martedì 18 settembre 2018

GLI ADOLESCENTI (ma non solo) E LA RETE - di Bianca Mannu


Che differenza c’è tra i recenti fatti clamorosi e tragici avvenuti in riferimento alla Rete e altri giovanili ugualmente clamorosi e tragici, non immediatamente collegabili ad essa?
Nessuna che sia fondamentale, secondo me, se ci si colloca a debita distanza dei pur facili psicologismi. La motivazione sottesa ai comportamenti con esiti luttuosi sembra quella determinata dall’impulso a imitare un gesto inusuale, proibitivo (espressione di una sorta di volontà di potenza), unita alla pressante attrazione per la visibilità connotante(narcisismo secondario), la più ampia possibile, agli occhi del gruppo di riferimento (social, gruppi locali)  e a quello più vasto dei coetanei affacciati sui vari portali (Rete). 
 Inserirei in questo contesto anche le più inquietanti e deleterie attività delle baby gang che sono mosse da intenti di stampo mafioso, ma ben più pericolosamente collegate con le attività delinquenziali omologhe di gruppi adulti.
Nel caso di queste ultime la società reagisce in modo autoritario, valuta la possibilità educativa o rieducativa coercitiva, si appella al volontariato (insegnanti di strada, associazioni sportive, ecc.), considera  problematicamente precoci trapianti familiari, poi dimentica il problema, in quanto eclissato da altri e tale che l’organizzazione politico-sociale esistente risulta, rispetto ad esso, del tutto impotente, come se quei criminali in erba fossero “i vuoti a perdere”, posti tacitamente nel conto delle spese ascrivibili al meccanico processo di riproduzione sociale.
Apparentemente diversa è la risposta, diciamo, collettiva, verso i casi singoli indicati nei media (il ragazzo che si soffoca, l’altro che s’è giocato la vita per un selfie, altri che hanno voluto provare altre orribili gioie) … Casi che, a mio avviso,hanno qualche caratteristica comune anche con il più diffuso bullismo adolescenziale.
Questo, com’è noto, prospera anche fra soggetti “di buona famiglia”. Già: è questo tratto che ci sconvolge tutti: com’è possibile che fanciulli ben allevati e ben educati in case confortevoli creino situazioni di grave complicazione per sé e per altri, con conseguenze spesso irreversibili? Che ne è dei nostri “valori”?
Nell’urgenza dell’emozione, nel desiderio apotropaico di scongiurare  ulteriori imitazioni e contagi, nel bisogno di dare un nome alle presunte o probabili cause, ci interroghiamo e sollecitiamo responsi dagli esperti.
È colpa della Rete? La Rete è un mezzo, si dice. Essa è, come tale, un mezzo pressoché neutro rispetto alle nostre scelte. Da ciò deriva che servirsi di essa in modo accettabile implica un lavoro educativo a monte sui soggetti che ne fanno maggior uso. E qui si va a scoprire un’ampia platea di adulti  che, una volta superati gli scogli tecnici iniziali, resta completamente irretita dalle suggestioni della Rete e dimostra una straordinaria debolezza nei confronti di ciò che vi scorre, al punto che troppi padri e madri si smarriscono volentieri nei suoi vicoli, vi istituiscono relazioni fasulle e vi “guadagnano” incautamente insperati revival adolescenziali e persino esiti di sconcertante puerilità e pericolosità, ivi compreso il bullismo adulto, pedagogicamente produttivo, appunto.   
Salta fuori che l’insopprimibile problematicità della fase adolescenziale, col suo
corredo di incertezze dell’io,  trova sponda in uno spaesamento più generale.
Ne nasce uno sciame di inchieste, tavole rotonde, trasmissioni e discussioni, anche in Rete, che immancabilmente sfociano nel richiamo a un “dover essere” opinabile, debole.  
I primi agenti della socializzazione e inculturazione  richiamati al loro ruolo sono i genitori e la scuola rappresentata per lo più nella persona dei suoi docenti. Queste figure sono riproposte e vissute come l’origine dei problemi, in quanto depositari incapaci o renitenti al loro impegno educativo etico e forse sociale: sono colpevolmente superficiali, sono impreparati, sono egoisticamente presi dalle loro difficoltà personali e perciò non credibili come modelli di riferimento.
Analogamente, dei giovani si dice che sono al contempo soli (e vogliono essere tali rispetto agli agenti educativi visti come limitanti) e troppo subalterni ai giudizi e alle “ratio” dei gruppi di appartenenza diretta o in Rete, che sono dominati (come forse è normale che sia) dagli effetti ormonali (compreso il desiderio di essere considerati come pari agli adulti e forse di sopravanzarli in audacia), eccetera     
Nello sconcerto del momento si vanno a esaminare qua e ora gli stati evidenti delle relazioni interpersonali,quelle “calde” in abbandono,  e quelle “fredde”, telematiche, in progressiva diffusione, anche a causa del relativo isolamento individuale prodotto dal dislocamento territoriale dei cittadini dei grandi centri urbani e dalla rarefazione dei centri associativi giovanili gratuiti.
Molti sono i richiami etici ed educativi attivati in margine a tali fatti. Richiami certo
importanti  per acuire verso tali problemi la sensibilità sociale. E forse per circoscritte aree sociali funzionano, ma sono destinati a restare lettera morta per la generalità delle situazioni che li provocano. Perché la generalità (parola astratta che indica il sistema concreto di vivere e  di dividersi di una formazione sociale al proprio interno e verso altre) funziona in modo diverso da quanto dichiarano, per esempio, i sistemi valoriali conclamati dagli altari giuridici ed etico-politici, spesso richiamati e più spesso disattesi dai loro sacerdoti.
Si parla, per esempio, di ricupero educativo del valore della vita, quella vita propria o altrui facilmente posta in gioco da desideri di “godimento senza limiti” … Soffermiamoci un momento su questo lemma che ne richiama altri del tipo “emozioni senza eguali”…
Sono lemmi, eppure sono parole d’ordine interpretate in modi credibili da divi/e, scritte a mo’ di didascalie allusive di senso, come sottolineatura di rapidi ed eloquenti film apologetici che visivamente illustrano il godimento emotivo della libertà di lanciarsi a velocità fantastiche e spericolate, ma gioiose e fondate sulla certezza che il mezzo del lancio decide al nostro posto della nostra e altrui incolumità.
Sullo stesso piano di senso (demenziale!) viaggia la parola l’ordine per cui ci  si può connettere “senza limiti” con una platea imprecisata di persone , come se il tempo della vita propria e altrui fosse dissipabile in un “bavardage” infinito. E potrei continuare con infiniti esempi, dove la parola libertà viene imbastardita e ripetuta come sinonimo di poter fare ciò che si vuole in ogni momento, senza alcun riferimento al limite.
Provate a conteggiare quante volte il ragazzino, mollato sul divano di casa o affidato al rassicurante iphone, registrerà e connetterà in modo subliminale simili stupidaggini all’indeterminatezza dei propri desideri e fantasie gratuite, magari suggerite dalla noia infinita prodotta da tali comunicazioni.
Come potrà quello stesso ragazzino innamorarsi di una faticosa pagina scritta in una scalcagnata aula scolastica affollata di ragazzini altrettanto spiazzati dall’idea tutta nuova che non ci si può realmente appropriare di niente senza che si sia disposti a impegni ripetuti e pazienti?
- Ecco, direte voi, un esempio di genitore inadeguato!
Ben detto. Ma vi siete chiesti dove sia e che cosa faccia al momento quello stesso genitore? Forse frequenta un cantiere fantasma o una casa signorile da pulire o un magazzeno (se va bene!) per uno pseudo salario. E inoltre, c’è da chiedersi, si è mai impegnato il libero ordine sociale a far sì che quello stesso genitore possa contare sul supporto educativo perenne e diretto da parte di un’affidabile agenzia educativa gratuita per la propria prole? E ancora, vi siete chiesti se quel genitore poté fruire  di una formazione scolastica che abbia sviluppato in lui lo spirito di attenzione critica verso il senso di un’emissione  comunicativa o anche dell’emittente, tale da metterne in guardia i propri figli e abituarli a decodificare e distinguere?
Procedendo anche solo in direzione del senso di valore della vita , possiamo esimerci dall’interrogare i Gestori delle risorse  nelle vesti di privati, di gruppi padronali, persino di istituzioni deputate al controllo: che ne è di quel valore assoluto della vita di fronte al loro presupposto indicato come primario e assoluto: il perseguimento di profitto ad ogni costo?
Profitto realizzato anche col gioco alle scommesse sulla vita delle imprese, (leggi: Borsa Valori). Gioco che decide non che  la condizione sana della vita umana divenga termine primario, bensì che le pratiche produttive dannose alla vita della comunità umana hanno opzioni di favore perché lucrose. Gli esempi sono innumerevoli, ma filtrati dall’Informazione mondiale con pelosa cautela.
Cosa vado sostenendo, dunque? Non che la pubblicità o che l’imprenditoria in quanto tali siano da ritenere responsabili dei problemi …
Vado sostenendo che l’adolescente, bene educato o niente o male educato, intuisce la logica truffaldina che soggiace alle conclamate buone intenzioni valoriali, ma poi si butta nelle condizioni trovate nella vita e agisce a caso e sul momento, come ogni individuo forzato a disinteressarsi dell’altro, a porre se stesso, il proprio interesse immediato o il proprio non meditato piacere avanti a tutto, purtroppo nella maniera meno pensata che l’organizzazione sociale imprime in termini di anonimità fattuale, come un destino.       









Nessun commento:

Posta un commento