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I dipinti di nature morte sono quanto di più sintetico ed evocativo riguardi la vita quotidiana delle persone.
Poiché l'uso e la destinazione dei prodotti del linguaggio umano, creativo e per così dire colto, sono stati privilegio delle classi agiate, è naturale che quei dipinti alludano a costumi quotidiani non universali.Quanto più è fuori quadro la diretta presenza umana, tanto più il riferimento è efficacemente allusivo della condizione del fruitore.
La colazione e il pasto giornaliero del contadino o, ancora più modesto e localizzato in ambienti alieni, quello dell'operaio di fabbrica o di miniera fino alla prima metà del secolo scorso, hanno sollecitato meno l'interesse creativo degli artisti professionisti e dilettanti. Anche perché avrebbero dovuto sottolineare la mancanza del pasto stesso, oppure l'atrocità della sua inadeguatezza in un contesto orribile e alieno. Mi torna in mente, ad esempio, il dipinto di Van Gogh, che non è la celebrazione astratta del rito conviviale in assenza dei consumatori. I mangiatori di patate non poteva che rappresentare il pasto dei poveri nella sua reale iscrizione nei volti e negli atteggiamenti corporei.
E tuttavia i modelli comportamentali delle classi meno disagiate hanno attratto i desideri di chi ne era deprivato - quella che oggi viene molto furbescamente e negativamente indicata come "invidia sociale", benedetta sia! - e hanno anch'essi stimolato i movimenti di lotta, più o meno legali e consentiti, per arrivare a goderne, almeno come momento festivo.
Il caso di Natura morta di B. Mannu, vista oggi alla distanza di un quindicennio, è una composizione in versi che, dal mio punto di vista letterario, risulta omologa a un dipinto del nostro novecento.Quando è stata concepita e scritta (fine 1900) rappresentava una generalizzata piccola agiatezza, molto casalinga e discreta a fronte di un consumismo che illusoriamente pareva superarla per qualità ed estensione sociale. Oggi, se escludo i minimi e tremolanti agi, per me retaggio del mio modesto lavoro di operaia dell'insegnamento, la concepisco come uno di quei carezzevoli sogni mattutini che anticipano invece il risveglio in una realtà spietata che afferra e malmena ogni continuità benevola e civile, che spappola ogni diritto dei molti, colpevolizzandoli col rimprovero di aver vissuto al di sopra delle loro possibilità
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La caffettiera
ha tossito
il suo caffè.
Un'alba di
nebbia
le tremola sul
becco.
Certo sogghigna
dentro la
corazza.
E gli aromi
suoi
manda in
segreto
a disperdere
i residui
sonnolenti
della notte
acquattati
negli angoli
dimenticati
dalla luce.
La tazza
appena un po'
discosta
- accosciata
sul piatto-
- l'ansa
piantata sul dorso
d'un soffice
biscotto-
molto si
compiace
della rotondità
del suo
sbadiglio
tra lo sdegno
imbronciato
del bricco
della panna
e lo zucchero
di canna
ammonticchiato
nel sucrier di
ceramica viola
col cucchiaino
ficcato
nella pancia.
Di lato
un'arancia.
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