mercoledì 28 aprile 2021

Via così - inedita di Bianca Mannu

via 

ce ne andiamo così –

un po’ carcerati

un po’ assistiti e scomodi

e perciò

un po’ tanto redarguiti –

noi vecchi

foruncolosi nell’anima  e nel cuore

affaticati a involgerci

in una coperta

sempre troppo corta

 

ce ne andiamo così

come scrigni tarlati

in una notte

che ci ubriaca d’ansia -

che spandendosi

già non fa più male

                                                   

Nota - Sono anche io nella schiera dei vecchi, perciò sento di vivere - e guardare con una certa lucidità finché la mente lo consente - dall'interno questa condizione. Mai come nella nostra drammatica contemporaneità si è palesato il problema del come si conduce socialmente e psicologicamente questa condizione nel mondo contemporaneo. Questo mondo è preso nella pressa che trasforma il tempo in denaro, e perciò, allorché per necessità di evenienze temporali e usura, la persona non produce beni materiali mercificabili, si sente ed è vissuta, dalla società oppressa dalla competizione, come un vecchio mobile insensato nella sempre nuova (sic!) e frettolosa configurazione della vita che diciamo civile.  Uno stato particolarmente spinoso, anche se coperto da pietismi pseudo affettivi, che nei casi di emergenza tende a trasformarsi in "si salvi chi può". Il vecchio, specialmente se di famiglia povera, diventa più povero ancora, ancora più solo con la sua morte, a sigillo di una vita , spesso brutale per deprivazioni e negazioni.(BM)  

 

domenica 25 aprile 2021

Per sottolineare e ricordare il senso e il significato di Resistenza - a cura di B. Mannu


 Per Adolf Eichmann  

Corre libero il vento per le nostre pianure,   
Eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.
L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
Vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.

… E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
Tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.
Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
Giurerai per un dio? Quale dio?
Salterai nel sepolcro allegramente?

O ti dorrai, come in ultimo l’uomo operoso si duole,
Cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
Dell’opera tua trista non compiuta,
Dei tredici milioni ancora vivi?

O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
Possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
E visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
Rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
Intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.

Primo Levi - 20 luglio 1960


MEMORIA

Gli uomini vanno e vengono per le strade della città,
comprano libri e giornali, muovono a imprese diverse.
Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene.
Sollevasti il lenzuolo per guardare il suo viso.
Ti chinasti a baciarlo con un gesto consueto.
Ma era l’ultima volta. Era il viso consueto,
solo un po’ più stanco. E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe eran quelle di sempre. E le mani erano quelle
Che spezzavano il pane e versavano il vino.
Se cammini per strada nessuno ti è accanto,se hai paura nessuno ti prende per mano.
E non è tua la strada, non è tua la città.
Non è tu a la città illuminata. La città illuminata è degli altri,
degli uomini che vanno e vengono, comprando cibi e giornali.
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra
E guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevo c’era la sua voce serena.
Allora quando ridevi c’era il suo sorriso sommesso.
Ma il cancello che a sera s’apriva resterà chiuso per sempre.
E deserta è la tua giovinezza, spento il fuoco, vuota la casa.

Natalia Ginzburg


 Uscì la primavera

 Uscì la primavera dall’oscura/ notte d’aprile e rivedemmo il giorno./ In Piazza Tricolore, tutti intorno/ alla vecchia bandiera, i patrioti /— popolani ragazzi visi ignoti —/ uscivano dai libri delle scuole, dalle Cinque Giornate incontro al sole/ della mattina, incontro agli operai.

 Alfonso Gatto


NON PIANGERE COMPAGNO

Non piangere, compagno,
se m’hai trovato qui steso.
Vedi, non ho più peso
in me di sangue. Mi lagno
di quest’ombra che mi sale
dal ventre pallido al cuore,
inaridito fiore
d’indifferenza mortale.
Portami fuori, amico,
al sole che scalda la piazza,
al vento celeste che spazza
il mio golfo infinito.
Concedimi la pace dell’aria;
fa che io bruci ostia candida, brace
persa nel sonno della luce.
Lascia così che dorma: fermento
piano, una mite cosa
sono, un calmo e lento
cielo in me si riposa.

Davide Laiolo -Ulisse

Nota - Ho scelto queste fra le molte, tutte ispirate e bellissime, perché mi è parso giusto privilegiare testi di media lunghezza appartenenti ad alcuni di coloro che vissero sulla pelle la tragedia. Questi pochi prescelti parteciparono personalmente e secondo il proprio credo morale e politico alla lotta partigiana con impegno diretto e con scritti; e soffrirono nella vita le conseguenze di quelle situazioni terribili.

Primo Levi è stato partigiano. Catturato, visse il terribile internamento ad Auschwitz da cui tornò molto provato e fece della testimonianza lo scopo della sua vita.

Natalia Levi Ginzburg, di famiglia ebraica antifascista, moglie di Leone Ginzburg, intellettuale antifascista, morto nel '44 in seguito alle torture fasciste subite in carcere.  

Alfonso Gatto, intellettuale e poeta napoletano oltre che partigiano, le cui poesie dedicate alla Resistenza stanno per essere pubblicate e sono rimaste finora inedite.

Davide Laiolo, di estrazione contadina, nutre ambizioni  intellettuali. Attratto dall'ideologia fascista a cui aderì, scelse la carriera militare fino a quando nel momento cruciale della guerra( 25 luglio 1943, caduta del regime) decise di guadagnare la clandestinità contro l'incombente rafforzamento dell'Asse nazifascista sopra il suolo italiano. Scrisse anche "Il voltagabbana". 

Internet offre notizie e possibilità di approfondimenti. (B.M.)

domenica 11 aprile 2021

Un certo vento- inedita di Bianca Mannu

                                             

                                                       Un  

                                                                            certo                                                                                                                                                 vento                                 

 Labbri stretti

arpeggiava orizzontale
insidie vaporose
un certo vento
 
Obbediente a sé - il corpo d’aria -
mi trascorreva sulla pelle ottusa
insistendo sulla nota
dello stesso pentagramma
come se altra non fossi
che stoppia di campo
e non qual ero:
cucciola chiusa
in amato altrove
 
Ancora replica senza mutamento
il querulo soffio
 e non importa il luogo
e non importa la stagione
né quante ne possa io contare
in termini di solchi 
sul volto e sulla fronte
 
Mi geme ancora addosso
il suo compito lagnoso
e m’inquina di  carenza
l’obliosa mia latenza
 d’ogni senso
quando nell’animo
assomiglio a quella me
che non sapeva
 
E ancora arpeggia
tenere insidie vaporose
quel vento
puntando con la sincope
al cuore del risveglio
ghermendo per la gola
la mia cara alienazione
 
Lo sgomento del lutto
il miele ignaro d’una volta
insapora per sempre
 d’assenzio repentino:
 mitico nodo delle braccia
mitica età raccolta in occhi chiusi
per sempre cari
 - Assenti -
 
Mailnconia

Noticina - Ringrazio per la generosità chi ha accolto la richiesta del
prestito delle immagini.(BM) 

venerdì 2 aprile 2021

Pesce d'aprile in dono: Piccola scaldasogni - inedita di Bianca Mannu


Piccola scaldasogni

 Sogni. Fabbricavo sogni

lungo la soglia degli occhi
intanto che il sonno tardava
Balzava di colpo
il sonno indolente
sui costrutti negletti:
incompiuti frammenti
lasciati all’addiaccio

 

Nell’ombra residua -
al risveglio - pungenti
avvertivo le loro distanti
sporgenze incompiute
Gremita - la coclea uditiva
di zirli impazziti scoppiava

 
Sbarravo la fuga

a un soffio di piume
a pinza brandendo
quel niente sgomento
col pollice e un dito
appostato in foresta
di miei lunghi capelli
 
Alcuni dei molti abbozzati
castelli infilavo tra coltri
e su diacci cuscini
per ritrovarli la sera
accosciati e imperfetti
nell’identico freddo
di obliate lenzuola
coi velli di seta
disposti a corona
 
Ma il sole insistente
chiamava anche me
come fuori dal nido
gli uccelli. Al solo
sobbalzo del buio
tornavo all’uso serale
dell’officina dei sogni
ma ero ancora
incapace di fare
quei sogni  volare

Imbevuto di riti
e di giorni coscritti
tornava a scaldare
il mio corpo bambino
dei sogni d’ieri
inizi e giacigli
precipizi fasulli
ascese modeste
atterraggi campestri
su letti di spini e ginestre

Non avevano volto distinto
i miei sogni così fabbricati
Non avevano odore né tinte
non avevano mani né pelle
facevano lunghi sbadigli
e il suono piccino d’uccelli
nel nido - quando la madre
li avvolge con lane e fuscelli …
  
Aveva breve gittata
il mio fiato bambino:
soffiava e soffiava
ma nemmeno riusciva
a scaldare sul fondo
profondo del materasso 
i miei due piedini -
di gomma  nel giorno -
la sera di sasso.
  Noticina-Dedicata a tutti i nessuno che sognano senza contenuti, sognano e basta, perché è il solo modo di sottolineare quel che resta della propria umanità.(BM) 


 


mercoledì 24 marzo 2021

Guerra ... purchessia - inedita di Bianca Mannu

    
Guerra … purchessia!
 
Hai un cognome strano! –
 è un pretoriano d’oggidì
                      venuto ad apostrofarmi
da sotto i galloni del kepì
« Ecco …  - ride per allettarmi - 
ecco  una stellina gialla
t’appunto sul pastrano»
 
Ed io: - Rifiuterei il galano ...
« Niente di personale – dice -
solo un piccolo segnale
per i distinti da implicare
in questa  - qui o là – semplice
 guerra universale -
impossibile glissare!»

Sarò merla o gazza?
 - Ora con la stellina finto oro (!) -
e il nome un po’ balzano 
… in quale guerra m’insinuo
con gli attributi di razza?
« Aspetta un semestrano
ché ti spedisco a Gaza!»
 
Penso:- Con gli occhi a mandorla
e la pelle tinta d’Africa
potrei fingermi creola
ma penserei che la metrica
dell’idioma mio parlato
non corrisponda al fatto
 
Ecco - perciò stesso
sarò statua di gesso
davanti al quesito censorio
del milite littorio
Se fossi come non vorrei e sono
mi darebbero della poco di buono
sarei spinta giù con acribia
in fondo al rione Carestia 

E dopo – se un po’ ci pensi –
dubito che scamperei alla follia
d’esser preda della guerra a pezzi
o della guerra  … purchessia
 
È stato per astratta remissione
nella seconda ventina
del secolo ventesimo:
meno che ragazzina
sullo scalino dell’ impossibile
privo di proporzione
e di coerenza matematica …
Vi sono rimasta statica:
una briciola indefinibile -
una cosa pulsante
 
andata ad arrestarsi
per inerzia sull’ orlo beante
del buco madornale
dell’irragione generale :
Anno 1939:
bellicista arrogante!
Era greve  - armato 
fino all’ultimo dente -
un rullo semovente -
 un’immane mitraglia
caricata per lasciare il niente
ed offrire la Terra alla gentaglia


Pure l’orrore procede
per respiri ed apnee:
bisogna che fino alla noia
ce lo raccontiamo – o mondo boia -
con molto suo contorno
l’inferno ed il ritorno
perché abbia anche senso
l’estremo nostro giorno.
 
Noticina - La guerra riduce tutto a una contemporaneità da incubo e infatti la guerra iniziata nel 1917 non si è mai conclusa. Bisogna che non perdiamo di vista la sua subdola diffusione anche nei nostri trascurati quartieri. Tra poco sarà aprile e il suo simbolico 25. Esso ritorna per parlare dell'adesso.(BM) 
 
  
 
 
 
 
 

 

giovedì 18 marzo 2021

Il fascino discreto della “competenza” da By Infosannio per B. Mannu

Nota - Ripropongo lo stralcio desunto dal detto articolo. L'ho trovato sommamente lucido, "pensato" e dissonante nello schiamazzo o nel refrain, ripetuto dal periodo postbellico a oggi, a mitologica conferma e lode del potere comunque gradito a "lor signori". Imperturbabili costoro a rivestirne e a rivestirsene, nonostante i registri delle P2 e tutte le menzogne e omissioni molto interessate dei poteri in auge, escludendo Giuseppe Conte e i pentastellati, che non erano dell'èlite, e a cui nulla è stato risparmiato. Il neolaureato potere tuttavia vacilla rispetto alle esagerate capacità, di cui è stato investito dai soliti noti, davanti al primo problema capace di inquietare le moltitudini e di disporsi come grido: il re è nudo! Non a caso la testata ha ritenuto di sottolineare la sua analisi riferendosi al film di Buñuel. 
Non pochi di noi, cittadini con peso specifico incerto, pensano alla razza di "competenti" che, dai posti di comando, ha riempito i registri della P2 e del malaffare, ha deciso il clima Paese e l'entità organizzata dei suoi lutti. (BM)

Il fascino discreto della “competenza”

  Ora, il problema che viene lasciato sotto traccia adottando questo criterio di “competenza” è che i soggetti che provengono da queste grandi istituzioni sono fatalmente degli insider, sono cioè soggetti che hanno potuto fare la carriera che hanno fatto perché hanno accettato il sistema esattamente per come si presentava loro, ne hanno onorato le regole, hanno mostrato affidabilità nell’incarnarle e implementarle, hanno obbedito agli indirizzi egemonici nell’impianto ideologico, si sono anche indebitati moralmente con altri membri del medesimo establishment, che ora sanno di poter contare su di loro.

Lodare i “competenti” in grazia della loro “eccellenza” e “rappresentatività” alla guida del paese significa in concreto incoronare non qualcosa di neutro e tecnico come la conoscenza pratica, ma qualcosa di ideologicamente ben definito, cioè l’appartenenza organica al sistema capitalistico internazionale e alle sue oligarchie finanziarie.

Lodare i “competenti” in grazia della loro “eccellenza” e “rappresentatività” alla guida del paese significa in concreto incoronare non qualcosa di neutro e tecnico come la conoscenza pratica, ma qualcosa di ideologicamente ben definito, cioè l’appartenenza organica al sistema capitalistico internazionale e alle sue oligarchie finanziarie.

Che l’alta borghesia italiana … sia di ciò entusiasta e ci tenga a farvelo sapere è nell’ordine delle cose … è sincero entusiasmo il loro … Che di ciò si entusiasmi la media e piccola borghesia, o addirittura la vasta maggioritaria distesa di chi lotta per tenere la testa sopra l’onda ogni giorno, beh, questo è un triste fraintendimento.  

 

lunedì 15 marzo 2021

O Covid o stupid - composizione satirica di B.Mannu

O Covid o stupid


Babelici voleri segna

il silenzio a scale:

e scende e sale

né sai se regna

oppure se la svigna

incalzato dalle turbe

eccitate e festaiole

di chi abita nell’urbe.

Si maschera e si smaschera

per capriccio del momento

il cittadino scontento

in cerca dei gemelli

disposti in fila o schiera

palesando esser di quelli

che si sentono ribelli.

Un po’ sono imbecilli

che si sentono animosi

con i corpi muscolosi

e cervello in minidosi.

Pensa un po’ che apoteosi

se per caso o per sfortuna

uno di questi con la luna

va a occupare la tribuna

o la più alta delle sfere

riservata al Timoniere




 


Noticina- Momento - si fa per dire - di difficoltà, di lutti, di timori, di confusione, di contraddizioni, anche di conflitti. La realtà eccita sorrisi agri e la ragione valuta con sollievo il superamento dell'inciampo, forse. (BM) 

lunedì 8 marzo 2021

Il poeta drammaturgo dietro casa – memoria di Bianca Mannu

 



Dedico questa breve memoria a tutti gli artisti, autori e lavoratori sacrificati a  causa del Covis19, mentre auspico un rinascimento a favore di tutte le forme d’arte e varie installazioni accessibili anche alle popolazioni dei centri più      piccoli. (BM)                                          


 Ho ri-appreso che Federico Garcia Lorca era di due anni più giovane di mio padre (’898,il primo; ‘896, il secondo). Mio padre non era poeta, ma modesto artigiano. Però era curioso e sensibile nei confronti  dei risultati del pensiero creativo. Essendo stato soldato della Prima Guerra, poi operaio specializzato presso  grandissime industrie della penisola, era per posizione di classe antifascista, in odore – erroneamente - di simpatie anarchiche secondo il Regime. Egli leggeva tanto e, quando gli capitava, leggeva anche stampa clandestina o semiclandestina. Certo sapeva della cattura e dell’esecuzione di questo grande poeta antifranchista, “non proletario”, ma di notevole ascendenza per censo e per cultura. Ciò che io ho saputo e letto molto più tardi.

Tornato nel luogo natio per tentare di guarire da una grave pleurite, regalo della Fiat-Lingotto nella Torino gelida e nebbiosa, mio padre formò famiglia e nacqui io.

Frequentavo la terza elementare allorché piombò con un nullaosta di frequenza nella nostra classe di terza elementare una ragazzina della mia età.


Entrò come dalla finestra aperta una brezza, disinvolta e sorridente , una Lea Carla chiara di viso e di capelli, che durante le presentazioni si diede a fare le capriole più azzardate come una stellina del circo. Sul circo e sui suoi artisti avevo tante volte fantasticato avendoli guardati dalle panche del pubblico e anche mentalmente invidiati; ma non mi era mai capitato di frequentarne uno/a di persona. Lascio immaginare il mio meravigliato gradimento.

L’aula che occupavamo, pure grandissima, parve, addosso a Lea Carla, troppo piena di banchi; e palpitammo nel timore che le sue evoluzioni la portassero a urtare sugli spigoli. Noi eravamo rigide, le gambe strette, incerte e sommesse nel parlare secondo una severità di modelli che lei non concepiva. Diversamente da noi, fasciate di repressione,  lei si lanciava espressivamente in comunicazioni, richieste,  osservazioni, interruzioni e intromissioni, così disinibite da provocare il nostro ambiguo stupore.

In questa maniera ci informò di essere la più giovane componente di una larga famiglia di attori girovaghi che faceva tappa nella nostra cittadina per un mese o forse due, secondo che lo consentisse l’afflusso quantitativo di pubblico pagante per assistere alle recite. Diverse commedie e drammi, ci disse, stavano per andare in scena, settimana per settimana, completi di numeri di avanspettacolo e  persino di esercizi circensi.


- Ma dove recitate? Nella piazza?   
- Ma no, certo che no! Al cinema Ideal - bar – caffè!
- Ah! E abitate lì?
- Ma che dite? Stiamo all’albergo.
- Ah, perché in paese c’è un albergo? – osservò qualcuna spalancando gli occhi per la meraviglia.
- Ah, già, sì, sì … La locanda di signorina Lauretta – sparò a raffica la figlia del tabaccaio.-
Fu così che imparammo che Lauretta era “la donna cannone che faceva pensioni”.

In breve venimmo informate che il “dietro” del telone bianco, su cui comparivano le figure del cine, era uno spazio cavo e ampio dove si potevano montare i quadri delle scene teatrali e dove attori in carne e ossa potevano muoversi e recitare. Proprio come  noi l’anno prima, seconda classe, quando eravamo salite sul palco dell’asilo per recitare le poesie di fine anno, dopo l’esame.

Però quante cose, sulla nostra cittadina e su noi stesse, stavamo imparando in tale minuscolo squarcio di tempo!

Manco farlo a posta, il suono della solita campanella ci cacciò quel pomeriggio a sciamare più ricche e più curiose sulla piazza. Fu una breve corsa quella  verso i cartelloni multicolori dell’adiacente Ideal –bar- caffè, che già annunciavano le programmate rappresentazioni del fine settimana.  

A casa non feci che cantare meraviglie di Lea Carla e di tutto quanto ci aveva raccontato. Ero entusiasta e orgogliosa di averla compagna di scuola, mi dichiaravo a gran voce allieva dei suoi numeri e posture, e già mi disponevo a imitarli per conto mio, coinvolgendovi anche la mia sorella minore in guisa di assistente.

Nelle sue uscite serali, il babbo avrà certo conferito col proprietario dell’Ideal e si sarà informato sul destino momentaneo della sala cinematografica, anche perché a quel tempo mio padre si prestava a fare da operatore del meccanismo di proiezione  e insegnava ad alcuni giovani come diventare esperti.  Egli infatti riferiva alla mamma  come e perché il proprietario della sala aveva accettato di affittare temporaneamente il locale a una compagnia familiare di “guitti bravi”, che metteva in scena testi di scrittori di fama mondiale. Il babbo stesso sosteneva con la mamma che fruire del teatro era un’esperienza educativa importante per adulti e bambini.   


In questo modo il sabato sera successivo al primo ingresso di Lea Carla in classe, babbo mamma e io riuscimmo a prendere posto nel cinema diventato teatro “gremitissimo” di spettatori seduti e in piedi, dove si recitava “Nozze di sangue” di Federico Garcia Lorca.


La cosa che quella sera m’impressionò molto favorevolmente fu l’arredo  di scena. Bene illuminata, come sotto una luce che pareva solare davvero, rappresentava un cortile interno di una casa con un pozzo al centro e una corona di arbusti verdi intorno. Della storia rappresentata capii certo ben poco, ma mi parve d’intuire la natura del “fatto”, sulla base di lembi  di dicerie inerenti conflitti familiari drammatici accaduti per l’addietro in paese. In ogni caso, la mia familiarità con i film di cappa e spada e con i drammi napoletani facilitava la captazione  del nucleo fattuale, al di qua dei discorsi noiosi degli attori.   

Certo fu a causa di quella rappresentazione  che ebbi per bocca di mio padre qualche informazione in più sulla sorte triste dell’autore drammaturgo e poeta del detto dramma, non tanto come risposta alle mie interrogazioni dirette, quanto in virtù delle conversazioni che  proseguivano tra babbo e mamma, a commento e a contorno degli eventi teatrali che si compirono in quella fortunata primavera e che per lei, come per la nostra cittadina,  risultavano nuovi, mentre  per lui erano un ritorno a esperienze simili e non ingenue compiute nelle città del continente. Io li ascoltavo con quattro orecchie ottenendo più chiarimenti e notizie di retroscena  di quanti avrei potuto scoprirne  con le mie domande.      

Quella singolare e davvero vivace contingenza risvegliò in me una curiosità verso quanto mio padre leggeva nei suoi giornali – rimanendo ormai acquisita la gioia serale delle “sue” fiabe, lette, rilette e rievocate  per un sonno felice . Qualche  raccontino, qualche filastrocca egli me la leggeva direttamente  dalla terza pagina del giornale, in occasione di festività che interessavano i bambini.  Ecco che imparai ben presto a trascegliere la terza pagina e a seguire le puntate dei racconti stampati nei feuilleton.

 







Nota - Ringrazio Google e siti che hanno fornito gratuitamente le immagini.(BM) 

 

giovedì 4 marzo 2021

Due brevi poesie di Federico Garcia Lorca

                                   In memoriam      

                                          

Dulce chopo                                                   Dolce pioppo

dulce chopo                                                    dolce pioppo

tu has puesto                                                  sei diventato

de oro.                                                            d'oro.  

Ayer estabas verde                                        Ieri eri verde,

un verde loco                                                 un verde folle

de pàjaros                                                      di uccelli 

gloriosos                                                        gloriosi.

Hoy estas abatido                                      Oggi sei abbattuto

bajo el cielo de agosto                               sotto il cielo d'agosto

como yo bajo el cielo                                  come me sotto il cielo

de mi espiritu rojo.                                      del mio spirito rosso.  

La fragrancia cautiva                                  La fragrannza prigioniera

de tu tronco                                                del tuo tronco

vendrá a mi corazón                                       toccherà il mio cuore

piadoso.                                                           pietoso.   

Rudo abuelo del prado!                                   Ruvido avo del prato!

Nosotros                                                          Noi

nos hemos puesto                                           siamo diventati

de oro.                                                             d'oro.



                                       Caracola

                                     Me han traido una caracola.

                                     Dentro le canta

                                     un mar de mapa.

                                     Mi corazón

                                                                          se llena de agua

                                                                          con pececillos

                                                                         de sombra y plata

                                                                         Me han traìdo una caracola   

         Conchiglia     

M'hanno portato una conchiglia.

Dentro le canta

un mare di mappa.

Il cuore

mi si riempie d'acqua

con pesciolini

d'ombra e d'argento.

M'hanno portato una conchiglia.


Noticina - Ah,la sanguinante felicità poetica di Federico Garcia Lorca! Inarrivabile.(B.M.)                       

                Morì fucilato dai franchisti la mattina del 19 agosto 1936  a trent'otto anni.                       

giovedì 25 febbraio 2021

L'ALTRA METÀ DELL'UOMO - poemetto in IX stanze - Bianca Mannu

Dedicato alle donne e al marzo delle donne

I

Gineceo … come ipogeo
 
La storia era partita senza scorte -
su per giù così ben prima di Saffo -
ché per allora si moveva vuota
d’ogni scelta muliebre per sentenza
d’ogni nozione di piglio controverso
d’ogni scimmia di dottrina maschia
in voce bianca e di gentile aspetto …
Mai che donna avesse corale udienza
e il suo dire prendesse ala di precetto
ma scimmia del padre in voce di falsetto
sempre nella oikìa risonasse
 in sua eco perfetta.   
II
Maschia  la cifra …  
 
Era la polis neanche in germe sogno
quando il kyros dominava dall’akros
su quanto palpitava nell’oikos
E già - per tacito costume - a stuolo
aedi digiuni ed àuguri affamati
con vili bifolchi e ignobili accattoni
stanno alla stoa d’arroganti Aristoi –
tediati signori di non pingui armenti –
alla razzia come alla guerra avvezzi
e ad altre usanze – benché regali- atroci
Tutto era maschio allora per l’assetto
convenuto - pur in sacro peplo involto

 III

Appartate …

Compresse in obbligate stanze
donne a oblique dee imparentate
– possibili olocausti –  quasi nulla
di pubblica evidenza – al più alveare
per produzione padronale : fattrici -
nutrici in turnover per regola d’età -
di varie trame tessitrici - all’ira
esposte di Partenos – operaie tristi
 di sudari e di lugubri trapassi –
ministre vicarie di pargoli ed ancelle
in  tempi/luoghi circoscritti  - regni
che Giove mai diresse di persona

IV
 Crogiuoli d’angustie


Valuta – o Zeus – l’ancillare suo status:
ad Erinni ed a Moire “insorellata”!
Per natura o per Fato disarmata
docile manufatto a sua insaputa
come s’anche la mente amputata avesse!
Di sé - mutila alquanto e deprezzata -
un alias per noia tesseva inopinato
nelle pieghe del suo ambito privato …
Ed ali  nutriva - cupide di volo -
in preda al capogiro di gemmare
da sé un suo doppio irriducibile:
cheloidi - maschio e femmina – in uno
quali spiriti nel Fato perturbati

V
Tempo del sacro

Agli Aristoi compete – grato nume –
disporre il nodo del sacro col profano
- interrogati gli àuguri - e imporre
ai coadiuvanti sequenze e modi
a norma d’uso consacrato.
“Per le più ambite e molto audaci imprese
l’arduo assenso divino impetrerai
con somma pietas  e con  zelante cura
- la vittima sacrale sull’altare
degna dell’entità dello scongiuro.

 VI
Dedica

Per convenuti segni  - dalle schiere
di pizie importune e di veggenti orbi
di sgradite mogli o di sleali ancelle
d’esecrate etère o d’infanti inermi  -
- tra l’una e l’altra parentesi lunare            
o del  pigro corso generazionale -
nel viluppo segreto e transeunte
dei suoi moltiplicati equivoci –
per oblazione era estratto  un ente  
… pressoché filiale
In qualità d’umano paradosso
era dunque dal padre-re promosso
all’appetito scosso d’un simulacro
ospite d’un nume in auge …

VII

Guiderdone

Immane prezzo e senso della prova
per la vittima segnata “a sé già persa”
nel santo tiaso o nel mistero assurdo
Sciolto in rituali dissimulatori
e assise conviviali il panico sacro
a individuali spasimi intrecciato:
 impetrare la comune buona sorte
 scongiurare imminenti carestie
la colpa e il suo ristoro ripartire
sotto la potestà del dio: per sempre 

VIII

Combinazioni

Forse accadde -  e per più volte accadde -
che una famula di provata devozione
 - con licenza di filiale sbrego – al padre
il pugno infragilito teneramente aprisse
onde allentare i sigilli al sordo tempo
e  accelerare del suo moto la misura :
sì che il gesto uscito uno e individuale
si dispose nella storia a campione generale
e si chiamò  progresso! 

IX

Ricorrenze in asintoto 

Ma ancora e fino a un “sempre” più caduco
l’umano - col de iure insieme - inventa
sue procedure autoassolutorie
e trasmutando dimentica
e  deriva in … replicanti tragiche 
giaculatorie.