La chiamano festa, anche se non
come festa è cominciata. Ma se alle donne si dedica una festa (o più),
significa due cose: 1° che le donne sono ancora concepite come una quota
subalterna del genere umano (a chi verrebbe in mente, infatti, di istituire una
festa dell’uomo?); 2° che la comunità sociale gestisce e maschera nei loro confronti un atteggiamento ambivalente,
coperto da un gesto vagamente riparatore – la festa – sintomo di un non
riconosciuto senso di colpa e di forme surrettizie di proscioglimento del
genere maschile da ogni responsabilità morale e storico-culturale rispetto alla
sua componente femminile. Avendo attribuito alla donna, la funzione vicaria di divulgatrice
della tradizione e dei valori del gruppo sociale – che pure, per molti versi,
la mortificano e ne cancellano la rilevanza – si
indica la sua psicologia e la sua mentalità come le radici ancestrali dell’autoesclusione
e si oscura il fatto che psicologie, mentalità e ruoli sono prodotti di
occhiute strategie di potere maschilista.
Uscendo dal terreno
squisitamente ideologico e moraleggiante, basta passare alla lettura di alcuni
dati ISTAT, recentissimi: la metà (50%) della popolazione femminile in Italia è
disoccupata; a parità di formazione, di competenze, di meriti e di tempi di
lavoro, le sue retribuzioni raggiungono il livello del 50% in meno rispetto
agli omologhi di sesso maschile.
Qualcuno si chiederà: che
cosa c’entra tutto questo col fatto che alcune poetesse e alcuni poeti si
incontrino per celebrare la ricorrenza con la lettura di poesie dedicate alle
donne?
C’entra col fatto che il
genere femminino solo in epoca contemporanea (cioè dalla Rivoluzione Francese
in poi) cominci a ripensare e rivendicare i propri ruoli in tutti i campi della
vita, cultura, arte, scienza comprese.
La “festa della donna” ha senso come segno di questa sua recente irruzione
verso la riappropriazione della propria inalienabile soggettività e di tutti i
diritti conculcati nei secoli e ancora oggi.
C’entra per il fatto che la
poesia, cioè il dire e scrivere con bello stile, risulti uno spazio
privilegiato in cui la sensibilità femminile si senta valorizzata. Ma occorre
anche non nascondersi che questa pratica può risultare un rifugio appartato e
salvo da un vero coinvolgimento nella vita reale e quindi suscettibile di un
uso eminentemente conservatore. Ciò che però sfocia pericolosamente
nell’artifizio e nella cecità culturale.
Invece tutti sappiamo che la cultura, come la poesia che si proclami
tale, non può esimersi dal misurarsi con le verità, le verità che scottano, e
che proprio questo incrocio implichi l’altro ineludibile incrocio, quello con
la bellezza. Verità, poesia, bellezza, si cercano ed è proprio della poesia la
possibilità di coniugare le altre due con la maestria della parola, di modo che
nessuna resti tradita, tale che il giusto, il bello, il desiderabile siano non
già un prodotto ossificato, ma un procedimento creativo sempre all’opera, come
il cammino accidentato e insidioso delle donne.
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