Ossia
che relazione intercorre tra l'essere donna e lo scrivere.
Qualcuno
ha spesso sostenuto la specificità della scrittura delle donne, sottintendendo
nella nozione di specificità, una "naturale minorità" della loro
scrittura. E per certi versi accade proprio che diverse scrittrici si siano
mosse dentro uno psicologismo della femminilità tutto interno ai ruoli
costruiti per il modello di donna felicemente assoggettata alle
situazioni di "libertà vigilata" in cui è vissuta e continua
(parzialmente) a vivere, vigilata a tal punto che tu soggetto femminile di
limiti a vederti con gli schemi entro i quali sei stata storicamente,
culturalmente e socialmente inquadrata.
Essendo io una persona che si è presa la libertà di documentarsi anche fuori dal proprio recinto di genere, di confrontarsi con vari punti di vista e di scrivere interpretando idee e rinunciando anche al pericoloso godimento offerto dal volersi ritratta "come ti si vuole" , ecco che ho fatto un tentativo di affacciarmi al tema indicato sopra, riflettendo sui miei stessi testi, per esempio quelli che formano la silloge Il silenzio scolora e la raccolta di I racconti di Bianca.
La
scrittura, poetica o no, così come altre
pratiche di espressione comunicazione, sono luoghi di rappresentazione
dialettica delle istanze del sé, quelle autentiche e quelle spurie, palestre
del confronto e dell’ autoconoscenza, luoghi di libertà.
Perciò fu impedito alle donne di accedervi,
indicando l’incapacità presunta come costitutiva.
Sono
convinta che il poeta anche quando scrive sotto l’ispirazione di un tema molto
sentito e vissuto, sia in qualche modo “parlato” dalla sua cultura
fondamentale, dalla semantica profonda, piuttosto inconsapevole, quasi subisca
certe concatenazioni verbali, sia controllato, a propria distrazione o
insaputa, dai suoi bioritmi, dalle sue predilezioni sonore ancestrali nelle
scelte lessicali. Forse questo vale non in assoluto, ma per me, sì.
Il
mondo come è stato e così com’è ancora, costruisce il ventaglio di possibilità
entro cui si fondano le psicologie individuali, imponendo alle risorse vitali
individuali delle vere e proprie torsioni. E’ noto e assodato che il genere
femmina ha subito la massima e millenaria pressione e che la casuale eccezione
– trasgressione tollerata – ha a più
riprese fatto emergere il disagio.
Insisto
sul problema delle torsioni alle psicologie individuali. Sono tali da rendere
irrilevante anche la reciprocità delle relazioni amorose, tali da scaldare e
rinsaldare il senso del dominio di un individuo sull’altro, spingendo la
complementarità reciproca alla condizione di perenne dominio/subordinazione del
femminile sotto il maschile, come
prosecuzione di una mitica condizione “di natura”. Quindi un’apparenza
fenomenica culturalmente prodotta è
presa come dato assoluto; ciò che
esclude persino la possibilità di concepire dinamismi e trasformazioni, mentre
imbriglia tensioni e giustifica repressioni..
L’emersione
del disagio e la presa di coscienza del femminile sotto la pressione esercitata
da tale sistema è iniziata, come si sa, collateralmente ad altre trasformazioni:
basti guardare all’Illuminismo e ai temi giuridico/politici e sociali coinvolti
e agitati nel clima rivoluzionario del tardo settecento; e ancora continua
passando per il corpo femminile vivente, scosso e spesso dilacerato tra
ubbidiente sacralità e profanità trasgressiva, tra ritegno e oscenità, come se
il vivere la propria intimità fosse un dover corrispondere a istanze concepite
in misteriosi altrove viepiù discutibili e discussi. Si fa strada, lunga
strada, l’esigenza che ogni donna si pensi criticamente, non solo in relazione
a vecchi e nuovi modelli di genere, per i quali le urge mettere del proprio, ma
si viva e si concepisca come soggettività in progressiva autonomia, e decida
sul campo, tanto in quello delle relazioni pubbliche quanto in quello delle
private, i suoi ruoli e le sue opzioni, pagandone i costi e sapendo di farlo.
Nessun commento:
Posta un commento