze e i loro effetti introiettivi e proiettivi. Niente può attraversare o insediarsi in noi come immagine o pensiero, se non tramite i fantasmi/parola con cui riempire  le nostre lacune; e questi spesso si rivelano fallaci e inadeguati.
 I testi di Žižek menzionati analizzano i movimenti e le complicanze  del processo cui ho appena accennato. Il lettore comune come me ne segue con molta difficoltà le combinazioni. Esse corrispondono a logiche non meccaniche e comunque  non perspicue.  La circolarità tautologica che s’instaura al livello dell’ideologia  può comportare il totale o parziale fallimento della nostra presa sulle cose e su noi medesimi.

Certo, a questo punto dovrei desumere una definizione minima di che cosa s’intenda con la parola ideologia. Ma la difficoltà fa davvero tremare le vene e i deboli polsi filosofici. Con acerba e presuntuosa riduzione direi che ideologia è tutto il sistema di rappresentazioni, di idee, di enunciati-valore e di simboli in cui si condensa la cultura di una società in un certo tempo storico; e si potrebbe persino aggiungere che essa ne rappresenta il carattere. Ma rimanderei alla lettura di un breve saggio molto limpido Sull’Ideologia  di L. Althusser(1976), certa che Žižek non me ne vorrebbe, anzi. Il filosofo franco-algerino - benché non riesca a essere convincente, secondo Žižek, circa la descrizione del modo con  cui avverrebbe la sussunzione dell’individuo a soggetto assoggettato all'ideologia -  individua e analizza gli aspetti materiali e ingiuntivi degli apparati ideologici. Lettura molto istruttiva e accessibile, perché la sua analisi riguarda i supporti materiali e il carattere organizzato dell'ideologia.
Dovrei per un senso di trasparenza dire che cosa s'intende per tautologia. In un enunciato,ad esempio il cerchio è rotondo, il significato del secondo lemma  "rotondo" ripete ciò che è inscritto nel concetto di cerchio.

Voglio indicare rapidamente che la nozione di ideologia, pur non mostrando collegamenti evidenti con la materialità produttiva che fonda l’esistenza dei gruppi sociali, è così tanto importante che nei conflitti bellici i belligeranti, non solo mirano alla distruzione dell’economia e delle risorse materiali del rispettivo nemico, ma cercano di minare in tutti i modi la persistenza e la funzione totalizzante del suo sistema ideologico, il quale agisce da riferimento identitario e quindi da collante sociale.
Attualmente, altro esempio, nella lotta mondiale per la supremazia politico-economica, l’ideologia occidentale si contrappone a quella mediorientale e viceversa, sotto l’effetto totalizzante delle religioni e delle morali politiche. L’attacco ideologico reciproco tende a tagliare i collettori motivazionali dell’identità e dell'unità "spettrali" del gruppo avverso esponendolo alla rottura dello specchio, cioè a una sorta di morte per dissolvimento della propria immagine.

 Ma quel che risulta più difficile da capire è il come e il perché della curvatura  che questo diaframma ideologico imprime al nostro rapporto col mondo e con la natura–mondo di cui siamo composti.
Il fantasma ideologico, che dal di fuori entra dentro la coscienza individuale formandola, è precostituito e costitutivo della così detta identità personale, è ineliminabile: in altri termini ci preesiste il mondo e le strutture incorporee che ce lo introducono simbolicamente, ci preesistono i codici delle lingue, la messe dei significati e delle significazioni. 
Però mai questa complessa impalcatura prassica (guida e sollecita azioni) e simbolica è  terra di nessuno, mai neutra, essa è già da sempre occupata da qualcuno, per esempio, da un Patriarca o da un Padrone (il Grande Altro, il grande Super Io), è attraversata da tensioni e resistenze irriducibili all’uno; è tuttavia permeabile e mobile come complesso macchinico produttore di ambiguità contraddizioni, gerarchie di poteri, presieduto da una (o più) entità che enunciando ordina, obbliga,  accoglie, esclude, elabora, inventa, falsa, distorce, complica e ci costituisce come soggetti, come io assoggettati, e riproietta nel così detto mondo materiale i suoi  prodotti. Quello che noi indichiamo come mondo materiale, altro rispetto agli io, non è intanto a sua volta tetragono, ma spugnoso, padronale, prassico e occulto produttore di materiali simbolici.
In parole forse troppo semplici  il luogo dell’ideologia è quello dell’Autorità, e il luogo dove gli interessi innominabili si presentano come garanzia di giustizia, equanimità, verità, bene supremo, eccetera.


lunedì 15 giugno 2015

Letture difficili e intriganti- Approccio 1 di B. Mannu

A scuola da Žižek


Mi propongo di scrivere qualche riga di riferimento ad alcuni saggi di Slavoj Žižek.
Intanto chi è Slavoj Žižek?
Vado a rilevare i suoi dati dal ripiego di copertina di un suo libro particolarmente impegnativo: L’oggetto sublime dell’ideologia alla terza edizione (2012)
Nato a Lubiana nel 1949…”è fra i più innovativi pensatori del nostro tempo. Insegna nella sua città natale e in molti atenei americani e europei”.
Autore di moltissimi saggi, tra cui Organi senza corpi,(2012), ha appena pubblicato i primi due tomi del suo capolavoro filosofico “Meno di niente, di cui ancora niente so.
Perché evocare questi suoi saggi assai complessi – e di cui in verità non potrei riferire granché, data la mia poca perizia filosofica?

Intanto ci provo perché credo che il caso giochi un ruolo importante anche negli incontri migliori. E io sono molto contenta di essere incappata a naso nei suoi titoli e quindi in qualcuno dei suoi libri che si sono subito rivelati difficili, concettosi, ma anche ricchissimi di riferimenti e di modi interessanti di  considerare questioni anche molto concrete.
Penso che non bisogna soggiacere alla nostra pigra ignoranza di persone comuni, costantemente inadeguate alla condizione adulta. La mania dilagante di praticare sport di ogni genere, anche pericolosi o estremi, a fronte della fobia o del rifiuto a misurarsi con le meno ovvie articolazioni del pensiero, indicano quanto meno una sorta di immaturità umana, che certo torna comoda a coloro che su tale immaturità fondano il loro potere. Ma l’indeterminatezza dell’essere umano consente inversioni di rotta, se volute.
Proprio Žižek, in Organi senza corpi dice, ma io lo ripeto semplificando a mio modo, che l’essere umano sprigiona una quantità di energia sessuale in eccesso, tale che il suo straripamento in ambiti confinanti comporta la produzione indiscriminata di significati metaforici e allusivi. Il suo eccesso deriva da un’impasse strutturale per cui essa non raggiunge mai il proprio obiettivo, ossia la piena quiete, in quanto la sua realizzazione richiede la partecipazione dell’altro, comportando per tale fatto, una non perfetta sincrasia. Insomma è a partire dalla sessualità, dal suo non restare interna a se stessa, che prende  a strutturarsi il linguaggio. Dislocandosi oltre il corpo mediante l’organo simbolicamente divelto, desessualizzato, il fallo di castrazione, funge da significante vuoto (organo senza corpo), ossia da elemento fantasmatico, neutro, il quale costituisce il punto d’incrocio tra le serie non corrispondenti biunivocamente dei significanti e quella dei significati.
Se, a causa dell’eccedenza della sessualità oltre il suo luogo, tutto diviene allusivamente sesso, allora ciò che è per natura neutro può essere sessualizzato. Infatti nel momento in cui il fallo divelto circola come significante, può farlo in quanto deterritorializzato, cioè privato del significato sessuale e carpito entro l’ordine simbolico che, pur sorgendo dal corpo, non è corporeo. Per contro un’attività asessuale, neutra, si sessualizza nel momento in cui  “non riesce a conseguire il suo obiettivo asessuale e s’intrappola nel circolo vizioso della ripetizione fine a se stessa” e “cominciamo a godere proprio della ripetizione «disfunzionale» di questo gesto e con ciò sospendiamo il suo servire a qualcosa.”
Che cosa significa  questo? Io, per il mio modesto comprendonio, lo traduco cosi:  scrivere lettere al mio uomo lontano mi piace perché in tal modo mantengo viva la relazione. Se nel frattempo la relazione si è sfaldata e se, pur essendo finito il motivo per scrivere, io continuo a farlo, è perché ci ho preso gusto, mi sono innamorata della scrittura a prescindere.
Accade un po’ la stessa cosa (attenzione: l’esempio è mio!) al feticista, il quale, per un inghippo o trauma nella sfera della sessualità, sposta la sua libido, liberandola dalla fascinazione verso i requisiti sessuali del partner e dirigendola sugli oggetti che hanno rappresentato o sono contigui a quei requisiti, i quali ora attirano per se stessi, sono cioè il vero oggetto dell’investimento libidico del feticista.
Ho volutamente estrapolato, fra i tanti, questo aspetto della trattazione, per dire che forse è il caso di tentare letture impegnative allo scopo di maturare e imparare a pensare e ad argomentare. Magari ci innamoriamo di un certo tipo di testo a prescindere dall’utile ricavabile. Godiamo nel leggere testi impegnativi.

Mi sembra, dunque, che un po’ di audacia  consenta  di conseguire qualche sensibilità, se non vere e proprie conoscenze, permetta di deporre qualche pregiudizio o luogo comune che ci fa gattini ciechi in preda a comportamenti compulsivi indotti, che ci fa succubi di narrazioni depistanti rispetto all’esercizio, certo difficile e faticoso, dell’intelletto su problemi che ci riguardano, che ci attraversano, persino, rimanendo ignorati.  

mercoledì 10 giugno 2015

Immagini e stimoli vagabondi

Mi sembra interessante riportare su questa pagina la discussione nata su Fb in due pagine diverse, a proposito di una bellissima foto edita dal Los Angeles Time tratta da uno dei film su Mme Bovary, che qui non mi è permesso riportare.
L'immagine era sovrastata  da un commento sul personaggio Emma Bovary, da cui è partita la discussione molto interessante. Cosa rara in un social.
Per discrezione indicherò con delle lettere colorate i partecipanti alla discussione.


A) Mme Bovary l'eterno femminino.L'eterno rinnovarsi del bisogno di amore che esclude analisi e ragione

B)  C'est pas vrai. Questa è l'immagine che si sono fatta la generalità dei nostri partners, Flaubert compreso con la sua grandissima arte, e la quasi totalità delle donne di una volta. Oggi un po' meno. Ma chiediamoci perché ci siamo specchiate in quelle immagini e ci siamo sentite esattamente rappresentate. Suggerisco di riconsiderare Gertrude, la monaca di Monza, per capire quanto è profonda e moderna l'analisi manzoniana. Il contesto specifico in cui Manzoni colloca e sviluppa la storia di Gertrude fa risaltare il procedimento educativo alienante ed efficacissimo. L'alienazione sottile, rinforzata dal contesto sociale, comprime, rende soggette al senso di colpa e perverte, crea senso di inadeguatezza, bisogno di protezione. L'eterno femminino è una costruzione storico-sociale eteronoma,omologa all'eterno mascolino più autonomo.

Avendo condiviso l' immagine in altra pagina è stato ripreso l'intervento precedente.

B) Ricopio il mio commento che nega la coincidenza tra il senso d'essere femminile e le immagini della femminilità come femminino inteso e voluto dal sistema patriarcale fallico storicamente prevalente.
Madame Bovary , annoiata signora di provincia. 
C'est pas vrai. Questa è l'immagine che si sono fatta la generalità dei nostri partners, Flaubert compreso con la sua grandissima arte, e la quasi totalità delle donne di un volta. Oggi un po' meno. Ma chiediamoci perché ci siamo specchiate in quelle immagini e ci siamo sentite esattamente rappresentate. Suggerisco di riconsiderare Gertrude, la monaca di Monza, per capire quanto è profonda e moderna l'analisi manzoniana. Il contesto specifico in cui Manzoni colloca e sviluppa la storia di Gertrude fa risaltare il procedimento educativo alienante ed efficacissimo. L'alienazione sottile, rinforzata dal contesto sociale, comprime, rende soggette al senso di colpa e perverte, crea senso di inadeguatezza, bisogno di protezione. L'eterno femminino è una costruzione storico-sociale eteronoma,omologa all'eterno mascolino più autonomo.

M) Nelle due figure di donna che tu proponi, ci sono almeno due differenze sostanziali: Gertrude non sceglie , decide la sua famiglia per lei, lei non può opporsi, pena l'emarginazione familiare e sociale. Aggiungerei che neanche i suoi genitori sono liberi di scegliere, la loro scelta, dettata dal ceto di appartenenza e dalla necessità della conservazione del patrimonio - fatto obbligatorio per l'aristocrazia seicentesca- pongono in condizioni di necessità e "naturalità" la scelta del padre di Gertrude. Cosa diversa è la scelta di Emma Bovary. Il contesto borghese in cui si situa la sua vicenda familiare, ha come riferimento la classe aristocratica. Emma aspira a far parte di questa classe. L'inquietudine che la divora è il frutto di insoddisfazione , prima che amorosa, di ceto di appartenenza. E da qui le relazioni sbagliate che la conducono alla perditio. Ma è una perditio nella banalità, come banale era stata la sua aspirazione. Flaubert , in questa personaggio , come in diversi suoi romanzi, tende a rilevare la mediocrità che a volte sconfina nelle "betise", dalla quale pochi si salvano attraverso un percorso razionale e consapevole. In Manzoni , forse, è molto più insistito l'elemento della cogenza, dell'impossibilità di orientare, con un atto di volontà, la propria vita verso altri obiettivi che non siano quelli del conformismo sociale. In questo senso egli, Manzoni, scava nella profondità della psicologia educativa di cui si serve la famiglia di Gertrude, mettendo in evidenza il perverso sistema del tempo. In Emma tutto questo manca. Emma è una donna libera e la sua scelta è tanto più banale quanto più ampia è la sua libertà.

B) Tuttavia i due esempi, pur essendo qualitativamente diversi per epoca, per cultura, per classi sociali, sono fenomeni complessi di una struttura che vi rimane potentemente sottesa: la struttura patriarcale, fallica che costruisce le psicologie soggettive socialmente desiderabili a sostegno di un modello preminente e decisivo. In Bovary il personaggio femminile è una piccolo-borghese che aspira a una condizione altoborghese (orizzonte di presunta libertà e potere), e non sa e non può farlo se non tramite quella sorta di "prostituzione" anche sentimentale. In Bovary Flaubert descrive i movimenti e le inquietudini di quelle classi che aspirano a diventare contigue a quelle del potere economico-politico.Emma rappresenta la quota debole della sua classe, non perché sia stupida, ma perché è psicologicamente culturalmente strutturata per esserlo. Flaubert non si occupa di come avviene quella formazione. Manzoni al contrario, descrive dall'interno, non solo il modo con cui la classe più alta, quella aristocratica, si disponga a conservare potere e forza economica, ma anche quali sue quote fossero destinate a una condizione di subordinato supporto, ma non a una uscita dal proprio contesto di classe. Manzoni mette in piedi una straordinaria e minuziosa descrizione della formazione psicologica della predestinata:elusioni, blandizie, costrizioni, pressioni ... Una "scuola" perenne, organizzata dalla "legge del padre" tramite i cultori , i commessi di quella legge, elementi femminili compresi, senza nemmeno la possibilità di concepire un desiderio diverso. Manzoni ci fa toccare con mano le fitte maglie della rete mobilitate alla costruzione della soggettività femminile nel senso proprio di assoggettamento per fini che son la negazione e la perversione di ogni autenticità. E attraverso questo pur specifico modello è possibile vedere in filigrana quello che ancora oggi accade fuori scena a danno delle future donne

Riportato su Verbi e di-verbi da B. M.