domenica 21 giugno 2015

Intervallo con "poesia" -Il tempo nasce vecchio - inedita di Bianca Mannu

Il tempo nasce vecchio

Qua –

fra gli sterrati contesi alla campagna –

il tempo nasce vecchio e ingordo

affetto dalla stessa cupidigia

del più stupido

di tutti gli animali: l’uomo -

l'uomo che di sé e di tutto

ha fatto cose da contare

che tutto ha posto in crapula

e messo in portafoglio -

adesso annusa da stazione prona

gli esiti suoi

caduti dal tempo

della stazione eretta.

Nota Va da sé che non l'uomo in generale è stupido, ma certo quella parte di umani  "che di tutto ha fatto cose da contare, ecc.,ecc.. La nobiltà dell'uomo conosce oggi un temibile logorio e il tempo suo si accorcia pericolosamente e diventa il tempo del suo sterco.. 

sabato 20 giugno 2015

Conversazione a lato di Approccio 2 di Letture difficili e intriganti

Maria Concetta Rosa Giannalia scrive a commento:
Se ho ben capito, l'analisi di Zisek è finalizzata a dimostrare come,nella comprensione e valutazione del mondo, ognuno di noi risente di  schemi mentali indotti dalla società in cui vive e nella quale agiscono gli interessi-idee dei gruppi di potere economico. Le nostre idee, dunque, solo apparentemente sarebbero idee nostre, in realtà sono veicolate dalle ideologie di tali gruppi. Questa visione totalizzante sviluppa da un altro punto di vista il concetto di Super-io freudiano. Ma allora: in che modo ogni uomo può rendersi veramente libero? Mi sembra questo l'insormontabile problema filosofico cui  non si riesce a dare risposta. E se è vero che studio e letture sviluppano la capacità di porsi criticamente di fronte all'ideologia, è pur vero che chi potrà affrancarci dal "sussumere", come tu dici, altre idee, altri modi di guardare al mondo che non siano quelle derivate dalle nostre letture? In altri termini, potremo mai essere ideologicamente liberi? 

Bianca Mannu rispondendo scrive
Intanto è stato K.Marx a elaborare un primo concetto di ideologia a partire dalle Tesi su Feuerbach nelle quali critica l'atteggiamento contemplativo dei filosofi e la loro ignoranza della prassi che trasforma in senso reale i rapporti economico-sociali e il modo di produrre; ed è il movimento economico sociale che muove le categorie  del pensiero e genera gli impulsi alla formazione delle idee e delle immagini che di quegli stessi rapporti si formano nelle teste degli uomini. Ma in una società di gruppi sociali ineguali, le condizioni della produzione materiale genera rapporti di potere e subalternità. La classe al potere controlla anche la produzione delle idee e del sistema educativo e logico, mediante il quale  quegli stessi rapporti di potere si eternizzano come enti assoluti, principi irrecusabili. Quindi, sì, a carico dell'individuo si consuma la massima alienazione ideologica. Ma per Marx la vera trasformazione e liberazione soggettiva avviene prima di tutto a livello della prassi sociale col mutamento dei rapporti di potere.

Che ne è, dici, della libertà dell'io? La libertà è un processo verso la consapevolezza circa l'uso degli strumenti del pensiero facendoli collidere fra loro e con gli effetti che l'esperienza pratica genera a carico del simbolico.  La libertà dell'io è quella che forse conquista l'isterica o il nevrotico  nel processo psicanalitico: la disponibilità degli strumenti scientifici  con l'elaborazione del sintomo per mezzo del transfert  con lo psicanalista. A livello sociale, la trasformazione della politica da strumento di dominio a strumento di partecipazione. Il trasferimento della "jouissance"  dal denaro-merce-potere ad altri oggetti. Questa forse, in pochi rozzi soldoni, una porzione delle tesi di S.  Žižek

Considerazioni post-discussione a cura di B. Mannu
La materia di riferimento è così complessa che ogni tentativo di condensarla rischia di risultare banale. Facciamoci consapevoli che la facilitazione che presiede all'acquisizione e all'esposizione delle nozioni e dei loro nessi imprime loro una certa curvatura che può essere eliminata con gli approfondimenti e col più largo confronto delle idee e il ricorso diretto alle fonti più attendibili.
L'alterazione massima si ha quando l'apertura verso la ricerca s'interrompe nella chiusura dell'opinione, una vera prigione ideologica che è largamente esterna (opinion maker, giornalisti, esperti vari) rispetto all'autocontrollo della propria formazione, nel senso anzidetto.
Vale la pena a questo punto di scrivere una breve nota estraendola dal "Riso totalitario"(in Žižek L'oggetto sublime...) in cui Ž. polemizza con l'Umberto Eco de Il nome della rosa a proposito, ma non solo, della mancanza di riso, di distacco ironico nei regimi totalitari. "Ciò che disturba... nel Nome della rosa ...è la fede implicita nella forza liberatrice e antitotalitaria del riso.." 
"Nelle società contemporanee, sia democratiche sia totalitarie, questa distanza cinica, il riso, l'ironia, fanno parte del gioco". E dopo questa puntualizzazione Žižek al paragrafo "Il cinismo come forma dell'ideologia" dice così "la definizione più elementare di ideologia è probabilmente racchiusa in questa celebre proposizione del Capitale di Marx:.....Non sanno di far ciò, ma lo fanno".
A parte che mi ricorda la frase di Gesù sulla croce riferita dai Vangeli (Ah, l'ebraismo di Marx!) "Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno", Žižek continua:"Il concetto di ideologia comporta una specie di fondamentale, costitutiva ingenuità: il misconoscimento dei suoi stessi presupposti, delle sue condizioni oggettive..."

venerdì 19 giugno 2015

Letture difficili e intriganti- Approccio 2 di B. Mannu

Premessa e promemoria di oggi


Invitare amici e lettori a misurarsi con buone letture per ricavarne buone informazioni e anche stimoli a proseguire la propria formazione è forse un atto presuntuoso, se si ferma a un semplice invito. Altro è sfidare la difficoltà nella speranza di raccontare a me stessa alcune delle cose dette magistralmente da un altro, in questo caso, dal filosofo sloveno S. Žižek  . Qualcuno potrebbe obiettare: perché non lo fai in privato? E io rispondo che scrivere un blog è un atto politico. E il mio atto politico consiste, non solo nello scrivere e pubblicare versi e prosa narrativa, ma anche leggere in pubblico e cavarne quel po' che le mie forze consentono.Infatti la mia non è affatto una lettura sistematica, ma un viaggio molto interessante, ancorché impervio e non sequenziale dentro questi libri per meglio vedere al di fuori. Rammento le opere:
L'oggetto sublime dell'ideologia, - Ponte alle Grazie 2014
Organi senza corpi - La suola di Pitagora editrice
La fragilità dell'assoluto - 2007

A scuola da Slavoj Žižek


 Proporre al non-specialista di alcunché, quale io sono come tanti, di misurarsi con la complessità dei problemi del mondo attuale, implica indicare, come dicevamo, una necessità che è essenziale e vitale per ogni uomo: levarsi sopra la semplice, ma irrecusabile animalità.
Riconoscerci umani significa sapere e potere non appiattirci sulla condizione minima inscritta nel genoma. Data la nostra naturale indeterminazione,  occupiamo una frontiera dove l’animalità  è suscettibile di “trasustanziazione” (cfr. Žižek) a livello di “spirito” o, se si vuole, di spiritualità.
Con questo Ž. non invita a riconoscere o ad abbracciare una fede nella trascendenza o immanenza divina per ricuperare per l’animale uomo una dimensione, più che nobile, divina, quanto un suggerimento, forse, a considerare che quanto facciamo inconsciamente in risposta alla nostra natura animale, possiamo farlo meglio attivando consciamente le nostre potenzialità.
A partire dall’accoglimento - che sappiamo ambivalente - della nostra irrecusabile finitezza, sapendo che il nostro ingresso nel mondo (quello vissuto e percorso come esterno e quello vissuto come interno) è già da sempre involto e ci coinvolge nel sistema simbolico e che, per quanto si sia convinti che il mondo ci si pari contro come un Tutto Altro, abbiamo da prendere coscienza ancora che quanto vi accade e ci coinvolge esige di  divenire pensabile, ossia altro rispetto alla sua e nostra consistenza materiale, ma ad essa articolato.

  È in questo ambito ideologico, appunto, che vengono a strutturarsi, tramite i linguaggi, le nostre esperienze e i loro effetti introiettivi e proiettivi. Niente può attraversare o insediarsi in noi come immagine o pensiero, se non tramite i fantasmi/parola con cui riempire  le nostre lacune; e questi spesso si rivelano fallaci e inadeguati.
 I testi di Žižek menzionati analizzano i movimenti e le complicanze  del processo cui ho appena accennato. Il lettore comune come me ne segue con molta difficoltà le combinazioni. Esse corrispondono a logiche non meccaniche e comunque  non perspicue.  La circolarità tautologica che s’instaura al livello dell’ideologia  può comportare il totale o parziale fallimento della nostra presa sulle cose e su noi medesimi.

Certo, a questo punto dovrei desumere una definizione minima di che cosa s’intenda con la parola ideologia. Ma la difficoltà fa davvero tremare le vene e i deboli polsi filosofici. Con acerba e presuntuosa riduzione direi che ideologia è tutto il sistema di rappresentazioni, di idee, di enunciati-valore e di simboli in cui si condensa la cultura di una società in un certo tempo storico; e si potrebbe persino aggiungere che essa ne rappresenta il carattere. Ma rimanderei alla lettura di un breve saggio molto limpido Sull’Ideologia  di L. Althusser(1976), certa che Žižek non me ne vorrebbe, anzi. Il filosofo franco-algerino - benché non riesca a essere convincente, secondo Žižek, circa la descrizione del modo con  cui avverrebbe la sussunzione dell’individuo a soggetto assoggettato all'ideologia -  individua e analizza gli aspetti materiali e ingiuntivi degli apparati ideologici. Lettura molto istruttiva e accessibile, perché la sua analisi riguarda i supporti materiali e il carattere organizzato dell'ideologia.
Dovrei per un senso di trasparenza dire che cosa s'intende per tautologia. In un enunciato,ad esempio il cerchio è rotondo, il significato del secondo lemma  "rotondo" ripete ciò che è inscritto nel concetto di cerchio.

Voglio indicare rapidamente che la nozione di ideologia, pur non mostrando collegamenti evidenti con la materialità produttiva che fonda l’esistenza dei gruppi sociali, è così tanto importante che nei conflitti bellici i belligeranti, non solo mirano alla distruzione dell’economia e delle risorse materiali del rispettivo nemico, ma cercano di minare in tutti i modi la persistenza e la funzione totalizzante del suo sistema ideologico, il quale agisce da riferimento identitario e quindi da collante sociale.
Attualmente, altro esempio, nella lotta mondiale per la supremazia politico-economica, l’ideologia occidentale si contrappone a quella mediorientale e viceversa, sotto l’effetto totalizzante delle religioni e delle morali politiche. L’attacco ideologico reciproco tende a tagliare i collettori motivazionali dell’identità e dell'unità "spettrali" del gruppo avverso esponendolo alla rottura dello specchio, cioè a una sorta di morte per dissolvimento della propria immagine.

 Ma quel che risulta più difficile da capire è il come e il perché della curvatura  che questo diaframma ideologico imprime al nostro rapporto col mondo e con la natura–mondo di cui siamo composti.
Il fantasma ideologico, che dal di fuori entra dentro la coscienza individuale formandola, è precostituito e costitutivo della così detta identità personale, è ineliminabile: in altri termini ci preesiste il mondo e le strutture incorporee che ce lo introducono simbolicamente, ci preesistono i codici delle lingue, la messe dei significati e delle significazioni. 
Però mai questa complessa impalcatura prassica (guida e sollecita azioni) e simbolica è  terra di nessuno, mai neutra, essa è già da sempre occupata da qualcuno, per esempio, da un Patriarca o da un Padrone (il Grande Altro, il grande Super Io), è attraversata da tensioni e resistenze irriducibili all’uno; è tuttavia permeabile e mobile come complesso macchinico produttore di ambiguità contraddizioni, gerarchie di poteri, presieduto da una (o più) entità che enunciando ordina, obbliga,  accoglie, esclude, elabora, inventa, falsa, distorce, complica e ci costituisce come soggetti, come io assoggettati, e riproietta nel così detto mondo materiale i suoi  prodotti. Quello che noi indichiamo come mondo materiale, altro rispetto agli io, non è intanto a sua volta tetragono, ma spugnoso, padronale, prassico e occulto produttore di materiali simbolici.
In parole forse troppo semplici  il luogo dell’ideologia è quello dell’Autorità, e il luogo dove gli interessi innominabili si presentano come garanzia di giustizia, equanimità, verità, bene supremo, eccetera.


lunedì 15 giugno 2015

Letture difficili e intriganti- Approccio 1 di B. Mannu

A scuola da Žižek


Mi propongo di scrivere qualche riga di riferimento ad alcuni saggi di Slavoj Žižek.
Intanto chi è Slavoj Žižek?
Vado a rilevare i suoi dati dal ripiego di copertina di un suo libro particolarmente impegnativo: L’oggetto sublime dell’ideologia alla terza edizione (2012)
Nato a Lubiana nel 1949…”è fra i più innovativi pensatori del nostro tempo. Insegna nella sua città natale e in molti atenei americani e europei”.
Autore di moltissimi saggi, tra cui Organi senza corpi,(2012), ha appena pubblicato i primi due tomi del suo capolavoro filosofico “Meno di niente, di cui ancora niente so.
Perché evocare questi suoi saggi assai complessi – e di cui in verità non potrei riferire granché, data la mia poca perizia filosofica?

Intanto ci provo perché credo che il caso giochi un ruolo importante anche negli incontri migliori. E io sono molto contenta di essere incappata a naso nei suoi titoli e quindi in qualcuno dei suoi libri che si sono subito rivelati difficili, concettosi, ma anche ricchissimi di riferimenti e di modi interessanti di  considerare questioni anche molto concrete.
Penso che non bisogna soggiacere alla nostra pigra ignoranza di persone comuni, costantemente inadeguate alla condizione adulta. La mania dilagante di praticare sport di ogni genere, anche pericolosi o estremi, a fronte della fobia o del rifiuto a misurarsi con le meno ovvie articolazioni del pensiero, indicano quanto meno una sorta di immaturità umana, che certo torna comoda a coloro che su tale immaturità fondano il loro potere. Ma l’indeterminatezza dell’essere umano consente inversioni di rotta, se volute.
Proprio Žižek, in Organi senza corpi dice, ma io lo ripeto semplificando a mio modo, che l’essere umano sprigiona una quantità di energia sessuale in eccesso, tale che il suo straripamento in ambiti confinanti comporta la produzione indiscriminata di significati metaforici e allusivi. Il suo eccesso deriva da un’impasse strutturale per cui essa non raggiunge mai il proprio obiettivo, ossia la piena quiete, in quanto la sua realizzazione richiede la partecipazione dell’altro, comportando per tale fatto, una non perfetta sincrasia. Insomma è a partire dalla sessualità, dal suo non restare interna a se stessa, che prende  a strutturarsi il linguaggio. Dislocandosi oltre il corpo mediante l’organo simbolicamente divelto, desessualizzato, il fallo di castrazione, funge da significante vuoto (organo senza corpo), ossia da elemento fantasmatico, neutro, il quale costituisce il punto d’incrocio tra le serie non corrispondenti biunivocamente dei significanti e quella dei significati.
Se, a causa dell’eccedenza della sessualità oltre il suo luogo, tutto diviene allusivamente sesso, allora ciò che è per natura neutro può essere sessualizzato. Infatti nel momento in cui il fallo divelto circola come significante, può farlo in quanto deterritorializzato, cioè privato del significato sessuale e carpito entro l’ordine simbolico che, pur sorgendo dal corpo, non è corporeo. Per contro un’attività asessuale, neutra, si sessualizza nel momento in cui  “non riesce a conseguire il suo obiettivo asessuale e s’intrappola nel circolo vizioso della ripetizione fine a se stessa” e “cominciamo a godere proprio della ripetizione «disfunzionale» di questo gesto e con ciò sospendiamo il suo servire a qualcosa.”
Che cosa significa  questo? Io, per il mio modesto comprendonio, lo traduco cosi:  scrivere lettere al mio uomo lontano mi piace perché in tal modo mantengo viva la relazione. Se nel frattempo la relazione si è sfaldata e se, pur essendo finito il motivo per scrivere, io continuo a farlo, è perché ci ho preso gusto, mi sono innamorata della scrittura a prescindere.
Accade un po’ la stessa cosa (attenzione: l’esempio è mio!) al feticista, il quale, per un inghippo o trauma nella sfera della sessualità, sposta la sua libido, liberandola dalla fascinazione verso i requisiti sessuali del partner e dirigendola sugli oggetti che hanno rappresentato o sono contigui a quei requisiti, i quali ora attirano per se stessi, sono cioè il vero oggetto dell’investimento libidico del feticista.
Ho volutamente estrapolato, fra i tanti, questo aspetto della trattazione, per dire che forse è il caso di tentare letture impegnative allo scopo di maturare e imparare a pensare e ad argomentare. Magari ci innamoriamo di un certo tipo di testo a prescindere dall’utile ricavabile. Godiamo nel leggere testi impegnativi.

Mi sembra, dunque, che un po’ di audacia  consenta  di conseguire qualche sensibilità, se non vere e proprie conoscenze, permetta di deporre qualche pregiudizio o luogo comune che ci fa gattini ciechi in preda a comportamenti compulsivi indotti, che ci fa succubi di narrazioni depistanti rispetto all’esercizio, certo difficile e faticoso, dell’intelletto su problemi che ci riguardano, che ci attraversano, persino, rimanendo ignorati.  

mercoledì 10 giugno 2015

Immagini e stimoli vagabondi

Mi sembra interessante riportare su questa pagina la discussione nata su Fb in due pagine diverse, a proposito di una bellissima foto edita dal Los Angeles Time tratta da uno dei film su Mme Bovary, che qui non mi è permesso riportare.
L'immagine era sovrastata  da un commento sul personaggio Emma Bovary, da cui è partita la discussione molto interessante. Cosa rara in un social.
Per discrezione indicherò con delle lettere colorate i partecipanti alla discussione.


A) Mme Bovary l'eterno femminino.L'eterno rinnovarsi del bisogno di amore che esclude analisi e ragione

B)  C'est pas vrai. Questa è l'immagine che si sono fatta la generalità dei nostri partners, Flaubert compreso con la sua grandissima arte, e la quasi totalità delle donne di una volta. Oggi un po' meno. Ma chiediamoci perché ci siamo specchiate in quelle immagini e ci siamo sentite esattamente rappresentate. Suggerisco di riconsiderare Gertrude, la monaca di Monza, per capire quanto è profonda e moderna l'analisi manzoniana. Il contesto specifico in cui Manzoni colloca e sviluppa la storia di Gertrude fa risaltare il procedimento educativo alienante ed efficacissimo. L'alienazione sottile, rinforzata dal contesto sociale, comprime, rende soggette al senso di colpa e perverte, crea senso di inadeguatezza, bisogno di protezione. L'eterno femminino è una costruzione storico-sociale eteronoma,omologa all'eterno mascolino più autonomo.

Avendo condiviso l' immagine in altra pagina è stato ripreso l'intervento precedente.

B) Ricopio il mio commento che nega la coincidenza tra il senso d'essere femminile e le immagini della femminilità come femminino inteso e voluto dal sistema patriarcale fallico storicamente prevalente.
Madame Bovary , annoiata signora di provincia. 
C'est pas vrai. Questa è l'immagine che si sono fatta la generalità dei nostri partners, Flaubert compreso con la sua grandissima arte, e la quasi totalità delle donne di un volta. Oggi un po' meno. Ma chiediamoci perché ci siamo specchiate in quelle immagini e ci siamo sentite esattamente rappresentate. Suggerisco di riconsiderare Gertrude, la monaca di Monza, per capire quanto è profonda e moderna l'analisi manzoniana. Il contesto specifico in cui Manzoni colloca e sviluppa la storia di Gertrude fa risaltare il procedimento educativo alienante ed efficacissimo. L'alienazione sottile, rinforzata dal contesto sociale, comprime, rende soggette al senso di colpa e perverte, crea senso di inadeguatezza, bisogno di protezione. L'eterno femminino è una costruzione storico-sociale eteronoma,omologa all'eterno mascolino più autonomo.

M) Nelle due figure di donna che tu proponi, ci sono almeno due differenze sostanziali: Gertrude non sceglie , decide la sua famiglia per lei, lei non può opporsi, pena l'emarginazione familiare e sociale. Aggiungerei che neanche i suoi genitori sono liberi di scegliere, la loro scelta, dettata dal ceto di appartenenza e dalla necessità della conservazione del patrimonio - fatto obbligatorio per l'aristocrazia seicentesca- pongono in condizioni di necessità e "naturalità" la scelta del padre di Gertrude. Cosa diversa è la scelta di Emma Bovary. Il contesto borghese in cui si situa la sua vicenda familiare, ha come riferimento la classe aristocratica. Emma aspira a far parte di questa classe. L'inquietudine che la divora è il frutto di insoddisfazione , prima che amorosa, di ceto di appartenenza. E da qui le relazioni sbagliate che la conducono alla perditio. Ma è una perditio nella banalità, come banale era stata la sua aspirazione. Flaubert , in questa personaggio , come in diversi suoi romanzi, tende a rilevare la mediocrità che a volte sconfina nelle "betise", dalla quale pochi si salvano attraverso un percorso razionale e consapevole. In Manzoni , forse, è molto più insistito l'elemento della cogenza, dell'impossibilità di orientare, con un atto di volontà, la propria vita verso altri obiettivi che non siano quelli del conformismo sociale. In questo senso egli, Manzoni, scava nella profondità della psicologia educativa di cui si serve la famiglia di Gertrude, mettendo in evidenza il perverso sistema del tempo. In Emma tutto questo manca. Emma è una donna libera e la sua scelta è tanto più banale quanto più ampia è la sua libertà.

B) Tuttavia i due esempi, pur essendo qualitativamente diversi per epoca, per cultura, per classi sociali, sono fenomeni complessi di una struttura che vi rimane potentemente sottesa: la struttura patriarcale, fallica che costruisce le psicologie soggettive socialmente desiderabili a sostegno di un modello preminente e decisivo. In Bovary il personaggio femminile è una piccolo-borghese che aspira a una condizione altoborghese (orizzonte di presunta libertà e potere), e non sa e non può farlo se non tramite quella sorta di "prostituzione" anche sentimentale. In Bovary Flaubert descrive i movimenti e le inquietudini di quelle classi che aspirano a diventare contigue a quelle del potere economico-politico.Emma rappresenta la quota debole della sua classe, non perché sia stupida, ma perché è psicologicamente culturalmente strutturata per esserlo. Flaubert non si occupa di come avviene quella formazione. Manzoni al contrario, descrive dall'interno, non solo il modo con cui la classe più alta, quella aristocratica, si disponga a conservare potere e forza economica, ma anche quali sue quote fossero destinate a una condizione di subordinato supporto, ma non a una uscita dal proprio contesto di classe. Manzoni mette in piedi una straordinaria e minuziosa descrizione della formazione psicologica della predestinata:elusioni, blandizie, costrizioni, pressioni ... Una "scuola" perenne, organizzata dalla "legge del padre" tramite i cultori , i commessi di quella legge, elementi femminili compresi, senza nemmeno la possibilità di concepire un desiderio diverso. Manzoni ci fa toccare con mano le fitte maglie della rete mobilitate alla costruzione della soggettività femminile nel senso proprio di assoggettamento per fini che son la negazione e la perversione di ogni autenticità. E attraverso questo pur specifico modello è possibile vedere in filigrana quello che ancora oggi accade fuori scena a danno delle future donne

Riportato su Verbi e di-verbi da B. M. 

martedì 9 giugno 2015

Il tuo ebook nelle biblioteche con Youcanprint! - Annunci - Promozioni

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Verbi e di-verbi: Report dalle cuspidi modulari -Inedita di Bianca ...

Verbi e di-verbi: Report dalle cuspidi modulari -Inedita di Bianca ...: Curve tendenziali di numeri/profitto segni dall’apparenza inerme rivolti al cielo o al suolo d’un misterioso quadrato cartesiano ...

Report dalle cuspidi modulari -Inedita di Bianca Mannu



Curve tendenziali di numeri/profitto
segni dall’apparenza inerme
rivolti al cielo o al suolo
d’un misterioso quadrato cartesiano …
Come traiettorie d’aquiloni
cancellati alla vista
da siderali lontananze
s’incidono
s’intrecciano come gioco di voli
in un cielo  di cristalli liquidi
vietato al passaggio
di nuvoli e di venti …
Sono spie d’eventi/effetto –
capital gain realissimi e virtuali
difesi nei caveaux
Sono  vettori di valori
monetari
spinti da cupidi voleri
verso vertici di poteri  
tramite incitamenti per tattiche speciali
da sviluppare fuori scena
nelle quinte dei capannoni
alle bocche degli altiforni
nei cunicoli delle miniere
nelle modernissime
galere d’assemblaggio
di gadget e di high tech.
Dicono sia il senso del progresso
se l’operaio reprime
il suo bisogno d’andare al cesso
per meritarsi il posto di lavoro
e il favoloso tesoro
d’un miserabile mensile…
A tentare un’altra strada
si finisce come in Cile
o come in Argentina
oppure si accede
al “comunismo della Cina”
dove si condivide smog a tranci
e si appendono ai ganci educativi
i dissidenti …
… e i buoni affari rendono amici
gli antichi contendenti
Questo il portato dell’economia globale  
quasi una sorta di condizione
meteorica impersonale…
Passerebbe  come evento naturale
se non si vedesse il dito 
a indicare il grado d’appetito
in abito sociale
di certi uomini stempiati
seriamente impegnati
in un plausibile gioco
di procedura tecnica –
neutrale algoritmo - procedura razionale
d’innocue abilità
apprese per sorte e familiarità.
Cenni di freddo desiderio e  calcolo         
nel moto misurato della mano 
su quelle X di piglio svettante
d’apparenza un po’ casuale
e un po’ disciplinata –
disegnate come fregi di pregio
sulle scacchiere/schermo - lassù –
ai piani alti di sontuosi grattacieli
Lì – curiosamente – si dice -
siamo tutti ben rappresentati
nella forma essenziale di numeri
spogliati di tutti gli accidenti.
Tutti lì formalmente uguali -
Vedi, la democrazia?!
Quella che dura
che si stringe a misura 
di democratura - anche detta
democrazia matura!
Dal loro eminente qui
i signori del momento -
o forse per commissione
i loro abili scrivani -
si chinano un poco
sulla nostra infinitesima esistenza:
studiano la tendenza
e decidono il gioco delle partite
d’algebra sociale.
“Qual è lo scarto per eccesso o per difetto –
il limite insomma – chiediamo -
del quoziente stabilito o forse appetito?”
Convinta e secca la risposta:
“Questo non si può preordinare!
Questo dipende dalle linee di forza.”
“Dalla forza del dito?”
chiederebbe  Simplicio.
Ma quale dito mai!
Il dito  sono acque
son sottosuolo e mare
sono miniere e campi
sono stabilimenti e scuole
sono i pensieri introdotti
nelle teste dei  pensanti
con senso e senza assenso –
da discriminare!
Sono carceri e armamenti
per spegnere fermenti di dissenso
dovunque occorra l’assoluto
bisogno di quiete sociale.
Il dito affusolato del magnate
e quello asservito del commesso
infervorati lungo vettori ascensionali
sono la mossa gentile
d’una caccia spietata
ai muscoli e alle vite
di chi muove il badile
di chi apre le strade
di chi suda e  non vale
la sua stessa vita.
Dove mai siederà la pace -
se non nei cimiteri -
finché il quoziente
dell’imprescindibile equazione
dello scambio organico e sociale
spinto sull’alto crinale
dell’appetito personale
dell’interesse unilaterale
dei pachidermi umani
sta per principio etico e morale
di interessi così detti generali
a coprire gli orrendi genitali
del Leviatano capitale.    
       

Nota- Questa composizione è antecedente di qualche anno al mio precedente articolo/ invito all'eventuale lettore a praticare il pensiero divergente. Forse farà arrabbiare o inorridire i cultori del lirismo arcadico e romantico, dell'elzeviro elegante, dei rimatori rigorosi come dei suoi detrattori, dei frettolosi lettori. Tra sensi e segni e logiche ed assurdi, tra ciò che appare  e il molto che "dispare", mi tocca di forzare  lo stile all'asimmetrico cortile del villaggio globale! E viva la rima e il suo contrario!B.M.

venerdì 5 giugno 2015

E invece, andiamo a scuola del pensiero divergente! (Bianca Mannu ci prova)

I nostri politici e opinion maker si sgolano e si sbracciano a ripeterci che siamo fuori dalla crisi.
Crisi. Termine di origine greca derivante dal verbo krìnein -> decidere, con cui si indica uno stato transitorio di difficoltà economica che produce conseguenze di ordine sociale e politico, con mutamenti evidenti nei modelli sociali di identità e di comportamento, negli stili di vita, nelle concezioni culturali, nelle vite e psicologie individuali, formando un intreccio di problemi che dovrebbe dare adito a risoluzioni decisive.
Siamo più o meno consapevoli che il carattere interconnesso assunto dalle formazioni economico-sociali contemporanee (globalizzazione dell’economia, mobilità finanziaria, globalizzazione dell’informazione, della ricerca tecnico-scientifica,ecc.) fa in modo che un brusco mutamento, anche marginale e/o locale, nel prodursi e propagarsi accresca il suo potenziale di efficacia combinandosi con altri impulsi e causando in tutto il sistema mondiale dei veri e propri sconvolgimenti  di varia natura e temporalità.
A molti di noi, gente comune, sembra toccare il peggio – i diritti sfumano - mentre ogni plausibile spiegazione resta involta in confusi linguaggi e ogni decisione di salvezza sociale fuori dalla nostra portata.
La spiegazione medievale circa l’imperscrutabilità divina e il peso del peccato sulla distribuzione ineguale delle risorse e dei poteri fra gli umani, sopravvissuta fino a qualche decennio fa,  non può essere riproposta. Anzi sembra essere definitivamente sostituita da una specie di giusnaturalismo aggiornato, secondo cui nasciamo fisicamente simili, ma “naturalmente predisposti alla necessaria competizione sociale”: individui come gazzelle inseguite dai feroci felini che per altri, più feroci e più affamati, sono a loro volta gazzelle.
I maÎtres à penser ben remunerati  ripetono che gli squilibri sociali si sono forse originati  in quel gioco competitivo, che non sono appianabili e che nemmeno è desiderabile che lo siano, perché quel gioco sarebbe fisiologicamente sano e connaturato al giusto ricambio sociale e generazionale. Dunque gli squilibri non possono che presentarsi e ri-presentarsi come dato, intaccabile in misura minima con aggiustamenti migliorativi nei periodi di vacche grasse, cioè quando l’accumulo dei profitti è tale da tracimare dai caveaux dei pochi  e ricadere sulle sguarnite tavole dei più numerosi. (Leggi:effetti benefici del liberismo!)
Dunque siamo inguaribilmente disuguali sia per origine che per esito, a causa della diversa natura delle qualità mentali individuali, dell’aggressività, delle ambizioni, dalla forza di volontà e – parzialmente – anche in virtù  delle differenti condizioni di esistenza date, le quali sarebbero suscettibili di inversione e di miglioramenti, anche notevolissimi, per via dei meriti intellettuali, caratteriali e morali che l’individuo, nella sua incoercibile volontà di potenza, sarebbe capace di mobilitare per raggiungere i propri scopi realizzativi.
 Come dire che la tua povertà, la tua marginalità, le tue difficoltà sono da ascrivere alla tua pochezza, e magari alla tua infingardaggine o alla tua carenza del giusto tasso di aggressività.
Insomma, caro individuo, il tuo destino è unicamente nelle tue mani. Le leggi politiche, le regole economiche sono terra di nessuno: lì, liberi tutti. Dipende da te se la giochi bene o no.
In fin dei conti – qui lo dico, ma poi lo nego se non capisci il mio senso di moderazione – la morale è che la tua riuscita nel mercato del denaro e del potere (il bruscolo o l’eccesso di benessere di cui disponi, il potere di disporre sulla volontà altrui, la garanzia di debita distanza fisica  dalla vista dei morti viventi seminati sul tuo cammino, la distanza dalla loro e dalla tua puzza sbolognata sui loro cortili, ecc….) è ciò che conta, perché tu ti sei speso per la meritocrazia (= emerge e comanda che è bravo!) e tu ne sei la palese testimonianza. Dunque “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.

Ma, poiché il sangue non è acqua e poiché quella ratio non convince,  a questo punto si torna al “homo homini lupus”.  E al posto del Leviatano, Stato, Monarca mediatore imparziale dei contrapposti interessi, ci sono i potentati multinazionali dell’industria, della finanza e della ricerca scientifica e bellica (sostenuti e rinforzati da quelli politici e istituzionali saldamente al loro servizio, mentre il privato di calibro si arrangia bene negli interstizi!) che, molto unilateralmente, sono ben orientati a incrementare, con tutti i mezzi possibili, i propri poteri e a estendere il controllo sugli atteggiamenti e comportamenti delle moltitudini, anche e sopra tutto sulle menti e sulla formazione degli individui singoli, perché costoro smettano di immaginare il senso di possibili coesioni collettive, e non gli venga nemmeno in sogno di desiderare e cercare mezzi per superare in modo inedito questo e altri vicoli ciechi della realtà.

martedì 2 giugno 2015

"CRISI" di Bianca Mannu e "CRISI" di Antonio Altana

Vedere tradotto un proprio testo in versi  in un altro idioma è una formidabile emozione per una poeta poco nota, come me. "Tradotto" è riduttivo e improprio: un testo che parla dell'altro e di sé.  Ciò che conta non è, però, né la notorietà né la fama. Mi pare più essenziale che la mia fame, fame come carenza di cose che non sono cose - fame di giustizia sociale, fame di bellezza, fame di solidarietà e condivisione, fame di capire, fame di sapere, fame di amicizia e di ponti culturali, fame di tempo da restituire - sia motivo d'incontro con le carenze altrui: scoprirsi affratellati in questo senso di penuria da colmare e corrispondersi con parole dette/scritte, con parole lette/ritrovate, con parole che puoi solo annusare come aromi che scopri nuovi e antichi, aromi di idiomi che ti dormono dentro come un ricordo da risvegliare.
Non è possibile- mie scarse competenze informatiche - una esposizione a specchio. Ripropongo la mia vicino alla sua. Ecco come Antonio Altana dice  


CRISI
Un'atera prella de Bianca Mannu torrada in logudoresu dae Altana
(Un'altra composizione di Bianca M. tradotta in Sardo-Logudorese da A. Altana)
Comente apende ispostu
falsos grados
mustrat sos semos suos
sa tzitade
isbanderende fertas.
Isposta - torrat a ruer subra
sa disgana pesperale
de su sàpadu sou
istudende tonos e sonos
che cando - prontu pro s'ingalenare -
aeret respiradu abellu
pro no assuconare
su sonnu
cun s'anneu de calchi 
disasura.



Tzertas disgrascias
ant gia semadu
sas lozas segnoriles
e si pessighint 
comente note a die
subra sas franzas de famosos burgos
mujados e tancados
in sos cascos de sas ganas mai atatas.
In rugadorzos mazados dae sos bentos,
canes iscapos -
prus umanos de sos umanos -
raunzant solidade
a sos sacheddos de ciroloi
e a fozas bituleras.
Come avesse dismesso
i suoi falsi lustrini
rivela sue piaghe
la città
ostenta sue ferite.
Dimessa – ricade sopra
l’apatia crepuscolare
del suo sabato
smorzando toni e suoni
come se - preparandosi a dormire -
respirasse piano
per non spaventare
il sonno
con l’ansia di possibili
sventure.
Certe sciagure
hanno già segnato
i porticati nobili
e ricorrono
come la notte e il giorno
sopra  appendici e immemori suburbi
ripiegati e chiusi
sugli sbadigli di mai sazi appetiti.



Ai crocicchi battuti dai venti
cani sbandati  -
più umani degli umani -
ringhiano solitudine
alle buste di plastica
e alle foglie pellegrine.

Noticina Non aggiungo la nota in logudorese che però potrà essere letta cliccando sul post di oggi in https://www.facebook.com/bianc.mannu.7
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venerdì 29 maggio 2015

Verbi e di-verbi: Migrazioni e immagini di guerra - Brano tratto da ...

Verbi e di-verbi: Migrazioni e immagini di guerra - Brano tratto da ...: C'è, anzi c'era un padre che si raccontava alle figlie. Si raccontava di quando, non ancora padre, migrava in cerca di miglior fortu...

Migrazioni e immagini di guerra - Brano tratto da DA NONNA ANNETTA di Bianca Mannu

C'è, anzi c'era un padre che si raccontava alle figlie. Si raccontava di quando, non ancora padre, migrava in cerca di miglior fortuna nel lavoro. Si raccontava di aver rivissuto in un vecchio bastimento che lo conduceva nel continente la propria sempre viva esperienza di guerra e di angoscia.
Ecco perché la  Paloma Mirau , figlia di Alfano e mio alter ego, può raccontare, nel libro citato, in quale modo la guerra in corso, che lei inconsapevolmente viveva e archiviava come  rumori paurosi, potesse avere un corrispettivo più drammatico, ma posto in un rassicurante passato dalle parole del genitore.
Il libro, come fosse una scatola cinese, contiene una guerra dentro l'altra, e due condizioni postbelliche molto difficili anche per una bambina abbastanza protetta, quale certamente fu. 
Pubblico queste due pagine in memoria dei caduti, parenti e alieni, della Prima  Grande Guerra e della Seconda che mi vide nascere, anche per dissentire fortemente dalla melassa patriottarda che è tracimata dalle ultime commemorazioni.  

"La camerata di terza puzzava quasi come quella tradotta militare che arrivava dal fronte alle retrovie, quando lui era soldato. E così si ritrovò in quei paraggi, in un tempo che all’istante assumeva persino una maggiore concretezza del presente.
1916: chiamato alle armi allorché suo fratello maggiore, Pietro, compiva già un anno di permanenza sulla linea del fronte. Egli, invece, era stato destinato ad espletare il servizio -temporaneamente - come armaiolo nelle officine di riparazione dell’esercito, nelle retrovie. Naturalmente si era rallegrato. Però a ogni quindicina si aspettava di essere inviato a fare il proprio turno in trincea. Niente. Lo lasciavano a fare il soldato meccanico e ad attendere col fiato sospeso il peggio. Il peggio restava sensibile e imminente a qualche decina di chilometri. Lontano e vicinissimo il fronte incombeva: i bengala, i cannoneggiamenti, l’incessante crepitio delle mitraglie, gli srapnels, gli incomprensibili silenzi, lo stillicidio delle notizie, i reduci dell’ultimo turno … Senza poter scampare ogni volta a uno sconvolgimento momentaneo dei visceri.
Il peggio era là tra il fango e la roccia, dove suo fratello Pietro lasciava incompiuta l’ultima sua corsa al lume della baionetta … Là dove, praticamente imberbe, sopraggiungeva, terzo della famiglia e tardo irredentista, Valerio.
Va’, imbecille. Così impari!” aveva esclamato mentalmente Alfano immaginando una discussione impossibile. E s’era chiuso nella pellegrina, rigido e cupo per il suo turno di guardia. Il freddo del primo autunno irrigidiva i piedi dentro le scarpe bullonate, d’un cuoio sospetto. Lui non si rallegrava, ma neppure sputava in faccia alla propria sorte. Ascoltava il sordo tambureggiare della notte.
Al campo erano entrate in circolazione voci che i tedeschi stavano facendo come i russi l’anno avanti. Ma adesso tornava comodo. I Comandi pompavano per una grande offensiva. La guerra sembrava non voler finire mai. Non se ne poteva più!
La notizia dell’armistizio giunse quasi di colpo. Chi non se ne sarebbe rallegrato? Ma l’esultanza di Alfano s’era subito rintuzzata, perché un dispaccio lo aveva informato che suo fratello Valerio, si stava spegnendo per un’infezione di tifo petecchiale nell’ospedale militare di Vicenza. E allora Alfano, in attesa della smobilitazione, aveva chiesto e ottenuto licenza per andare a visitarlo.
Il treno era pieno di soldati. Alcuni facevano capannello: parlavano del ritorno e degli eventi politici, altri cantavano, altri ancora raccontavano storielle salaci, ridevano rumorosamente incrociando battute nei dialetti più diversi. Altri, persi in un sonno duro, s’ abbandonavano agli scotimenti del treno come sacchi semivuoti. Lui aveva la gola secca e si sforzava di non pensare.
Adesso invece ricordava e pensava, sorreggendosi al parapetto del ponte di coperta del vecchio Partenope. E ogni momento che viveva gliene rammentava un altro, per analogia, per discordanza, per risveglio di un’impressione sensoriale perduta, di un’emozione sopita. Un pensiero ispessito - da adulto - che percorre e precorre tutte le direzioni del tempo e può contenere tutti gli spazi concepibili. E poiché certi orrori la vita glieli aveva risparmiati, si sentiva adulto, quale in effetti era, ma integro, e perciò libero di sostenere il proprio sguardo interiore senza provare raccapriccio, ma sapendo che l’eventuale incontro con l’orrore lo riguardava comunque, in quanto uomo.
Eppure, ora che una concreta speranza e un ragionato entusiasmo sembravano sostenerlo verso un nuovo inizio, ebbe un sussulto di pessimismo. Come se ogni schiarita fosse niente più che il segnale d’una imminente perturbazione d’imprecisabile entità. Che cosa attendersi? Da se stesso? Dal caso? Dal mondo?
Dalla Russia e dalla Germania continuavano a giungere notizie di grandi sommovimenti sociali che spingevano verso cambiamenti inediti. Avvertiva che tutto ciò, in qualche modo mediato, lo coinvolgeva. E, a giudicare dall’Italia, l’orizzonte s’approssimava ambiguo e turbato.
Ripercorrendo nel ricordo il tunnel delle interminabili notti trascorse al capezzale del fratello, a Vicenza, rivide - quasi riaffiorasse dagli abissi del mare - l’inconfondibile palpito di quegli occhi semivuoti nel riacchiappare al volo la vita. Così aveva capito che Valerio sarebbe vissuto. E in quella, la vecchia rabbia rimastagli pietrificata nel cuore per la morte del fratello Pietro (“inutile eroe” della presa della Bainsizza) si era sciolta di colpo in un pianto irrefrenabile.
“Il peggio, benché non abbia un fine, ha tuttavia una fine!” si disse, e si ripensò nell’atto di sorreggere il corpo emaciato di un Valerio redivivo mentre scendevano la scaletta d’uno sgangherato piroscafo che riconduceva i reduci sardi dalla penisola al porto di Cagliari. Era quasi Natale e l’odore dei corpi nella camerata strapiena assomigliava terribilmente a quell’altro. Però si tornava a casa!
Erano trascorsi quasi tre anni, da allora. Valerio non era più irredentista e neppure “ardito”. E con Alfano aveva preso a ragionare su quelle poche oscure notizie dei sovieti e delle rivoluzioni finite male. Partito Alfano, si sarebbe sentito un po’ perso. Avrebbe sposato quella testolina vana di Zita, sorella di Cristoforo, avrebbe lavorato in falegnameria e una sera su due sarebbe andato in casino a farsi una prostituta, a ubriacarsi e a parlar male dei fascisti arroganti.
“Si caccerà nella bocca del lupo e le buscherà” rifletté Alfano, pensando al modo con cui montavano la rabbia e l’aggressività fra le fazioni, anche in Sardegna. Ma il pensiero aveva un’aria fastidiosa e lo cacciò. 
“È mai possibile che le vecchie bagnarole non siano mai poste in disarmo?” si raccontò volubilmente affacciandosi sottocoperta. Questa volta risalì precipitosamente sul ponte, quasi rallegrandosi della propria ventura e acconciandosi a passare la notte col naso al vento, intanto che con l’alba spuntasse il profilo del Vesuvio. Solo che il mare divenne grosso e il viaggio si  protrasse di due interminabili giorni. Il bastimento cigolava e cigolava come una vecchia carrucola ai colpi di maretta. L’umidità e il vento gelavano il corpo dentro i panni che s’irrigidivano. Pertanto si era dovuto rassegnare alla camerata."

martedì 26 maggio 2015

Poeti e parole

I poeti hanno a che fare con quanto  materialmente li tocca e li ferisce  e con quant'altro dai corpi espande come luce, ombra e forse onda, d' incorporea insistenza: parole e segni d'alfabeti gonfi di febbri e di affezioni atti a combinare innaturali matrimoni e figliare creature stravaganti, intrusive, inquisitorie, lesive,derisorie,  lenitive, subdole ed elusive, aguzze e taglienti per scapezzare la banalità indecenti di certi materiali ambienti per nulla o troppo ospitali. Anche versi suadenti per lettori frettolosi e diffidenti .
Mi consento il lusso con la gioia di rubare due poesie a due poetesse ignare e di aggiungervi  la mia per fare
un terzetto, un cibreino, un guazzetto, né di cielo né di mare.


La parola piccola di Angela Argentino

Io la cerco la parola piccola e scolpita
vigile nel silenzio.

Mi tira in cerchio
dentro un mal di testa
e sta lì
a me sola visibile.



Una voce da tempo di Giuseppa Sicura 

Una  voce da tempo 
mi cammina a fianco
penetra nera nei silenzi


impalpabile luna
segue la mia orbita
spande le sue fosche ombre

e intanto dentro me
ogni granello si  fa montagna
ogni ferita figlia
di cellula impazzita