Riporto un breve
passo dal capitolo Usi della povertà:
«Sappiamo che, svincolata dalle
briglie della politica e dai condizionamenti locali, l’economia in via di
rapida globalizzazionee sempre più extraterritoriale produce differenze di
riccheza e di reddito sempre maggiori tra gli strati più ricchi e quelli più
poveri della popolazione mondiale, così come all’interno di ogni singola
società. Sappiamo anche che essa emargina fette sempre più consistenti della
popolazione, le quali non solo sono costrette a vivere in povertà, miseria e
indigenza, ma anche permanentemente espulse da quello che la società considera
un lavoro economicamente razionale e socialmente utile, e in questo modo rese
economicamente e socialmente ridondanti.»
Ecco
sinteticamente quanto mi pare di aver capito di questa preziosa raccolta di
saggi
Il
mondo contemporaneo presenta una complessità inedita. Esso prefigura destini orrendi per una parte
rilevantissima di esseri umani, se
questa stessa umanità non si rende ragione dei meccanismi emarginanti in atto e
s’imbestia nel restare prigioniera dell’idea che il gioco economico del
profitto decide di tutto, e in forza di tale condizione, imposta dalla
struttura di potere, tollera come conseguenza razionale che un gran numero di
esseri umani risulti ridondante, ossia
destinato al macero della condizione di povertà e depressione, come esito
ineluttabile.
Questo,
speriamo eventuale, destino non è per
nulla inscritto nel così detto progresso
tecnologico, né nel naturale egoismo degli umani e dei gruppi sociali che
competono per mettere le mani sulle risorse- queste sono
solo conseguenze di un meccanismo più pervasivo, anonimo e potente che imprime
la sua logica a tutti gli aspetti della società. Il motore è la ricerca del
massimo profitto tramite il mercato,
cioè lo scambio di ogni cosa usabile contro denaro reale o virtuale, il quale è
esso stesso merce dematerializzata, convertitore universale di ogni altra cosa o animale o persona o parti di essi in quanto merce.
Chi ha molto denaro
può vendere denaro e fare grandissimo profitto, senza produrre qualità di valore aggiunto, con l’agio pagato dai compratori di
denaro. Da me, per esempio, che chiedo il
mutuo per la casa o per mettere su il mio laboratorio di sartoria o un’officina
per riparazioni.
Che
cosa avviene alle persone che entrano nel mercato come venditori di merce/lavoro non richiesto, non in corso o deprezzato? E a quelli stessi che per
iniziare un’attività hanno acceso un prestito e poi non realizzano?
Pure
i bambini lo sanno: costoro non possono accedere allo stesso mercato in veste di compratori.
Nello stesso tempo sia pure proponendosi come liberi venditori di abilità
lavorative, non trovano chi voglia acquistarle. Ciò significa che tali soggetti
rimangono ai margini del mercato o ne escono totalmente, vivendo molto
precariamente di sussidi, finché i sussidi e supporti personali ci saranno.
La
distribuzione delle risorse per accedere ai consumi è dunque ineguale. Ma l’inegualglianza si è
approfondita in misura abissale coinvolgendo una grande massa di persone – i
poveri . Questa massa cresce e minaccia di non poter più essere riequilibrata,
anzi è già divenuta strutturale.
Che
cosa vuol dire questo? Vuol dire che il meccanismo della necessaria
ridistribuzione dei beni e dei servizi prodotti
è strutturato in un modo tale che la ricchezza continua ad accumularsi in modo esponenziale, ma concentrandosi
nelle mani di pochissimi, mentre il gruppo sociale che pure ha prodotto e
produce risulta impoverito, ossia può contare su una quota minima dei beni
prodotti. Per contro l’incremento della povertà chiama
alle restrizioni delle fonti sociali di beni e servizi. Il livello politico
amministrativo s’incarica di legiferare quelle medesime restrizioni: limita,
privatizza, e restringe il ventaglio dei servizi garantiti, smette di prevedere
e provvedere forme di sostegno sociale
dirette alla crescente massa dei poveri.
Anzi
una società cosi diseguale tende a disfarsi, come orpelli dannosi, di parecchie
forme di solidarietà sociale, di cura dei piccoli e degli anziani,
dell’assistenza e della scolarità
universale, della salvaguardia delle diversità e della dignità umana, insomma di tutto ciò
che in qualche modo è stato il fiore all’occhiello dell’Occidente per qualche
decennio del secolo scorso.
Il
pericolo di un imbarbarimento irreversibile minaccia, secondo Bauman, non solo
le macrostrutture, ma persino i rapporti interpersonali della vita quotidiana,
lavorativa e sociale. A questo livello, messe all’angolo le ragioni della fondamentale
uguaglianza nei diritti basilari, le ragioni del legame e della condivisione
civile, il gruppo sociale si polverizza in individui impauriti e soli in un
mondo cieco e sordo.
Sull’individuo
vanno a scaricarsi tutte le difficoltà ,
le tensioni e le responsabilità, che
sono invece il portato delle aporie strutturali. Ideologicamente si enfatizza
la sua autonomia, la sua libera decisione e responsabilità, invece lo si rende
a sua volta cieco, sordo e imbelle rispetto al proprio essere sociale. Lo si
allontana dalla comprensione e volontà di azione politica in senso ampio e
alto.
«…essere un individuo de iure significa… non poter cercare le
cause delle proprie sconfitte al di fuori della propria indolenza e
infingardaggine….Convivere quotidianamente con il rischio dell’autocensura e
del disprezzo di sé non è facile…»
D’altra
parte Bauman non si esime dall’indicare la
forte subordinazione della struttura politica esistente nei
confronti dei potentati economico–finanziari. La subalternità della politica nelle società postmoderne è non solo ideologica, ma funzionale perché funge appunto da agenzia per il mantenimento
dell’ordine pubblico, essendo la politica lenta e legata ad ambiti territoriali
ristretti, fisicamente adeguata all’esercizio del controllo dissuasivo/repressivo a
garanzia della suprema mobilità dei capitali; mentre dovrebbe essere il
meccanismo solerte ed efficace di regolazione dell’economia, garante della
salvaguardia fisica e sociale dei cittadini, custode di quella ecologica e
conservativa dei territori.
L’economia
finanziarizzata in realtà, non solo si
libera da ogni ceppo territoriale, ma si slega da ogni responsabilità umana e
sociale inseguendo senza più freni la valorizzazione crescente dei suoi profitti, sussumendo sotto di sé ogni
attività umana mercificabile e in prima istanza occupando le fonti e i percorsi
dell’informazione e della formazione culturale,con cui garantirsi la relativa e
universale tranquillità rispetto all’intangibilità del profitto.
«Il “principio dell’ordine” nel
gergo politico dei nostri tempi significa poco più che lo smaltimento delle
scorie sociali, dei relitti della nuova “flessibilità” della sopravvivenza e
della vita stessa.»
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