martedì 20 novembre 2018
INCOMPIUTA - Quot dies (poesie) Bianca Mannu
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Poesia

domenica 4 novembre 2018
DA NONNA ANNETTA – romanzo di Bianca Mannu - dal cap.XIV - Ricordi di guerra

La camerata di terza puzzava quasi come
quella tradotta militare che arrivava dal fronte alle retrovie, quando lui era
soldato. E così si ritrovò in quei paraggi, in un tempo che all’istante
assumeva persino una maggiore concretezza del presente.
1916: chiamato alle armi allorché suo
fratello maggiore Pietro compiva già un anno di permanenza sulla linea del
fronte. Egli, invece, era stato destinato ad espletare il servizio - temporaneamente
- come armaiolo nelle officine di riparazione dell’esercito, nelle
retrovie. Naturalmente si era rallegrato. Però a ogni quindicina si aspettava
di essere inviato a fare il proprio turno in trincea. Niente. Lo lasciavano a
fare il soldato meccanico e ad attendere col fiato sospeso il peggio. Il peggio
restava sensibile e imminente a qualche decina di chilometri. Lontano e
vicinissimo il fronte incombeva: i bengala, i cannoneggiamenti, l’incessante
crepitio delle mitraglie, gli srapnels, gli incomprensibili silenzi, lo
stillicidio delle notizie, i reduci dell’ultimo turno … Senza poter scampare
ogni volta a uno sconvolgimento momentaneo dei visceri.
Il peggio era là tra il fango e la
roccia, dove suo fratello Pietro lasciava incompiuta l’ultima sua corsa al lume
della baionetta … Là dove, praticamente imberbe, sopraggiungeva, terzo della
famiglia e tardo irredentista, Valerio.
“Va’, imbecille. Così impari!”
aveva esclamato mentalmente Alfano immaginando una discussione impossibile. E
s’era chiuso nella pellegrina, rigido e cupo per il suo turno di guardia.
Il
freddo del primo autunno irrigidiva i piedi dentro le scarpe bullonate, d’un
cuoio sospetto.
Lui non si rallegrava, ma neppure sputava in faccia alla
propria sorte. Ascoltava il sordo tambureggiare della notte.
Al campo erano entrate in circolazione
voci che i tedeschi stavano facendo come i russi l’anno avanti. Ma adesso la notizia tornava comoda.
La notizia dell’armistizio giunse quasi
di colpo. Chi non se ne sarebbe rallegrato? Ma l’esultanza di Alfano s’era
subito rintuzzata, perché un dispaccio lo aveva informato che suo fratello
Valerio, si stava spegnendo per un’infezione di tifo petecchiale nell’ospedale
militare di Vicenza. E allora Alfano, in attesa della smobilitazione, aveva
chiesto e ottenuto licenza per andare a visitarlo.
Il treno era pieno di soldati. Alcuni
facevano capannello: parlavano del ritorno e degli eventi politici, altri
cantavano, altri ancora raccontavano storielle salaci, ridevano rumorosamente
incrociando battute nei dialetti più diversi. Altri, persi in un sonno duro, s’
abbandonavano agli scotimenti del treno come sacchi semivuoti. Lui aveva la
gola secca e si sforzava di non pensare.
Adesso invece ricordava e pensava,
sorreggendosi al parapetto del ponte di coperta del vecchio Partenope. E ogni
momento che viveva gliene rammentava un altro, per analogia, per discordanza,
per risveglio di un’impressione sensoriale perduta, di un’emozione sopita.
Un
pensiero ispessito - da adulto - che percorre e precorre tutte le direzioni del
tempo e può contenere tutti gli spazi concepibili. E poiché certi orrori la
vita glieli aveva risparmiati, si sentiva adulto, quale in effetti era, ma
integro, e perciò libero di sostenere il proprio sguardo interiore senza
provare raccapriccio, ma sapendo che l’eventuale incontro con l’orrore lo
riguardava comunque, in quanto uomo.
Eppure, ora che una concreta speranza e
un ragionato entusiasmo sembravano sostenerlo verso un nuovo inizio, ebbe un
sussulto di pessimismo. Come se ogni schiarita fosse niente più che il segnale
d’una imminente perturbazione d’imprecisabile entità. Che cosa attendersi? Da
se stesso? Dal caso? Dal mondo?
Dalla Russia e dalla Germania
continuavano a giungere notizie di grandi sommovimenti sociali che spingevano
verso cambiamenti inediti. Avvertiva che tutto ciò, in qualche modo mediato, lo
coinvolgeva. E, a giudicare dall’Italia, l’orizzonte s’approssimava ambiguo e
turbato.
Ripercorrendo nel ricordo il tunnel
delle interminabili notti trascorse al capezzale del fratello, a Vicenza,
rivide - quasi riaffiorasse dagli abissi del mare - l’inconfondibile palpito di
quegli occhi semivuoti nel riacchiappare al volo la vita. Così aveva capito che
Valerio sarebbe vissuto. E in quella, la vecchia rabbia rimastagli pietrificata
nel cuore per la morte del fratello Pietro (“inutile eroe” della presa
della Bainsizza) si era sciolta di colpo in un pianto irrefrenabile.
“Il peggio, benché non abbia un fine, ha
tuttavia una fine!”
si disse, e si ripensò nell’atto di sorreggere il corpo emaciato di un Valerio
redivivo mentre scendevano la scaletta d’uno sgangherato piroscafo che
riconduceva i reduci sardi dalla penisola al porto di Cagliari. Era quasi
Natale e l’odore dei corpi nella camerata strapiena assomigliava terribilmente
a quell’altro. Però si tornava a casa!
Erano trascorsi quasi tre anni, da
allora. Valerio non era più irredentista e neppure “ardito”. E con Alfano aveva
preso a ragionare su quelle poche oscure notizie dei sovieti e delle
rivoluzioni finite male. Partito Alfano, si sarebbe sentito un po’ perso.
Avrebbe sposato quella testolina vana di Zita, sorella di Cristoforo, avrebbe
lavorato in falegnameria e una sera su due sarebbe andato in casino a farsi una
prostituta, a ubriacarsi e a parlar male dei fascisti arroganti.
“Si caccerà nella bocca del lupo e le
buscherà”
rifletté Alfano, pensando al modo con cui montavano la rabbia e l’aggressività
fra le fazioni, anche in Sardegna. Ma il pensiero aveva un’aria fastidiosa e lo
cacciò. “È mai possibile che le vecchie bagnarole non siano mai poste in
disarmo?” si raccontò volubilmente affacciandosi sottocoperta. Questa volta
risalì precipitosamente sul ponte, quasi rallegrandosi della propria ventura e
acconciandosi a passare la notte col naso al vento, intanto che con l’alba
spuntasse il profilo del Vesuvio. Solo che il mare divenne grosso e il viaggio
si protrasse di due interminabili
giorni. Il bastimento cigolava e cigolava come una vecchia carrucola ai colpi
di maretta. L’umidità e il vento gelavano il corpo dentro i panni che
s’irrigidivano. Pertanto si era dovuto rassegnare alla camerata.
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giovedì 18 ottobre 2018
Niente! - inedita di Bianca Mannu
Niente!
La mia notte dimentica del giorno
mi scioglie dalla vita
mi emancipa in un niente …
beota
Crepitii d’ossa – la
cieca rivolta
del corpo alla ruggine
dei giunti –
mi scaraventano intera
in un grigiore d’alba
Niente da ricordare
che fosse moto o fissità
o spessore o indizio
di speranza: notturno
d’assenze …
Così morta che il
sogno – un segno
dell’umano o simbolo
di senso -
non pare aver più germe
o asilo in questa plaga
E nulla – proprio più
nulla
dalla trista
consecutio - come appiglio
o guado o qualsivoglia
seme di salute
sporge all’irto giorno
Irto della sua vuota
luce
si fa del disumanare
cosmo:
uomini-criceto in
corsa per la dose
dentro un labirinto che
inghiotte la voglia di
domande.
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Poesia

domenica 7 ottobre 2018
Tracce - da TRA FORI DI SENSO - versi di Bianca Mannu
Nota - La condizione Kafkiana - l'essere spinti ai margini o fuori dall'umano senza colpe e senza averlo scelto... Essere e sentirsi tabù rispetto al gruppo familiare o sociale.
"Sorvegliare e punire"(sto citando il titolo di un'opera di M. Foucault) è un'attività storico-sociale che instaura pratiche per corrispondere - si dice - a un bisogno di protezione collettiva. Ma finisce per costruire grate e catene anche, e sopra tutto, nel nostro spirito. Grate e catene più rigide e compatte del ferro, fatte di genere sessuale, di pelle, di ruoli sociali imposti e contemporaneamente sprezzati e segregati ...
E perciò conosciamo paura, infelicità, aggressività che monta silenziosa dentro di noi.
Ho introdotto un mio neologismo: ingusciare, ingusciarsi= rientrare nel guscio.(B. M.)
Ho introdotto un mio neologismo: ingusciare, ingusciarsi= rientrare nel guscio.(B. M.)
Tracce
Un grumo di gelatina- un proteo
forse?-
attaccato alla falda smagrita della notte -
che s’inguscia
come un ladro colto di sorpresa
nelle asole del suolo -
scivola
verso il crinale cadaverico dell’alba
Un quasi me raccolto a pugno
sull’orlo dell’abisso
tutto da vivere – anche oggi -
con le ciglia secche
Quando la luce -
il sole abita un universo alieno -
oscilla tremando
… Quando la luce avrà
dissolto
l’insano indugio del sonno
la mia diurna voglia di morte
s’arrampicherà
fino alla coscienza
per biascicare le sue tracce
su un foglio -
come bava d’insetto
o di lumaca.
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Poesia

lunedì 1 ottobre 2018
Tra imbidia e imbidia - versione logudorese (di Tra invidia e invidia) di Antonio Altana
S’imbidia!
La imbicas in totu e
in donzi logu o in duos assumancu
umanos de deghentzia chena nue
chi chin su tertzu si medin su bancu
de zuighes o istrinas de meritu
chi atichende in liga e a isfrancu
sa cumbalida mirat cun diritu
e reduet s’umana variedade
a un’esser ebbia pro su profitu.
Imbisitat piatas de tzitade
chi de s’umana corza sun bidriera…
e in caminos a rughe at calidade
de si fagher in bator cun manera
de restare intrea mudende grados
e irrajende simbulos-bandera
de chie passat procurende ifados
cun frascia aspra a ranchidore sicu
de s’ungia in s’oju de malefadados.
Prite s’imbidia in cuadu imbicu
ponet grae in donzunu disaura
e tra coro e cherveddos a isticu
carculat s’impossibile mesura
de canta ausentzia presunta
o bera de sa cosa chi procura’
forrojende in su coro a lama unta
calancos de mancantzia criados
pro prenare ebbia chin un’agiunta
de montes altos de benes bramados
e a similes suos atribuidu
e mantessi da isse imbidiados
e in cuss’unu si sentit avilidu
brivu de tale bene e disgrasciadu.
Gai -sende segreta- no ant olvidu
e restat bia che marcu no cuadu
e in presse mandada a frisu anzenu
chi dat anneu a su benefitzadu
pro timore chi ungias de velenu
lu lassent chena gradu e acunortu.
Cheret finas si a bortas mirat prenu
sugetu in forma d’astiu ch’at raportu
cun sa musca caddina cussizera
de ruinas ebbia e iscunfortu…
Deo puru de viscios in passera
apo che totu -males in refrega-
e s’ispessia de imbidia mi dispera’
prite campat e bivet a sa tzega
in cussu chi possedit intestadu.
A onzunu chi colpat brivat mega
de abbertire ateru siddadu
e iscoberrer sensu generale:
bisiones de anneu at allatadu
e ca l’ impreat sempre pro su male
bi crebat isse puru in su velenu.
Fort’est s’imbidia, forsis geniale
adata a diferente repienu
cun massa manna de cunformidade
capatze ‘e separare pessu e alenu
de dissignu, e bilantza e poi chircade
chi a nemos naigantes de sa bida
su culu in sa sentina li parade
o li benzat trucada sa partida.
Omine sia che “Omina” chepare
e donzunu in propria resessida
apat sos bantos e su giustu altare
in donzi logu o in duos assumancu
umanos de deghentzia chena nue
chi chin su tertzu si medin su bancu
de zuighes o istrinas de meritu
chi atichende in liga e a isfrancu
sa cumbalida mirat cun diritu
e reduet s’umana variedade
a un’esser ebbia pro su profitu.
Imbisitat piatas de tzitade
chi de s’umana corza sun bidriera…
e in caminos a rughe at calidade
de si fagher in bator cun manera
de restare intrea mudende grados
e irrajende simbulos-bandera
de chie passat procurende ifados
cun frascia aspra a ranchidore sicu
de s’ungia in s’oju de malefadados.
Prite s’imbidia in cuadu imbicu
ponet grae in donzunu disaura
e tra coro e cherveddos a isticu
carculat s’impossibile mesura
de canta ausentzia presunta
o bera de sa cosa chi procura’
forrojende in su coro a lama unta
calancos de mancantzia criados
pro prenare ebbia chin un’agiunta
de montes altos de benes bramados
e a similes suos atribuidu
e mantessi da isse imbidiados
e in cuss’unu si sentit avilidu
brivu de tale bene e disgrasciadu.
Gai -sende segreta- no ant olvidu
e restat bia che marcu no cuadu
e in presse mandada a frisu anzenu
chi dat anneu a su benefitzadu
pro timore chi ungias de velenu
lu lassent chena gradu e acunortu.
Cheret finas si a bortas mirat prenu
sugetu in forma d’astiu ch’at raportu
cun sa musca caddina cussizera
de ruinas ebbia e iscunfortu…
Deo puru de viscios in passera
apo che totu -males in refrega-
e s’ispessia de imbidia mi dispera’
prite campat e bivet a sa tzega
in cussu chi possedit intestadu.
A onzunu chi colpat brivat mega
de abbertire ateru siddadu
e iscoberrer sensu generale:
bisiones de anneu at allatadu
e ca l’ impreat sempre pro su male
bi crebat isse puru in su velenu.
Fort’est s’imbidia, forsis geniale
adata a diferente repienu
cun massa manna de cunformidade
capatze ‘e separare pessu e alenu
de dissignu, e bilantza e poi chircade
chi a nemos naigantes de sa bida
su culu in sa sentina li parade
o li benzat trucada sa partida.
Omine sia che “Omina” chepare
e donzunu in propria resessida
apat sos bantos e su giustu altare
cantu
diligas isperimentadas
sas pecas innossentes d’ammentare.
Ateru narrer lasso tra siccadas
de istrinadu istòigu moralismu
bisende sas sofias comunadas.
Antoni Altanasas pecas innossentes d’ammentare.
Ateru narrer lasso tra siccadas
de istrinadu istòigu moralismu
bisende sas sofias comunadas.
Nota - Trovo una corrispondenza di sensibilità e di intenti davvero sorprendente e, in soprammercato, una tensione metrica e sonora che solo il profondo e colto possesso delle due lingue (sardo-logudorese e italiano) può consentire. La pubblico sul post, a mio onore e a suo merito, per tutti i sardi che sanno ben valutare i poeti che hanno abbandonato i musei per vivere col verso il senso e la parola dei vivi,
Antonio Altana, hai la mia più sincera e convinta ammirazione! (B. M.)

mercoledì 26 settembre 2018
Tra invidia e invidia - inedita di Bianca Mannu
Invidia! La incontri ovunque
in tutti i "dove" almeno due esemplari umani
si commisurano rispetto a un terzo
cui sia affibbiato il ruolo di giudice
o quello di gratifica eventuale.
Alligna in simbiosi con l’ostentazione
contempla l’omologazione
riducendo l’umana varietà dell’essere
alla misura grama dell’avere.
Frequenta tutte le piazze
che dell’umana scorza
son vetrina …
Lei - l’invidia -in sosta ai crocicchi
si divide in quattro rimanendo la stessa
i suoi gradi declinando a raggio
secondo i simboli esibiti
dalle creature in transito
per provocarle reciprocamente
al graffio secco-amaro
dell’unghia introflessa
nel ciglio/specchio delle ciglia altrui
Perché l’invidia prende
in ciascuno di nascosto signoria
del profondo cuore del cervello
e calcola da lì
l’incalcolabile misura
di quanto l’assenza
presunta o vera d’un qualcosa
scavi
scavi in quel cuore stesso
un abisso di mancanza
che mai potrà essere colmato
se non col monte troppo alto
di beni da lui ambiti
ad altro suo simile attribuiti
e da se medesimo invidiati
in quell’uno
sentendosi al riguardo
privo e disgraziato.
Così – rimanendo segreta –
la cova ognuno
come un proprio malcelato sfregio
e la manda spedita ad altrui fregio
pressoché denegato dal "beneficiario"
per paura di restarne
- per altrui unghia – deprivato.
Vuole persino il caso che –
fissandosi a un soggetto
in forma di livore -
si faccia cormo d’un assillo
ispiratore di rovinoso consiglio …
A me - che pure da capitali vizi -
come i più - non sono immune -
questa sorta d’invidia mi spaura
perché vive e fa vivere in cecità
la sua propria visura.
L’umano che ne ammala
resta impedito di avvertire altra risorsa
di scoprire altro senso generale:
il suo incubo allatta
e
mal facendo
di quel veleno schiatta.
Sana è l’invidia
- che chiamerei saggezza –
atta a saggiare sulle differenze
la
grande mole delle simiglianze -
quella
capace di pensiero dirimente
di progettualità compensativa:
a nessun navigante della vita
sia riservato il culo della stiva
o gli venga truccata la partita.
Un uomo valga un’uomina
e ciascuno per sue qualità
sia encomiato tanto
quanto blandamente riprovato
per sue innocenti pecche.
Altre parole lascio sulle secche
del moralismo sterile
e sogno altra possibile
filosofia sociale.
Nota - Cresce il rancore e l'invidia sociale, sentenziano i Prof dell'ISTAT. È constatazione, è riprovazione? Mah. Forse è il modo dell'informazione a tradurre secondo categorie di senso comune spendibili nella vulgata. Se fosse possibile, magari per magia, invertire la condizione dei giudicanti in soggetti di studio e di giudizio, potremo irridere gli esiti di così raffinate ricerche che periodicamente commentano la triste quotidianità di una quota non piccola della popolazione italiana, quasi fosse quella stessa turba che attendeva il responso di Jahvè dalle mani di Mosè. Una scienza contempla lo stato delle cose, le disaggrega, le concettualizza,le misura. Ma aiuta a mutarle, allorché si esprime o viene interpretata con categorie che, volendo apparire riassuntive, si presentano invece come giudizi di carattere etico? "Rancore", "invidia sociale" indicano stati emotivi e pulsioni di pertinenza soggettiva, vicini al colore della personalità individuale, la quale non è fonte, ma prodotto di un processo di controllo culturale e sociale già trasferito come valore a livello di "dover essere" individuale in una condizione storico-sociale relativamente stabilizzata. Ma non possono dire nulla, se non esprimere il desiderio dei gruppi egemoni di controllare i movimenti sociali mediante imperativi etici guardiani o di pura facciata decorativa... Risultano insignificanti se trasferiti meccanicamente come griglie di ordine conoscitivo su macrosistemi sociali in movimento, nei quali sono all'opera forti categorie economiche che prevalgono, indirizzano e controllano il senso delle spinte sociali, regolano nei fatti e nelle opzioni i reali comportamenti dei singoli individui.
Il testo qua sopra, che oso dire poetico con buona pace dei lirici assoluti, è una lettera aperta per chi voglia, assentendo o dissentendo, riflettere sul tema.
Nella strofa di chiusura ho introdotto un mio neologismo Uomina che forse non è bello, ma rivendica l'appartenenza del femminile alla specie homo al posto della parola "donna" che invece disegna verbalmente una stia in cui perpetuare l'apparteid storica del femminile. (B.M.)
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Etica e poesia

martedì 18 settembre 2018
GLI ADOLESCENTI (ma non solo) E LA RETE - di Bianca Mannu
Che differenza c’è tra i recenti fatti
clamorosi e tragici avvenuti in riferimento alla Rete e altri giovanili
ugualmente clamorosi e tragici, non immediatamente collegabili ad essa?
Nessuna che sia fondamentale, secondo
me, se ci si colloca a debita distanza dei pur facili psicologismi. La
motivazione sottesa ai comportamenti con esiti luttuosi sembra quella
determinata dall’impulso a imitare un gesto inusuale, proibitivo (espressione
di una sorta di volontà di potenza), unita alla pressante attrazione per la
visibilità connotante(narcisismo secondario), la più ampia possibile, agli
occhi del gruppo di riferimento (social, gruppi locali) e a quello più vasto dei coetanei affacciati
sui vari portali (Rete).
Inserirei
in questo contesto anche le più inquietanti e deleterie attività delle baby
gang che sono mosse da intenti di stampo mafioso, ma ben più pericolosamente
collegate con le attività delinquenziali omologhe di gruppi adulti.
Nel caso di queste ultime la società
reagisce in modo autoritario, valuta la possibilità educativa o rieducativa
coercitiva, si appella al volontariato (insegnanti di strada, associazioni
sportive, ecc.), considera
problematicamente precoci trapianti familiari, poi dimentica il
problema, in quanto eclissato da altri e tale che l’organizzazione
politico-sociale esistente risulta, rispetto ad esso, del tutto impotente, come
se quei criminali in erba fossero “i vuoti a perdere”, posti tacitamente nel
conto delle spese ascrivibili al meccanico processo di riproduzione sociale.
Apparentemente diversa è la risposta,
diciamo, collettiva, verso i casi singoli indicati nei media (il ragazzo che si
soffoca, l’altro che s’è giocato la vita per un selfie, altri che hanno voluto
provare altre orribili gioie) … Casi che, a mio avviso,hanno qualche
caratteristica comune anche con il più diffuso bullismo adolescenziale.
Questo, com’è noto, prospera anche fra
soggetti “di buona famiglia”. Già: è questo tratto che ci sconvolge tutti:
com’è possibile che fanciulli ben allevati e ben educati in case confortevoli creino
situazioni di grave complicazione per sé e per altri, con conseguenze spesso
irreversibili? Che ne è dei nostri “valori”?
Nell’urgenza dell’emozione, nel
desiderio apotropaico di scongiurare
ulteriori imitazioni e contagi, nel bisogno di dare un nome alle
presunte o probabili cause, ci interroghiamo e sollecitiamo responsi dagli
esperti.
È colpa della Rete? La Rete
è un mezzo, si dice. Essa è, come tale, un mezzo pressoché neutro rispetto alle
nostre scelte. Da ciò deriva che servirsi di essa in modo accettabile implica
un lavoro educativo a monte sui soggetti che ne fanno maggior uso. E qui si va
a scoprire un’ampia platea di adulti che,
una volta superati gli scogli tecnici iniziali, resta completamente irretita
dalle suggestioni della Rete e dimostra una straordinaria debolezza nei
confronti di ciò che vi scorre, al punto che troppi padri e madri si
smarriscono volentieri nei suoi vicoli, vi istituiscono relazioni fasulle e vi
“guadagnano” incautamente insperati revival adolescenziali e persino esiti di
sconcertante puerilità e pericolosità, ivi compreso il bullismo adulto, pedagogicamente
produttivo, appunto.
Salta fuori che l’insopprimibile
problematicità della fase adolescenziale, col suo
corredo di incertezze dell’io, trova sponda in uno spaesamento più generale.
Ne nasce uno sciame di inchieste, tavole
rotonde, trasmissioni e discussioni, anche in Rete, che immancabilmente
sfociano nel richiamo a un “dover essere” opinabile, debole.
I primi agenti della socializzazione e
inculturazione richiamati al loro ruolo
sono i genitori e la scuola rappresentata per lo più nella persona dei suoi
docenti. Queste figure sono riproposte e vissute come l’origine dei problemi,
in quanto depositari incapaci o renitenti al loro impegno educativo etico e
forse sociale: sono colpevolmente superficiali, sono impreparati, sono
egoisticamente presi dalle loro difficoltà personali e perciò non credibili
come modelli di riferimento.
Analogamente, dei giovani si dice che sono al contempo soli (e vogliono essere tali rispetto agli agenti educativi visti
come limitanti) e troppo subalterni
ai giudizi e alle “ratio” dei gruppi di appartenenza diretta o in Rete, che
sono dominati (come forse è normale
che sia) dagli effetti ormonali (compreso il desiderio di essere considerati
come pari agli adulti e forse di sopravanzarli in audacia), eccetera
Nello sconcerto del momento si vanno a esaminare
qua e ora gli stati evidenti delle relazioni interpersonali,quelle “calde” in abbandono, e quelle “fredde”, telematiche, in
progressiva diffusione, anche a causa del relativo isolamento individuale prodotto dal
dislocamento territoriale dei cittadini dei grandi centri urbani e dalla
rarefazione dei centri associativi giovanili gratuiti.
Molti sono i richiami etici ed educativi
attivati in margine a tali fatti. Richiami certo
importanti per acuire verso tali problemi la sensibilità
sociale. E forse per circoscritte aree sociali funzionano, ma sono destinati a
restare lettera morta per la generalità delle
situazioni che li provocano. Perché la generalità
(parola astratta che indica il sistema
concreto di vivere e di dividersi di una
formazione sociale al proprio interno e verso altre) funziona in modo
diverso da quanto dichiarano, per esempio, i sistemi valoriali conclamati dagli
altari giuridici ed etico-politici, spesso richiamati e più spesso disattesi
dai loro sacerdoti.
Si parla, per esempio, di ricupero
educativo del valore della vita,
quella vita propria o altrui facilmente posta in gioco da desideri di “godimento senza limiti” … Soffermiamoci un
momento su questo lemma che ne richiama altri del tipo “emozioni
senza eguali”…
Sono lemmi, eppure sono parole d’ordine interpretate in modi
credibili da divi/e, scritte a mo’ di didascalie allusive di senso, come
sottolineatura di rapidi ed eloquenti film apologetici che visivamente
illustrano il godimento emotivo della libertà
di lanciarsi a velocità fantastiche e spericolate, ma gioiose e fondate sulla
certezza che il mezzo del lancio decide al nostro posto della nostra e altrui
incolumità.
Sullo stesso piano di senso
(demenziale!) viaggia la parola l’ordine per cui ci si può connettere “senza limiti” con una platea
imprecisata di persone , come se il tempo della vita propria e altrui fosse
dissipabile in un “bavardage” infinito. E potrei continuare con infiniti
esempi, dove la parola libertà viene
imbastardita e ripetuta come sinonimo di poter fare ciò che si vuole in ogni
momento, senza alcun riferimento al limite.
Provate a conteggiare quante volte il
ragazzino, mollato sul divano di casa o affidato al rassicurante iphone,
registrerà e connetterà in modo subliminale simili stupidaggini
all’indeterminatezza dei propri desideri e fantasie gratuite, magari suggerite
dalla noia infinita prodotta da tali comunicazioni.
Come potrà quello stesso ragazzino
innamorarsi di una faticosa pagina scritta in una scalcagnata aula scolastica affollata
di ragazzini altrettanto spiazzati dall’idea
tutta nuova che non ci si può realmente appropriare di niente senza che si sia
disposti a impegni ripetuti e pazienti?
- Ecco, direte voi, un esempio di
genitore inadeguato!
Ben detto. Ma vi siete chiesti dove sia
e che cosa faccia al momento quello stesso genitore? Forse frequenta un
cantiere fantasma o una casa signorile da pulire o un magazzeno (se va bene!)
per uno pseudo salario. E inoltre, c’è da chiedersi, si è mai impegnato il libero ordine sociale a far sì che
quello stesso genitore possa contare sul supporto educativo perenne e diretto
da parte di un’affidabile agenzia educativa gratuita per la propria prole? E ancora,
vi siete chiesti se quel genitore poté fruire
di una formazione scolastica che abbia sviluppato in lui lo spirito di
attenzione critica verso il senso di un’emissione comunicativa o anche dell’emittente, tale da
metterne in guardia i propri figli e abituarli a decodificare e distinguere?
Procedendo anche solo in direzione del
senso di valore della vita , possiamo esimerci dall’interrogare i
Gestori delle risorse nelle vesti
di privati, di gruppi padronali, persino di istituzioni deputate al controllo: che ne è di quel valore assoluto della
vita di fronte al loro presupposto indicato come primario e assoluto: il perseguimento
di profitto ad ogni costo?
Profitto realizzato anche col gioco alle
scommesse sulla vita delle imprese, (leggi:
Borsa Valori). Gioco che decide non che la condizione sana della vita umana divenga
termine primario, bensì che le pratiche produttive dannose alla vita della comunità
umana hanno opzioni di favore perché lucrose. Gli esempi sono innumerevoli, ma
filtrati dall’Informazione mondiale con
pelosa cautela.
Cosa vado sostenendo, dunque? Non che la
pubblicità o che l’imprenditoria in quanto tali siano da ritenere responsabili
dei problemi …
Vado sostenendo che l’adolescente, bene educato o niente o male
educato, intuisce la logica truffaldina che soggiace alle conclamate buone
intenzioni valoriali, ma poi si butta nelle condizioni trovate nella vita e
agisce a caso e sul momento, come ogni individuo forzato a disinteressarsi
dell’altro, a porre se stesso, il proprio interesse immediato o il proprio non
meditato piacere avanti a tutto, purtroppo nella maniera meno pensata che
l’organizzazione sociale imprime in termini di anonimità fattuale, come un
destino.
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Linguaggi e prassi

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