venerdì 27 marzo 2015

Ritardo

Non s'è levato ancora
dai tombini
verso i piani alti
il volo
delle blatte bionde
in quell'ora fatata
che
l' ampiezza fulgida del giorno
riduce a sbadiglio
serale
tra cemento di muri
asfalto e banchine
marcati
d' escrementi canini.

No, ancora no.
Perché i venti
-sfuggiti di mano
a un inverno
gravato
da numerosa figliolanza -
son monelli di strada.

Impazzano
pallidi e sfrontati birichini
nei vortici di vuoto
tra sfiati di ipogei
e angoli nascosti,
intorno agli attoniti
lampioni
a rialzare le vesti
troppo presto leggere
alle signore
a gonfiare
come velacci
le giubbe di quelli
che
i i cani trascinano
attaccati ai guinzagli
in siti meschini e olenti
di deiezioni,
fatte sfatte rifatte
per oscuro senso
e puntiglio di specie,
quali echi e messaggi,
indistinti
eppure singolari,
tramite e oltre
l' umana stravaganza.


Nota Composizione tratta dalla silloge FABELLAE di B. Mannu, edita nel 2006. "Ritardo" si riferisce alle tardive manifestazioni della primavera metropolitana e meteorologica.  Chiari, credo, i riferimenti al vissuto, non solo personale, ma alle esperienze degli abitanti delle città, dove si fa anche esperienza di bruttezza e degrado.
Mi riesce spesso difficile capire perché molti poeti continuino a ispirarsi a situazioni paesaggistiche e psicologiche assolutamente incongruenti con le loro esperienze reali. Essere poeti significa forse costrizione alla cecità e alla incapacità di esprimere "poeticamente" il senso della differenza tra desideri e condizioni dell'esperienza anche fisica, concreta? Ancora una volta, che relazione può esistere tra così detta Poesia e così detta Realtà. Ovvero esiste, ed è auspicabile, una relazione (aggiornata al tempo del postmoderno) tra poesia e verità (in minuscolo).B.M.

Non so se posso, ma riporto qui di seguito il
bellissimo commento di Maria Concetta Rosa Giannalia.
Spesso accade che alcuni dilettanti di versi, scambino la poesia con una necessaria ricerca di certa bellezza oleografica e banalizzante, ispirata all'idea astratta ma condivisa di ciò che , nel luogo comune, è la primavera. Per intenderci la stessa immagine che ce ne ha dato Botticelli. A quella dunque si riferiscono, anche se da quel quadro ci distanziano ormai secoli di cambiamenti culturali, fisici, meteorologici e soprattutto simbolici. I simboli presenti nel quadro noi forse non li intendiamo più, così interpretiamo quelle immagini alla luce della nostra cultura intrisa di consumismo e materialismo. E' chiaro quindi che riproporre quelle visioni estatiche e idealizzanti della primavera significa non  parlare della contemporaneità, della nostra quotidianità. Ma questi "poeti" si piacciono e non sono toccati dall'orrore del luogo comune. Eccoci dunque invasi da aeree danze vibranti, da nuvole rosate, da freschi zefiri di primavera, da sentori floreali e via poetando, mentre il nostro odorato percepisce accarezzanti folate di escrementi canini  ad ogni passeggiata mattutina e la nostra vista è offesa continuamente da un paesaggio urbano ed extraurbano totalmente devastato. Non può quindi essere cantata "questa "bellezza. La bellezza deve necessariamente stare altrove. Dove? Questo è  il compito della  poesia.

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