Che differenza c’è tra i recenti fatti
clamorosi e tragici avvenuti in riferimento alla Rete e altri giovanili
ugualmente clamorosi e tragici, non immediatamente collegabili ad essa?
Nessuna che sia fondamentale, secondo
me, se ci si colloca a debita distanza dei pur facili psicologismi. La
motivazione sottesa ai comportamenti con esiti luttuosi sembra quella
determinata dall’impulso a imitare un gesto inusuale, proibitivo (espressione
di una sorta di volontà di potenza), unita alla pressante attrazione per la
visibilità connotante(narcisismo secondario), la più ampia possibile, agli
occhi del gruppo di riferimento (social, gruppi locali) e a quello più vasto dei coetanei affacciati
sui vari portali (Rete).
Inserirei
in questo contesto anche le più inquietanti e deleterie attività delle baby
gang che sono mosse da intenti di stampo mafioso, ma ben più pericolosamente
collegate con le attività delinquenziali omologhe di gruppi adulti.
Nel caso di queste ultime la società
reagisce in modo autoritario, valuta la possibilità educativa o rieducativa
coercitiva, si appella al volontariato (insegnanti di strada, associazioni
sportive, ecc.), considera
problematicamente precoci trapianti familiari, poi dimentica il
problema, in quanto eclissato da altri e tale che l’organizzazione
politico-sociale esistente risulta, rispetto ad esso, del tutto impotente, come
se quei criminali in erba fossero “i vuoti a perdere”, posti tacitamente nel
conto delle spese ascrivibili al meccanico processo di riproduzione sociale.
Apparentemente diversa è la risposta,
diciamo, collettiva, verso i casi singoli indicati nei media (il ragazzo che si
soffoca, l’altro che s’è giocato la vita per un selfie, altri che hanno voluto
provare altre orribili gioie) … Casi che, a mio avviso,hanno qualche
caratteristica comune anche con il più diffuso bullismo adolescenziale.
Questo, com’è noto, prospera anche fra
soggetti “di buona famiglia”. Già: è questo tratto che ci sconvolge tutti:
com’è possibile che fanciulli ben allevati e ben educati in case confortevoli creino
situazioni di grave complicazione per sé e per altri, con conseguenze spesso
irreversibili? Che ne è dei nostri “valori”?
Nell’urgenza dell’emozione, nel
desiderio apotropaico di scongiurare
ulteriori imitazioni e contagi, nel bisogno di dare un nome alle
presunte o probabili cause, ci interroghiamo e sollecitiamo responsi dagli
esperti.
È colpa della Rete? La Rete
è un mezzo, si dice. Essa è, come tale, un mezzo pressoché neutro rispetto alle
nostre scelte. Da ciò deriva che servirsi di essa in modo accettabile implica
un lavoro educativo a monte sui soggetti che ne fanno maggior uso. E qui si va
a scoprire un’ampia platea di adulti che,
una volta superati gli scogli tecnici iniziali, resta completamente irretita
dalle suggestioni della Rete e dimostra una straordinaria debolezza nei
confronti di ciò che vi scorre, al punto che troppi padri e madri si
smarriscono volentieri nei suoi vicoli, vi istituiscono relazioni fasulle e vi
“guadagnano” incautamente insperati revival adolescenziali e persino esiti di
sconcertante puerilità e pericolosità, ivi compreso il bullismo adulto, pedagogicamente
produttivo, appunto.
Salta fuori che l’insopprimibile
problematicità della fase adolescenziale, col suo
corredo di incertezze dell’io, trova sponda in uno spaesamento più generale.
Ne nasce uno sciame di inchieste, tavole
rotonde, trasmissioni e discussioni, anche in Rete, che immancabilmente
sfociano nel richiamo a un “dover essere” opinabile, debole.
I primi agenti della socializzazione e
inculturazione richiamati al loro ruolo
sono i genitori e la scuola rappresentata per lo più nella persona dei suoi
docenti. Queste figure sono riproposte e vissute come l’origine dei problemi,
in quanto depositari incapaci o renitenti al loro impegno educativo etico e
forse sociale: sono colpevolmente superficiali, sono impreparati, sono
egoisticamente presi dalle loro difficoltà personali e perciò non credibili
come modelli di riferimento.
Analogamente, dei giovani si dice che sono al contempo soli (e vogliono essere tali rispetto agli agenti educativi visti
come limitanti) e troppo subalterni
ai giudizi e alle “ratio” dei gruppi di appartenenza diretta o in Rete, che
sono dominati (come forse è normale
che sia) dagli effetti ormonali (compreso il desiderio di essere considerati
come pari agli adulti e forse di sopravanzarli in audacia), eccetera
Nello sconcerto del momento si vanno a esaminare
qua e ora gli stati evidenti delle relazioni interpersonali,quelle “calde” in abbandono, e quelle “fredde”, telematiche, in
progressiva diffusione, anche a causa del relativo isolamento individuale prodotto dal
dislocamento territoriale dei cittadini dei grandi centri urbani e dalla
rarefazione dei centri associativi giovanili gratuiti.
Molti sono i richiami etici ed educativi
attivati in margine a tali fatti. Richiami certo
importanti per acuire verso tali problemi la sensibilità
sociale. E forse per circoscritte aree sociali funzionano, ma sono destinati a
restare lettera morta per la generalità delle
situazioni che li provocano. Perché la generalità
(parola astratta che indica il sistema
concreto di vivere e di dividersi di una
formazione sociale al proprio interno e verso altre) funziona in modo
diverso da quanto dichiarano, per esempio, i sistemi valoriali conclamati dagli
altari giuridici ed etico-politici, spesso richiamati e più spesso disattesi
dai loro sacerdoti.
Si parla, per esempio, di ricupero
educativo del valore della vita,
quella vita propria o altrui facilmente posta in gioco da desideri di “godimento senza limiti” … Soffermiamoci un
momento su questo lemma che ne richiama altri del tipo “emozioni
senza eguali”…
Sono lemmi, eppure sono parole d’ordine interpretate in modi
credibili da divi/e, scritte a mo’ di didascalie allusive di senso, come
sottolineatura di rapidi ed eloquenti film apologetici che visivamente
illustrano il godimento emotivo della libertà
di lanciarsi a velocità fantastiche e spericolate, ma gioiose e fondate sulla
certezza che il mezzo del lancio decide al nostro posto della nostra e altrui
incolumità.
Sullo stesso piano di senso
(demenziale!) viaggia la parola l’ordine per cui ci si può connettere “senza limiti” con una platea
imprecisata di persone , come se il tempo della vita propria e altrui fosse
dissipabile in un “bavardage” infinito. E potrei continuare con infiniti
esempi, dove la parola libertà viene
imbastardita e ripetuta come sinonimo di poter fare ciò che si vuole in ogni
momento, senza alcun riferimento al limite.
Provate a conteggiare quante volte il
ragazzino, mollato sul divano di casa o affidato al rassicurante iphone,
registrerà e connetterà in modo subliminale simili stupidaggini
all’indeterminatezza dei propri desideri e fantasie gratuite, magari suggerite
dalla noia infinita prodotta da tali comunicazioni.
Come potrà quello stesso ragazzino
innamorarsi di una faticosa pagina scritta in una scalcagnata aula scolastica affollata
di ragazzini altrettanto spiazzati dall’idea
tutta nuova che non ci si può realmente appropriare di niente senza che si sia
disposti a impegni ripetuti e pazienti?
- Ecco, direte voi, un esempio di
genitore inadeguato!
Ben detto. Ma vi siete chiesti dove sia
e che cosa faccia al momento quello stesso genitore? Forse frequenta un
cantiere fantasma o una casa signorile da pulire o un magazzeno (se va bene!)
per uno pseudo salario. E inoltre, c’è da chiedersi, si è mai impegnato il libero ordine sociale a far sì che
quello stesso genitore possa contare sul supporto educativo perenne e diretto
da parte di un’affidabile agenzia educativa gratuita per la propria prole? E ancora,
vi siete chiesti se quel genitore poté fruire
di una formazione scolastica che abbia sviluppato in lui lo spirito di
attenzione critica verso il senso di un’emissione comunicativa o anche dell’emittente, tale da
metterne in guardia i propri figli e abituarli a decodificare e distinguere?
Procedendo anche solo in direzione del
senso di valore della vita , possiamo esimerci dall’interrogare i
Gestori delle risorse nelle vesti
di privati, di gruppi padronali, persino di istituzioni deputate al controllo: che ne è di quel valore assoluto della
vita di fronte al loro presupposto indicato come primario e assoluto: il perseguimento
di profitto ad ogni costo?
Profitto realizzato anche col gioco alle
scommesse sulla vita delle imprese, (leggi:
Borsa Valori). Gioco che decide non che la condizione sana della vita umana divenga
termine primario, bensì che le pratiche produttive dannose alla vita della comunità
umana hanno opzioni di favore perché lucrose. Gli esempi sono innumerevoli, ma
filtrati dall’Informazione mondiale con
pelosa cautela.
Cosa vado sostenendo, dunque? Non che la
pubblicità o che l’imprenditoria in quanto tali siano da ritenere responsabili
dei problemi …
Vado sostenendo che l’adolescente, bene educato o niente o male
educato, intuisce la logica truffaldina che soggiace alle conclamate buone
intenzioni valoriali, ma poi si butta nelle condizioni trovate nella vita e
agisce a caso e sul momento, come ogni individuo forzato a disinteressarsi
dell’altro, a porre se stesso, il proprio interesse immediato o il proprio non
meditato piacere avanti a tutto, purtroppo nella maniera meno pensata che
l’organizzazione sociale imprime in termini di anonimità fattuale, come un
destino.
Nessun commento:
Posta un commento