martedì 10 marzo 2015

Tra lingua, storia e politica

Considero che a marzo i temi della “questione femminile” tornano per qualche giorno alla ribalta mediatica, dove sembra stancamente ripetersi il rito della donna tuttofare, santificata a parole e perciò meglio ingannata. Questo rito festivo, ora molto banalizzato e commercializzato, serve anche a far calare un siparietto attivatore e complice della distrazione sonnambolica sulla condizione femminile, ponendo l’accento sulle macroscopiche discrasie che affliggono i paesi, diciamo culturalmente non occidentalizzati. Come se da noi, nell’Occidente, detto democratico e super industrializzato, avessimo conquistato davvero la parità di genere.
Riprendiamo i riferimenti extralinguistici di una parola: MASCHILISMO, entrata ormai nel vocabolaro quotidiano.
Mica è sempre esistita questa parola!  Anche se l’effetto linguistico è proprio quello risultante  dalla sua codifica.
Incardinata nel sistema dei suoni, dei segni, della morfologia, della sintassi, dei significati e delle loro relazioni, dei riferimenti e delle pratiche attinenti -  è come vi fosse da sempre inscritta e, come tale, suscettibile di usi retroattivi, fattuali e ipotetici, la parola «MASCHILISMO» è invece figlia della storia recente, anzi attuale e già misconosciuta o dimenticata.
Compare assai tardi rispetto alla nozione di «FEMMINISMO», a torto ritenuta di significato opposto e quasi da esso derivata.
Andiamo per gradi.
Una prima definizione riguarda il FEMMINISMO come movimento politico, culturale e sociale, che pone in discussione gli esistenti rapporti di potere tra i sessi.
La nascita di tale movimento conosce alcuni antefatti durante la Rivoluzione Francese, ma vede il proprio sviluppo teorico e pratico durante l’800 in Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia.
In realtà sarebbe corretto parlare di «femminismi»  tenendo conto della variegatura delle posizioni assunte nei diversi contesti e tempi dalle sue maggiori rappresentanti.
Cito testualmente da Wichipedia:
“Le origini del termine “femminismo” si possono rintracciare in due ambiti diversi:
·        all’interno della letteratura medica francese, in cui veniva usato per riferirsi a un indebolimento del corpo maschile;
·        nel contesto delle mobilitazioni per il diritto di voto in Francia.”
Hubertine Auclert lo utilizzò nella sua rivista <La Citoyenne> il 13 febbraio del 1881.
Nel citato sito Internet potete trovare un’ampia documentazione storico teorica del movimento femminista  in Europa e nel mondo, nelle sue diverse fasi di sviluppo, espansione, riflusso e intrecci con altre battaglie civili e politiche.
Che ne è dell’accezione «MASCHILISMO»?
Di certo non è un movimento, né un partito politico, né un’associazione o un’entità che si sia data un nome o un simbolo per contestare o  realizzare alcunché.
Allora bisogna ragionarci un po’ su.
Intanto il suffisso «ismo» indica che il termine non fa riferimento a una condizione naturale, ma a una posizione ideologica, culturale, politica. E, sotto questo riguardo, sembra omologo a «FEMMINISMO».
Ma come abbiamo accertato, quest’ultimo termine fa riferimento a eventi e atteggiamenti storicamente inediti che hanno dato vita a veri e propri sommovimenti organizzati di persone,  volti a denunciare la crisi e/o a scuotere certi assetti sociali consolidati mediante lotte molto concrete, talvolta drammatiche e sanguinose.
Perché questa differenza nei riferimenti fattuali?
L’origine  o passaggio dalle culture matriarcali alle culture androcentriche o patriarcali si perde nella notte dei tempi. E su tale tema la parola specifica spetta alle scienze antropologiche,  capaci forse  di dar voce a tracce molto ambigue e obsolete.
Noi, civiltà del simbolo, abbiamo conosciuto  solamente ordinamenti sociali economici e giuridici fondati sulla centralità del patriarca, sulla subordinazione ad esso della soggettività femminile, fino alla perdita di ogni forma di auto percezione indipendente.
La civiltà androcentrica non si è definita come tale, si è ritenuta, anzi si è posta e imposta come «la civiltà» tout court, senza limitazioni e aggettivazioni.
Agli albori della divisione sociale del lavoro, le donne costituivano il gruppo sociale già discriminato e privato dell’immagine autoctona della propria soggettività. Così parrebbe. 
La società patriarcale si rappresentava e ha continuato a rappresentarsi come olistica fino allo sviluppo del Capitalismo, allorché, per impulso coercitivo a liberare le forze produttive cristallizzate nel vecchio ordinamento feudale, ha scoperchiato il vaso di Pandora, che ora, a singhiozzi, tenta di richiudere o di controllare.
In quelli e in  questi moti di rinnovata lotta delle classi, di emergenza di nuove soggettività variamente organizzate, il movimento delle donne non poteva non trovare la via per emergere e intessere con l’assetto preesistente rapporti assai  articolati e ambivalenti e anche lottare duramente contro di esso e contro i suoi   ordinamenti.
Come sempre le lotte si sviluppano a vari livelli: dall’astrazione teorica alla concretezza corporea e viceversa, in faticosi intrecci, nei quali i corpi dei singoli soggetti/persona sono coinvolti, attraversati e feriti non solo dalle tensioni liberatorie e/o assoggettanti, ma dalle insidie, anche fisiche, che i lottanti mettono in campo.
Le parole in uso assumono allora una valenza importante, altre vengono forgiate sul campo, perché siano incisive o pregne del significato e della tensione del momento. I movimenti progressisti hanno bisogno specialmente di parole rivelatrici di verità trascurate … 
Andando alla ricerca di documentazioni sulla parola  «MASCHILISMO», mi riesce solo di puntare la piccola luce della mia debole pila su vapori di lotta ancora caldi e fumanti, benché col fiato corto del riflusso … 
Inequivocabilmente avverto il tono del dispregio che incrocia quello dell’arroganza per quanto ha la pretesa di voler sopravvivere alla propria già decretata morte storica e per quanto spinge per dare fiato alla propria esigenza vitale …
La parola «MASCHILISMO» pare esser nata nel fuoco della battaglia nella quale molte donne, armate della scoperta di una soggettività possibile, si sono rivoltate ai loro antichi focolari … vogliose d’un’umanità meno schiacciata sul disegno di un’ insormontabile impronta animalesca … ancorché dipinta di sacro per meglio incutere la fissità panica dell’assoluto.
Scoperta di una soggettività che attende la sua ripresa, la sua riattivazione;  perché le cose della storia non sono mai assodate per sempre.
Modestamente, com’è giusto che sia, mi sono piegata sul dizionario dell’uso, quello formato da vari e pesanti volumi …
Accanto alle sue notazioni terminologiche vedo un (CO) come comune e una data: 1937… Data del conio? C’entrano in qualche modo i futuristi? 
E dopo la parola capofila, ecco una piccola teoria di termini derivati e  contratti, con «ista»,  «ismo», «istico» in coda, e quasi tutti accompagnati da numeri che sembrano date della nostra era cristiana … Sono quelle date che scendono sui piedi del secolo passato e che ci hanno conosciuto  già adulti?
Sì, credo proprio che la parola «MASCHILISTA» e i suoi derivati siano il segno di una lotta, tutt’altro che relegata alla lingua, la quale attende ancora di svilupparsi e portarsi a compimento.
In questo vespro della democrazia italiana, in cui il vecchio e il becero si spaccia per nuovo, e il buono non ha avuto abbastanza vita da produrre i suoi frutti, tutti i gatti sembrano bigi e impegnati a strapparsi i bocconi reciprocamente, e che non sia dato niente altro alla platea degli italiani viventi se non di assistere a questo desolante spettacolo...  Ebbene, su questo palcoscenico, femminismo e maschilismo  sembrano potersi disporre in semplice funzione oppositiva, come due astrazioni prive d’anima e confuse dalla nebbia esalante dalla  palude dell’esistente … che appare, ma non è affatto, neutra.
Più d’uno, capitano o centurione, con facile “benaltrismo”, continua a ingannarsi, specialmente  a ingannare, inducendo l’idea che i diritti civili siano inconciliabilmente alternativi rispetto a quelli economici e viceversa. Non diamogli credito: non è disinteressato. Ricordiamoci che nel frattempo i cesari  distruggono i presupposti materiali  e umani per gli uni e per gli altri.
Che fare?
Dovremmo rammentarci anche che il cesare di turno ha solo  il fiato che gli diamo. E ha nessuna importanza se il suo cognome inizi con R o B o X,  mentre importa che si dichiarino FEMMINISTI (e di quale femminismo!) uomini di potere che si circondano di figure femminili ancillari,  le quali tornano buone per rappresentare invece la presunta, culturalmente imposta e psicologicamente introiettata minorità costitutiva intellettuale e sociale del genere femminile.





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