mercoledì 4 marzo 2015

Scrittura al femminile?


Ossia che relazione intercorre tra l'essere donna e lo scrivere.
Qualcuno ha spesso sostenuto la specificità della scrittura delle donne, sottintendendo nella nozione di specificità, una "naturale minorità" della loro scrittura. E per certi versi accade proprio che diverse scrittrici si siano mosse dentro uno psicologismo della femminilità tutto interno ai ruoli costruiti per il modello di donna felicemente assoggettata alle  situazioni di "libertà vigilata" in cui è vissuta e continua (parzialmente) a vivere, vigilata a tal punto che tu soggetto femminile di limiti a vederti con gli schemi entro i quali sei stata storicamente, culturalmente e socialmente inquadrata. 

Essendo io una persona che si è presa la libertà di documentarsi anche fuori dal proprio recinto di genere, di confrontarsi con vari punti di vista e di scrivere interpretando idee e rinunciando anche al pericoloso godimento offerto dal volersi ritratta "come ti si vuole" , ecco che  ho fatto un tentativo di affacciarmi al tema indicato sopra, riflettendo sui miei stessi testi, per esempio quelli che formano la silloge Il silenzio scolora e la raccolta di I racconti di Bianca.
La scrittura, poetica o no,  così come altre pratiche di espressione comunicazione, sono luoghi di rappresentazione dialettica delle istanze del sé, quelle autentiche e quelle spurie, palestre del confronto e dell’ autoconoscenza, luoghi di libertà.
Perciò  fu impedito alle donne di accedervi, indicando l’incapacità presunta come costitutiva.
Sono convinta che il poeta anche quando scrive sotto l’ispirazione di un tema molto sentito e vissuto, sia in qualche modo “parlato” dalla sua cultura fondamentale, dalla semantica profonda, piuttosto inconsapevole, quasi subisca certe concatenazioni verbali, sia controllato, a propria distrazione o insaputa, dai suoi bioritmi, dalle sue predilezioni sonore ancestrali nelle scelte lessicali. Forse questo vale non in assoluto, ma per me, sì.
Il mondo come è stato e così com’è ancora, costruisce il ventaglio di possibilità entro cui si fondano le psicologie individuali, imponendo alle risorse vitali individuali delle vere e proprie torsioni. E’ noto e assodato che il genere femmina ha subito la massima e millenaria pressione e che la casuale eccezione – trasgressione tollerata – ha  a più riprese fatto emergere il disagio.
Insisto sul problema delle torsioni alle psicologie individuali. Sono tali da rendere irrilevante anche la reciprocità delle relazioni amorose, tali da scaldare e rinsaldare il senso del dominio di un individuo sull’altro, spingendo la complementarità reciproca alla condizione di perenne dominio/subordinazione del femminile sotto il maschile,  come prosecuzione di una mitica condizione “di natura”. Quindi un’apparenza fenomenica culturalmente prodotta  è presa come dato assoluto;  ciò che esclude persino la possibilità di concepire dinamismi e trasformazioni, mentre imbriglia tensioni e giustifica repressioni.. 

L’emersione del disagio e la presa di coscienza del femminile sotto la pressione esercitata da tale sistema è iniziata, come si sa, collateralmente ad altre trasformazioni: basti guardare all’Illuminismo e ai temi giuridico/politici e sociali coinvolti e agitati nel clima rivoluzionario del tardo settecento; e ancora continua passando per il corpo femminile vivente, scosso e spesso dilacerato tra ubbidiente sacralità e profanità trasgressiva, tra ritegno e oscenità, come se il vivere la propria intimità fosse un dover corrispondere a istanze concepite in misteriosi altrove viepiù discutibili e discussi. Si fa strada, lunga strada, l’esigenza che ogni donna si pensi criticamente, non solo in relazione a vecchi e nuovi modelli di genere, per i quali le urge mettere del proprio, ma si viva e si concepisca come soggettività in progressiva autonomia, e decida sul campo, tanto in quello delle relazioni pubbliche quanto in quello delle private, i suoi ruoli e le sue opzioni, pagandone i costi e sapendo di farlo. 

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