lunedì 27 luglio 2015

Metafisica - da Fabellae di Bianca Mannu


Perché la terra
giace
nella propria arsura,
il cielo s'allontana
con tutte le sue nuvole
e il tempo allucinato
dimentica
di scandire
il suo fluire astratto.

L'immenso giorno
cuoce
il mio grido rarefatto
e l'eco del conforme
dilaga
senza scampo
su un me pellegrino
claudicante
sulle tracce d'un dio che
- per semplice ferocia-
si ritrae.

M'ingarbuglia
in perduti passi
la commisurazione utopica
del suo diniego
m'affligge
la presunzione d'una meta
celata dietro a una parola frusta
o – peggio –
appostata
nell'atterrito non luogo
che m'impasta di cenere
la bocca.

Noticina- La silloge intitolata Fabellae uscita nel 2006 è fuori commercio. Se troverò un nuovo editore presso il quale pubblicare una nuova silloge di poesie recenti la inserirò fra quelle.

domenica 19 luglio 2015

Spaesamento -inedita di Bianca Mannu con noticina aggiunta



 Sulle rive della Sprea
una piccola s’è persa
bianca
di capelli antica 
ragazza.

Arcaica
e
così
Bianca
che
senza riconoscersi
si guarda
 riflessa
sui lumi freschi
di globalizzazione
delle vetrine gotiche.

“Che fa lei qui
simile a una formica
stanca
che cammina a vuoto
da sette lunghi dì
come se le tornasse nuovo
aver lasciato il covo
 e quel vaso di cotto
dove a stento
alleva
una «begonia discolor»
 laggiù
sul  calcagno dell’Isola
del Lapislazzuli mar?

Nel cuore della Prussia
si aggira un po’ perplessa?
 Da questa babilonia
di segni e di sentori crucchi
di tracce dei vecchi orrori
  è sazia e intormentita?”-
chiede a lei
la faccia mia
stranita

Scoccano
teutoniche
dal campanile a cuspide
 maiolicato in verde
le Stunden/Uhr
sopra la
Brandenburger Tor

Stunden con punta d’or!
 teutonicamente affiggono 
a un cielo plumbeo
la brozea quadriga
della Valchiria  
alata:
una Nike grexata

E ancora bronzi
 sbronzi e falsi ori
che mezzo mondo pianse
a incombere
tra il verde rabbuiato
su parchi e su giardini
 curati con germanico
puntiglio.

       Ma alla formica in tour         
i formicai stranieri
con vezzi
-dietro ai vetri-
di cortine
schiuse a cuore
su vasi
di finti narcisi
non destano stupore

Tranne l’ossequio
per le simmetrie geometriche
sono simili al suo
che invece
ostenta
una begonia rossa
sulla rozza cornice
del balcone
dove
i  suoi tramonti accesi
spiando va
infervorata e sola

Da lì
-ecco la nostalgia!-
 almeno col maestrale
vola
e non scrive cilecca
qualche sua
 parola.

Noticina- Poesia? Sia pure, se credete. Scritta e rielaborata, a sprazzi, per quasi dieci mesi. Sono stata sollecitata alla sua pubblicazione qui,  dietro al tanto discutere di Grexit, di Europa e Germania, specialmente di fronte al piglio dominatore di prussiana memoria, ma incapace di egemonia, dell'odierna leadership tedesca, come opportunamente esamina e sottolinea l'articolo di Ernesto Galli della Loggia nel Corriere. Non sono antitedesca, ma il mio breve viaggio, nella pur bella e verde e ordinatissima Germania, ha stimolato la mia auto ed etero ironia con un pizzico di sciovinismo verso la tanto universalmente maltrattata Sardegna. Aggiungo un doveroso ringraziamento per il mio prelievo dall'articolo del blog del glottologo Salvatore Dedola. 

venerdì 17 luglio 2015

Natura morta - da FABELLAE di Bianca Mannu -

Nota preliminare a Natura morta

Immagine consentita in uso da Google.Grazie

I dipinti di nature morte sono quanto di più sintetico ed evocativo riguardi la vita quotidiana delle persone.
Poiché l'uso e la destinazione dei prodotti del linguaggio umano, creativo e per così dire colto, sono stati privilegio delle classi agiate, è naturale che quei dipinti alludano a costumi quotidiani non universali.Quanto più è fuori quadro la diretta presenza umana, tanto più il riferimento è efficacemente allusivo della condizione del fruitore.
La colazione e il pasto giornaliero del contadino o, ancora più modesto e localizzato in ambienti alieni, quello dell'operaio di fabbrica o di miniera fino alla prima metà del secolo scorso, hanno sollecitato meno l'interesse creativo degli artisti professionisti e dilettanti. Anche perché avrebbero dovuto sottolineare la mancanza del pasto stesso, oppure l'atrocità della sua inadeguatezza in un contesto orribile e alieno. Mi torna in mente, ad esempio, il dipinto di Van Gogh, che non è la celebrazione astratta del rito conviviale in assenza dei consumatori. I mangiatori di patate non poteva che rappresentare il pasto dei poveri nella sua reale iscrizione nei volti e negli atteggiamenti corporei. 
E tuttavia i modelli comportamentali delle classi meno disagiate hanno attratto i desideri di chi ne era deprivato - quella che oggi viene molto furbescamente e negativamente indicata come "invidia sociale", benedetta sia! - e hanno anch'essi stimolato i movimenti di lotta, più o meno legali e consentiti, per arrivare a goderne, almeno come momento festivo.
Il caso di Natura morta di B. Mannu, vista oggi alla distanza di un quindicennio, è una composizione in versi che, dal mio punto di vista letterario, risulta omologa a un dipinto del nostro novecento.Quando è stata concepita e scritta (fine 1900) rappresentava una generalizzata piccola agiatezza, molto casalinga e discreta a fronte di un consumismo che illusoriamente pareva superarla per qualità ed estensione sociale. Oggi, se escludo i minimi e tremolanti agi,  per me retaggio del mio modesto lavoro di operaia dell'insegnamento, la concepisco  come uno di quei carezzevoli sogni mattutini che anticipano invece il risveglio in una realtà spietata che afferra e malmena ogni continuità benevola e civile, che spappola ogni diritto dei molti, colpevolizzandoli col rimprovero di aver vissuto al di sopra delle loro possibilità
.
Immagine consentita in uso da Google.Grazie
 Natura morta

La caffettiera ha tossito
il suo caffè.
Un'alba di nebbia
le tremola sul becco.
Certo sogghigna
dentro la corazza.
E gli aromi suoi
manda in segreto
a disperdere
i residui sonnolenti
della notte
acquattati negli angoli
dimenticati dalla luce.
La tazza
appena un po' discosta
- accosciata sul piatto-
- l'ansa piantata sul dorso
d'un soffice biscotto-
molto si compiace
della rotondità
del suo sbadiglio
tra lo sdegno imbronciato
del bricco della panna
e lo zucchero di canna
ammonticchiato
nel sucrier di ceramica viola
col cucchiaino ficcato
nella pancia.

Di lato un'arancia

venerdì 10 luglio 2015

Scampolo per-verso - inedita di Bianca Mannu

Se anche questa ha per nome
vita
sento che stringe
nel suo pugno ossuto
la fiacca densi
di cui mi scopro
divenuta
come se altra fossi
da quella che v’entrò
quasi di forza
e ignara.

Di fronte all’esultanza –
quanto fugace!
di freschi sensi aperti
alle passioni repentine
agli amori d’attimi assoluti
se anche questa
incalzata dal suo cinico declino
ha nome vita
mi rende piena d’occhi  - astratta -

e muta.

I poeti hanno a che fare con quanto  materialmente li tocca e li ferisce  e con quant'altro dai corpi espande come luce, ombra e forse onda, d' incorporea insistenza: parole e segni d'alfabeti gonfi di febbri e di affezioni atti a combinare innaturali matrimoni e figliare creature stravaganti, intrusive, inquisitorie, lesive,derisorie,  lenitive, subdole ed elusive, aguzze e taglienti per scapezzare la banalità indecenti di certi materiali ambienti per nulla, o forse troppo, ospitali . 

martedì 7 luglio 2015

Letture difficili e intriganti- approccio 4 di B. Mannu ad alcuni testi di Slavoj Žižek,

Invito gli amici lettori interessati agli argomenti filosofici emersi dalla lettura dei citati testi di Slavoj Žižek, di mettere in sequenza i 4 articoli pubblicati su questo blog e magari leggerli di seguito. 
 Come predetto essi sono ben lontani dal presentarsi come una sintesi completa di quei testi. Non sono certa, ma spero che la mia lettura abbia colto qualche tratto non marginale, dei tanti problemi trattati dal pensatore sloveno.
   
Va rimarcato a questo punto che il discorso di Žižek coinvolge almeno tre grandi correnti di pensiero che pescano in uno stesso nodo teorico: la teoria critica dell’economia politica di K. Marx con le teorie critiche dell’ideologia ad opera di altri pensatori marxisti (Althusser) e non,  la dialettica hegeliana e il pensiero degli ermeneuti post hegeliani, le teorie dell’inconscio freudiano con gli sviluppi lacaniani e della linguistica contemporanea e in particolare con gli studi deuleziani (G. Deuleuze, La logica del senso). Tutte e tre queste correnti di pensiero, spiega diffusamente il Nostro, hanno subito varie estrapolazioni, torsioni e rettifiche snaturanti e/o equivocanti, a causa dell’uso dell’una contro l’altra nella lotta politico-ideologica in campo teorico, anche, e sopra tutto, in campo politco-sociale, ma anche lo stesso Žižek le pone momentaneamente in contrasto fra loro per inquisirle, torchiarle, farne uscire il massimo di verità possibile  e cercarne nelle viscere logiche gli elementi che suonano come  un possibile o eventuale denominatore comune, da lanciare o rilanciare nella cultura europea militante  per una nuova prassi alternativa al mercatismo liberista e alla perversione asociale.  
A esaminare le citate prospettive ciascuna con gli strumenti concettuali delle altre, e con la visione delle conseguenze politico-pratiche attualmente osservabili, il Filosofo sloveno evidenzia le prove della possibilità che esse rappresentino un’amplissima e profondissima rivoluzione in atto in tutto l’universo teorico che una volta era designato come campo delle scienze umane a fondazione ontologica e storicistica. E avanza ragionevoli ipotesi che la loro libera e diffusa riconsiderazione, con i necessari approfondimenti e innovazioni, costituisce il terreno per la fondazione di una democrazia autentica, geograficamente ampia, emancipata dalle pretese del pensiero unico liberista che ci vuole proni agli interessi di un’economia di mercato e di un’economia finanziaria sempre più impermeabile ai bisogni sociali mondiali e a un bisogno di senso che fatica moltissimo a imboccare la via di un sistema simbolico non asservito ai poteri costituiti.
Va detto che in un altro saggio del 2007, La fragilità dell’assoluto, Žižek rivendica a favore del Cristianesimo la potenza emancipatrice sepolta sotto la sua pesante tradizione pretesca e imperiale. Quella radice, ancora pulsante e viva in una società multiculturale come quella europea, s’incontra realmente e profondamente con le istanze altrettanto vive della tradizione marxista. Questo incontro arricchito dei citati apporti del pensiero teorico potrebbe costituire la “risorsa capace di produrre la più strabiliante rivoluzione spirituale (e quindi politica) che ci sia dato di augurarci”.(Osservo che nel 2007, anno di pubblicazione della citata opera, papa Francesco non si era ancora profilato all’orizzonte. Invece oggi si può felicemente considerare anche questa giuntura!)
Il punto di vista liberamente ecclettico del Filosofo funziona da antidoto alla banalizzazione falsamente godereccia, ma tragicamente vuota di senso di una cultura dal respiro corto e senza orizzonti, che tende a deprimere le energie creative e  a sciupare le intelligenze.
Contrariamente a quanti accreditano l’idea della morte della politica, a causa  della irruzione diretta in essa e nelle sue istituzioni dei poteri economico-finanziari, i quali vogliono decidere di tutto, quasi come i quadri di staliniana (e non solo staliniana)  memoria, il nostro Autore rileva la necessità e la possibilità di una politica, non solo  autentica, ma dirimente rispetto alla forsennata accumulazione privata di capitali  e alla montante pressione depauperante a danno delle classi lavoratrici, una politica partecipata  che non è e non può esser quella che langue asservita alle lobbies, ma attenta  alla salvaguardia della natura, che produca  buona e diffusa cultura, raccolga alla fattiva consapevolezza i cittadini.
Il senso della politica si decide in una lotta che si accende in campo sociale, ma anche ricupera i suoi spazi di efficacia e penetrazione nel campo dei differenti livelli e regioni della discorsività. Questi campi sono lo spazio dell’Ideologia nel quale si struttura la coscienza personale e psico-sociale degli individui, sia come falsa coscienza che come coscienza  più o meno consapevole, ma dove si dispongono e delineano istanze di verità, le quali prendono statuti e trovano il loro banco di prova nell’ambito dei discorsi scientifici e filosofici, non chiusi nel loro isolamento scolastico, ma nell'intreccio e confronto incessante tra loro e anche con quanto emerge, non pienamente simbolizzato, dalla prassi sociale.

lunedì 6 luglio 2015

Democrazia - inedita di B. Mannu dedicata ai Greci

Un intervallo "poetico" - per così dire - come saluto al popolo greco e a noi tutti per auspicare il vero ritorno alla (e incremento della!) prassi democratica in Europa e nel mondo.

Democrazia

Qualcuno disse «Democrazia».
Non un empio - né un captivo - fu.
Non fu disgrazia che quella voce
 assemblasse
al nome il Nume del concetto.
Pure - da allora – Nemesi
le impose con lo sguardo
Necessità e Ventura.
Con  gli stessi decreti
 il Parlante «liberò»
in  mano agli  Aristoi.

Stretto - per prova - alle solerti Moire
per spegnere con la vita sua di uomo
o con l’infamia  del suo Logo
le ali alla Parola detta.
Egli abbracciò il suo Fato
e volse - per non smentirsi - verso  Dite
 sapendo acceso un lume-
errante già - per i futuri umani.
S’affiochirono altri nel poco.
E subito una siepe di arbusti
cinse l’esordio storico di lei
e le assegnò
 angusti luoghi e brevi tempi.

Fuori rimase
 un verminaio piccolo e vivace
di allogeni schiavi
 della terra e delle cave.
Certo qualcuno ne  ricevé contagio
e voltando le terga all’uso dell’abuso
 ne lanciò la febbre nell’eventuale corso
della storia.

Nomade ancora «Democrazia»
corre il pianeta - salta i muri –
scava cunicoli da talpa
e i sogni frequenta
di chi ha fioca voce.
Cambia di luogo
e guarda tempi brevi di rigoglio.
Si bagnò nel sangue uscendo dalle notti.
Passò indenne nei roghi.
Vestì abiti smessi.
 Fu agghindata
 perché non paresse quella.
Andò svilita in cambio di moneta
ancella e scudo  di rettori e padroni.

E ancora rampolla - nuova -
nei pensosi desideri  dei tanti
che si chiamano per lei dalle galere
per mettere ali ai corpi -
ali alle ali - per affratellarsi
oltre le frontiere
 e unire a lei  - numinose -  altre
antiche e nuove voci di riscatto.

sabato 4 luglio 2015

Letture difficili e intriganti- approccio 3 a citate opere di Slavoj Žižek a cura di B. Mannu

In parziale riferimento alla complessa articolazione tra la sfera delle esistenze materiali e quella della simbolizzazione, senza poter entrare nel merito dei complicati teoremi e ragionamenti che Žižek distende attraversando gli immensi campi del pensiero filosofico, scientifico e artistico, e un po’ collegandomi  alle precedenti esposizioni, cercherò di ripartire dal seguente quesito: il mondo immateriale delle idee e quello materiale delle cose naturali fisiche si parlano o non si parlano?

 Una prima risposta suona grosso modo così.
La totalità-mondo risulta del tutto inaccessibile e noi manchiamo sempre e per sempre il bersaglio della conoscenza di quanto starebbe dietro l’apparenza fenomenica. Perciò possiamo parlare in termini di verità relativamente alle nozioni parziali e temporanee relative a quanto la soggettività umana è in grado di cogliere mediante le sue categorie. Esse  ci forniscono solo una schedatura fenomenologica. La verità circa il Tutto sotteso ai fenomeni ci è preclusa. E si può dire che questa posizione corrisponde alla concezione kantiana e ai suoi prosecutori.  E a questo punto il nostro Autore sottolinea che la pretesa di parlare o di far parlare il Tutto in prima persona è un distorsione ideologica che esige un Garante/Dio esterno al processo teoretico
 Si dà, però, una risposta alternativa. Alcuni pensatori, scienziati, filosofi e teorici psicanalisti, per esempio Deleuze e Lacan, interlocutori preferiti di Žižek, sostengono che “la cosa là fuori” non è affatto scritta nel linguaggio dei numeri o di altri concetti e che sarebbe nostro compito di decrittarla, come argomentava Galileo. Ma “La cosa là fuori” non bussa tutta intera, avanza per elementi parziali, come cosa simbolicamente opaca, e poiché non trova la sua casella simbolica, crea problemi di natura logica e linguistica. Quando i problemi, diciamo d’incasellamento si accumulano, irrompe nella continuità discorsiva ideologica come non-senso, come elemento linguistico paradossale che si inserisce negli interstizi, nelle discrasie tra significati e significazioni interompendone il flusso e segnando l’emergere di un nuovo o possibile significato, il quale venendo in superficie e configurandosi come paradosso, scombina l’assetto esistente delle concatenazioni, definisce un nuovo campo di significati, e, se vince la partita, torce e assoggetta a sé quelli vecchi. Ma tutto questo non avviene pianamente, come la vicenda di Galileo insegna, il quale ha dovuto inventarsi filosofo per tentare la difesa della sua  teoria astronomica. Come dire che ha dovuto compiere un intervento di natura politica nell’ambito delle scienze fisico-astronomiche, in quanto il Padrone del discorso era appunto il Sant’Uffizio, il quale è rimasto molto offeso per essere definito “Simplicio”.  E questo è come dire che gli effetti di verità si ottengono comunque a livello della discorsività, la quale però, in certe condizioni, ha mezzi molto convincenti, come appena detto e avviene come avvenne nella vita di Galileo.
Si prospetta però anche una terza possibilità, ossia che la verità parli di persona? La risposta per bocca del Freud/Lacan di Žižek e di Žižek stesso mi appare grosso modo così «Sì, qualcosa emerge dal coacervo materiale, manifestandosi come sintomo, qualcosa che emerge come problema, come quasi-parola che stride, come istanza che richiede un lavoro di trasformazione e pretende di prevalere acquisendo, per così dire, esistenza importuna e semiclandestina per il tramite di un individuo umano.
 Però questa terza possibilità fa tutt’uno con la seconda precedente, perché la totalità del mondo non  si  presenta di persona, bensì tramite il qualcosa senza luogo (ciò che non ha collocazione nei significati esistenti) Questo qualcosa più che nascere come cosa che dice nasce come cosa che prova a dire o  che denuncia ed annuncia, un qualcosa che irrompe e fa reagire a muraglia i vecchi  fantasmi simbolico-linguistici. (I muri e le muraglie, sia fisicamente costruite che solo minacciate-progettate, sono anche il sintomo tetragono di un reale che oppone resistenza) .
In questo senso, dichiara Žižek, Gesù è «Uno di questi oggetti che parlano… le sue parole sono un ottimo esempio di quell’”Io, la verità, parlo” che si profila in coincidenza con la morte del Grande Altro/Dio».
Ossia la comparsa di Cristo nella storia, il suo dire e il suo dover morire a causa del senso misconosciuto/rifiutato del suo dire/fare, indicherebbe che la presunta e biblica presenza-parola garante di Dio-Verità assoluta, (infeudata a un Padrone: Sinedrio, Sapere Autoritario, per esempio) diventa da quel momento impossibile.
Dunque resta esclusa l’intromissione del Testimone-Dio o Grande Altro a garanzia d’una presunta rivelazione totale del mondo là fuori sempre uguale a se stesso. E correlativamente risulterebbe inadeguata l’idea che l’attività sia una componente esclusiva della soggettività umana, ciò che riproporrebbe l’idea di una Mente attiva e ordinatrice, opposta alla fissità materiale delle cose.
Forse sarebbe il caso di sostenere l’ipotesi, dice Žižek,  che il faticoso procedere del divenire scientifico, interrogato filosoficamente e dunque politicamente, a parziale rettifica della curvatura ideologica fuorviante, sia la sola verità possibile, mai esaustiva e completa, perché la così detta realtà stessa è un movimento di elementi materiali e di pensiero, perché “il Reale non è semplicemente esterno al Simbolico, ma è, piuttosto, il Simbolico stesso privo della propria esternalità, della sua eccezione fondante”.  Eccezione fondante che, se ho ben capito, è l’interruzione della chiusura ideologica ad opera del Reale non ancora simbolizzato che s’impone nella forma di elemento sintomatico.
 In L’oggetto sublime dell’ideologia Žižek riferisce che Lacan ha attribuito a Marx l’invenzione della nozione di sintomo. E dedica a questo tema un intero capitolo per dimostrare che Lacan asserendo quanto sopra non ha fatto una battuta di spirito, ma una deduzione teorica ben fondata, a dimostrazione che i tempi dell’invenzione e della ricerca si possono incrociare in modo sorprendente indicando la distribuzione ineguale dei campi di ricerca scientifica, la  quale in fondo dice la verità nello scoprire  che non c’è nessuna identità negli oggetti e nei soggetti e che  non esiste una garanzia preliminare sulle connessioni e sugli effetti retroattivi di un concetto.
Dunque, se ho capito una briciola di tutta la complessa sequenza logica che attraversa i saggi menzionati, il mondo monolitico al quale chiedo se davvero corrisponde alle idee che me ne sono fatta o che mi hanno infilato è solo effetto di una distorsione a livello della struttura ideativa, ineliminabile come struttura, ma rettificabile nei suoi effetti.

 

venerdì 3 luglio 2015

"L'ape e l'architetto" - Per diffondere il ricordo di Marcello Cini

Ecco come il passato anticipa il presente.
Chi è Marcello Cini ? Se n'è parlato nel 3° programma della radio.
Wikipedia pubblica alcuni elementi biografici. Ne copio alcuni.
Marcello Cini (Firenze, 29 luglio 1923[1]  Roma, 22 ottobre 2012) è stato un fisico e ambientalista italiano, impegnato in attività di ricerca nell'ambito delle particelle elementari, della meccanica quantistica e dei processi stocastici.
È stato professore emerito all'Università La Sapienza di Roma, chiamato da Edoardo Amaldi nel 1957 per la cattedra di Istituzioni di Fisica teorica e in seguito di Teorie quantistiche . È stato inoltre vicedirettore della rivista internazionale "Il Nuovo Cimento".
Dagli anni settanta ha accompagnato questa attività con studi di storia della scienza e di epistemologia, e interventi su varie riviste e sul quotidiano "Il manifesto", di cui fu tra i fondatori, scelta che gli costò la radiazione dal Partito Comunista Italiano nel 1970.
Nel 1967 fece parte del Tribunale Russell sui diritti dell'uomo, visitando il Vietnam durante la guerra e testimoniando le atrocità belliche.
È stato direttore della rivista SE/scienza esperienza fondata da Giulio Maccacaro.
Tra le sue numerose pubblicazioni, ricordiamo l'Ape e l'Architetto (1976) (scritto insieme a Giovanni Ciccotti, Michelangelo De Maria e Giovanni Jona-Lasinio), Il paradiso perduto(1994), Dialoghi di un cattivo maestro (2001).
Ha ricevuto il premio Nonino 2004 "A un maestro italiano del nostro tempo".
È morto nel 2012, all'età di 89 anni[2].
Cini viene ricordato per la sua battaglia volta ad analizzare i modi con i quali la ricerca scientifica è condizionata nelle sue decisioni e scelte di fondo dalla intromissione del capitale privato, che trasforma ogni prodotto della mente in merce.  
Riporto qui di seguito alcuni stralci tratti da un articolo di Scienza in Rete
Per quanto possa sembrare strano, immaginandolo dall’Italia di oggi, c’è stato un tempo in cui la pubblicazione di un libro poteva avere la capacità di catalizzare il dibattito intellettuale per settimane, anche al di fuori delle mura degli ambienti accademici. L’esercizio di immaginazione si fa poi quasi intollerabile all’idea che, almeno una volta, trentacinque anni fa, il libro che per un determinato periodo polarizzò le discussioni su giornali e riviste sia stato una raccolta di saggi a tema scientifico: un’opera apertamente tecnica, sul rapporto tra scienza e società.
Un passaggio del libro che invece rimane subito impresso per chiarezza e lungimiranza è quello in cui Cini riporta un suo intervento risalente a otto anni prima, al 1968, e dove in poche righe prevede e anticipa lo sviluppo di personal computer e informatica, capendo il ruolo di primo piano che essi avranno nella società che verrà e avanzandone da subito un’aspra critica: 
Io sono abbastanza convinto che nei prossimi venti o trenta anni avremo uno sviluppo dell’industria dei calcolatori derivante dall’aumento del consumo privato del calcolatore, esattamente analogo a quello che è stato il consumo privato dell’automobile […]. Questo sviluppo introdurrà forme di selezione ulteriore, di asservimento ulteriore, di competizione ulteriore, di imprigionamento dell’uomo in una logica sempre più inesorabile, dovute soprattutto al consumo privato. È chiaro che questa è un’industria che, se dal punto di vista economico può veramente dare uno sviluppo al sistema del tutto analogo a quello della motorizzazione privata, si presta a dare al singolo un consumo che lo asservisce, lo narcotizza, lo droga.
In anticipo sui tempi è anche l’analisi critica sul profitto che il capitalismo punta e punterà a trarre dalle merci immateriali. Se è vero che già in quegli anni, negli Stati Uniti, le ricerche finanziate dai privati superavano per la prima volta quelle foraggiate da fondi federali, è però solo nel 1980 che il mercato si imporrà davvero come terzo protagonista nel dialogo tra scienza e società. In quell’anno, infatti, si avranno i primi brevetti  a protezione della proprietà intellettuale su tecniche scientifiche (come quella di clonazione del DNA ricombinante) e addirittura su organismi viventi, come quella che il Patent and Trademark Office (PTO) statunitense concederà su un batterio geneticamente modificato. Gli autori avevano tuttavia già allora chiaro come il sistema capitalistico negasse ogni differenza tra beni materiali e immateriali, riducendo l’informazione a merce.