giovedì 12 marzo 2015

Donne in cammino?- Riflessioni di Bianca


La chiamano festa, anche se non come festa è cominciata. Ma se alle donne si dedica una festa (o più), significa due cose: 1° che le donne sono ancora concepite come una quota subalterna del genere umano (a chi verrebbe in mente, infatti, di istituire una festa dell’uomo?); 2° che la comunità sociale gestisce e maschera nei  loro confronti un atteggiamento ambivalente, coperto da un gesto vagamente riparatore – la festa – sintomo di un non riconosciuto senso di colpa e di forme surrettizie di proscioglimento del genere maschile da ogni responsabilità morale e storico-culturale rispetto alla sua componente femminile. Avendo attribuito alla donna, la funzione vicaria di divulgatrice della tradizione e dei valori del gruppo sociale – che pure, per molti versi, la mortificano e ne cancellano la rilevanza –   si indica la sua psicologia e la sua mentalità come le radici ancestrali dell’autoesclusione e si oscura il fatto che psicologie, mentalità e ruoli sono prodotti di occhiute strategie di potere maschilista. 
Uscendo dal terreno squisitamente ideologico e moraleggiante, basta passare alla lettura di alcuni dati ISTAT, recentissimi: la metà (50%) della popolazione femminile in Italia è disoccupata; a parità di formazione, di competenze, di meriti e di tempi di lavoro, le sue retribuzioni raggiungono il livello del 50% in meno rispetto agli omologhi di sesso maschile.
Qualcuno si chiederà: che cosa c’entra tutto questo col fatto che alcune poetesse e alcuni poeti si incontrino per celebrare la ricorrenza con la lettura di poesie dedicate alle donne?
C’entra col fatto che il genere femminino solo in epoca contemporanea (cioè dalla Rivoluzione Francese in poi) cominci a ripensare e rivendicare i propri ruoli in tutti i campi della vita, cultura, arte, scienza comprese.
La “festa della donna”  ha senso come segno di questa sua recente irruzione verso la riappropriazione della propria inalienabile soggettività e di tutti i diritti conculcati nei secoli e ancora oggi.

C’entra per il fatto che la poesia, cioè il dire e scrivere con bello stile, risulti uno spazio privilegiato in cui la sensibilità femminile si senta valorizzata. Ma occorre anche non nascondersi che questa pratica può risultare un rifugio appartato e salvo da un vero coinvolgimento nella vita reale e quindi suscettibile di un uso eminentemente conservatore. Ciò che però sfocia pericolosamente nell’artifizio e nella cecità culturale.  Invece tutti sappiamo che la cultura, come la poesia che si proclami tale, non può esimersi dal misurarsi con le verità, le verità che scottano, e che proprio questo incrocio implichi l’altro ineludibile incrocio, quello con la bellezza. Verità, poesia, bellezza, si cercano ed è proprio della poesia la possibilità di coniugare le altre due con la maestria della parola, di modo che nessuna resti tradita, tale che il giusto, il bello, il desiderabile siano non già un prodotto ossificato, ma un procedimento creativo sempre all’opera, come il cammino accidentato e insidioso delle donne.

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