domenica 8 marzo 2020

Muoia Covis19 dentro suo ospite vivo! Ma cambiamo passo! di Bianca Mannu


Fare e subire turismo erano fino a ieri destino e virtù condivise quasi globalmente . Virtù economiche(anche molto redditizie, se da scrivanie e non da carrelli, se presso grandi Hotel e meno se presso sbrigativi ed esosi paninari ), virtù sociali, culturali … col pericolo incombente del declassamento logistico … Transenne! Tasse di accesso! Difesa del decoro! Ricordate? Faceva agio la “democrazia turistica”. Unico argine: azionare la ganascia pecuniaria per contenere le orde dei visitatori al risparmio. Ma ora: indietro tutta!.
A guardare il fatturato del turismo (persino sottostimato per interessata omissione)si direbbe fosse  attività primaria. A differenza dei meno stimati settori  produttivi di beni, ci ha lasciato subito alla canna del gas. Senza contare che i suoi imprenditori rivendicano dallo Stato, cioè da noi tutti, un immediato risarcimento pecuniario; non si sa bene se per riconvertirsi o per  continuare l’andazzo precedente appena possibile.  Come se non avessero saputo che questo settore pur appartenendo al settore dei servizi, lo è sui generi s,  e che in date circostanze risulta, come si vede, tranquillamente superfluo rispetto a  necessità di base.
  L’agricoltura (per dirne una) al confronto? La cugina povera e sdrucita, “costretta”(dall’esosa voglia, nel Sud e nelle Isole, di buon rapido profitto quasi “pulito”) a un capitalismo becero e straccione, che spreme gli umani come frutti da macero, ma si fregia di nomi  e luoghi che, apparentemente ripuliti dello schiavismo a cielo aperto, brillano nella classifica degli scaffali.
Ora anche la parola TURISMO si connota in rosso, comunque. È il colabrodo più lasco della pandemia . Adesso, pur praticato con grande cautela, magari  vissuto elaborato e proposto  con stile letterario, non pare più tanto appetibile per i palati grossolani. Lavora per l’eccitazione delle contaminazioni, anche se di genere sottile. Ma già non va più bene, perché si vorrebbero chiudere tutti gli spifferi, anche mentali, come insegnano le mascherine malamente abbrancate per spaventare  i nostri, o le frasi e le “voci dal sen -patriottico -  fuggite”  a riprova di quanto siano spessi  i nuovi apicali copertoni dell’ignoranza  e della volgarità.
Il problema urgente è arginare, circoscrivere, bloccare gli inconsapevoli ospiti del Covis19 perché  - voglia Iddio ! - muoia lui dentro il suo ospite vivo! Intanto non si sa più chi resti rinchiuso e chi rimanga fuori. Il gioco è a chi ride per ultimo sulle rovine altrui e indovinare  in quale religione lo farà. La carità di patria distingue sempre tra il proprio cortile (caro /bello) da quello altrui (Puh!), salvo dover ripassare ogni strame.
Ma la scoperta più sensazionale è che il Turismo, il nostro turismo, il nostro cretinismo petrolifero, decade di colpo; sì, come una moda di poca presa. E, salvo mugugni  da parte dei fissati della libera clandestinità, si sfalda dolorosamente con tutto l’ambaradan  che lo motiva e lo rinfocola, con tutta la messe di spiccioli e stock Exchange! Come cenere. E non resta niente che sia fruibile durante la magra forzosa:  tutto il meccanismo e macchinismo diventa esoso, orpello ridondante.  In realtà si vende(va) meno Tiziano o Canaletto e assai di più cornici d’ogni foggia, da cui “immortalare” la nostra banale presenza  nei luoghi  “in”, acqua alta permettendo o rischio incluso. Si sono venduti a caterve i “c’ero anch’io” in foto per la combriccola dei social, dove si affaccia(va)no e si imbroglia(va)no reciprocamente i patiti delle comparsate di massa ai grandi Eventi.    
Stiamo vivendo e assistendo in prima fila – a qualcuno di noi capita di caderci dentro di brutto - a una congiuntura che taglia di netto  questa forma di economia, la quale cresce(va) parassitariamente sul manufatto già creato e archiviato, bilanciandosi su  quelle alterazioni furbe che alimenta(va)no in ogni persona l’illusione  di poter attingere  alla bellezza  artistica e naturale di ogni luogo e cultura senz’altre mediazioni che l’organizzazione dei mezzi e la  disponibilità del proprio portafogli. Stiamo constatando in questo momento già difficile che la forma più capillare di turismo,  organizzato su scala mondiale e locale con una densità non corrispondente ad alcuna necessità reale, non è affatto la via maestra capace di drenare capitali a favore della conservazione dei beni storico-artistici e naturali nei luoghi in cui si sono manifestati, bensì il modo più lineare rapido e lucroso di corrispondere agli appetiti voyeristici  e consumistici dell’incolto  spettatore con il correlativo imprenditore dell’ospitalità, l’uno e l’altro sbrigativi, mancanti di vera sensibilità conservativa. Volendo davvero espandere la capacità fruitiva delle persone, unitamente ad approfondimenti di natura storico-culturale ed educativa, ci si potrà giovare, invece, e con grandissima efficacia, della rete telematica a costi minimi, per il tempo in cui sarà superata l’attuale crisi sanitaria. Ne trarrà beneficio l’aria di tutti.
Allo stesso modo dovremmo considerare cosa saggia tenere efficiente e disponibile la sanità pubblica, dotarla di strumenti d’avanguardia e di personale altamente impegnato (CNR ) ad affrontare eventi ignoti che la circolazione globale, di uomini merci idee tecnologie e virus,  ci proporranno.  Strategie simili dovranno essere progettate e attuate in campo scolastico a cominciare dalle istituzioni pubbliche dedicate alla maternità e alla prima infanzia, alle scuole secondarie e università, alla condizione carceraria, oggi sottoposta a ulteriori limitazioni nei contatti sociali primari.  L’attuale ricorso frenetico a tamponare i buchi macroscopici del  SSN non dovrà riproporsi in nessun campo  che concerna la vita sociale. Questo dovremmo imparare tutti e disimparare la sciocca idea che il guadagno, maledetto e subito, valga sempre la candela.  
    




                                                                                                                                                 

Muoia Covis19 dentro suo ospite vivo! Ma cambiamo passo! di Bianca Mannu


Fare e subire turismo erano fino a ieri destino e virtù condivise quasi globalmente . Virtù economiche (anche molto redditizie, se da scrivanie e non da carrelli, se presso grandi Hotel e meno se presso sbrigativi ed esosi paninari ), virtù sociali, culturali … col pericolo incombente del declassamento logistico … Transenne! Tasse di accesso! Difesa del decoro! Ricordate? Faceva agio la “democrazia turistica”. Unico argine: azionare la ganascia pecuniaria per contenere le orde dei visitatori al risparmio. Ma ora: indietro tutta!.
A guardare il fatturato del turismo (persino sottostimato per interessata omissione) si direbbe fosse  attività primaria. A differenza dei meno stimati settori  produttivi di beni, ci ha lasciato subito alla canna del gas. Senza contare che i suoi imprenditori rivendicano dallo Stato, cioè da noi tutti, un immediato risarcimento pecuniario; non si sa bene se per riconvertirsi o per  continuare l’andazzo precedente, appena possibile.  Come se non avessero saputo che questo settore pur appartenendo al settore dei servizi, lo è sui generi s,  e che in date circostanze risulta, come si vede, tranquillamente superfluo rispetto a  necessità di base.
  L’agricoltura (per dirne una) al confronto? La cugina povera e sdrucita, “costretta”(dall’esosa voglia, nel Sud e nelle Isole, di buon rapido profitto quasi “pulito”) a un capitalismo becero e straccione, che spreme gli umani come frutti da macero, ma si fregia di nomi  e luoghi che, apparentemente ripuliti dello schiavismo a cielo aperto, brillano nella classifica degli scaffali.
Ora anche la parola TURISMO si connota in rosso, comunque. È il colabrodo più lasco della pandemia . Adesso, pur praticato con grande cautela, magari  vissuto elaborato e proposto  con stile letterario, non pare più tanto appetibile per i palati grossolani. Lavora per l’eccitazione delle contaminazioni, anche se di genere sottile. Ma già non va più bene, perché si vorrebbero chiudere tutti gli spifferi, anche mentali, come insegnano le mascherine malamente abbrancate per spaventare  i nostri, o le frasi e le “voci dal sen -patriottico - fuggite”, a riprova di quanto siano spessi  i nuovi apicali copertoni dell’ignoranza  e della volgarità.
Il problema urgente è arginare, circoscrivere, bloccare gli inconsapevoli ospiti del Covis19 perché  - voglia Iddio ! - muoia lui dentro il suo ospite vivo! Intanto non si sa più chi resti rinchiuso e chi rimanga fuori. Il gioco è a chi ride per ultimo sulle rovine altrui e indovinare in quale religione lo farà. La carità di patria distingue sempre tra il proprio cortile (caro /bello) da quello altrui (Puh!), salvo dover ripassare ogni strame.
Ma la scoperta più sensazionale è che il Turismo, il nostro turismo, il nostro cretinismo petrolifero, decade di colpo; sì, come una moda di poca presa. E, salvo mugugni  da parte dei fissati della libera clandestinità, si sfalda dolorosamente con tutto l’ambaradan  che lo motiva e lo rinfocola, con tutta la messe di spiccioli e stock Exchange! Come cenere. E non resta niente che sia fruibile durante la magra forzosa:  tutto il meccanismo e macchinismo diventa esoso, orpello ridondante.  In realtà si vende(va) meno Tiziano o Canaletto e assai di più cornici d’ogni foggia, da cui “immortalare” la nostra banale presenza  nei luoghi  “in”, acqua alta permettendo o rischio incluso. Si sono venduti a caterve i “c’ero anch’io” in foto per la combriccola dei social, dove si affaccia(va)no e si imbroglia(va)no reciprocamente i patiti delle comparsate di massa ai grandi Eventi.    
Stiamo vivendo e assistendo in prima fila – a qualcuno di noi capita di caderci dentro di brutto - a una congiuntura che taglia di netto  questa forma di economia, la quale cresce(va) parassitariamente sul manufatto già creato e archiviato, bilanciandosi su  quelle alterazioni furbe che alimenta(va)no in ogni persona l’illusione  di poter attingere  alla bellezza  artistica e naturale di ogni luogo e cultura senz’altre mediazioni che l’organizzazione dei mezzi e la  disponibilità del proprio portafogli. Stiamo constatando in questo momento già difficile che la forma più capillare di turismo,  organizzato su scala mondiale e locale con una densità non corrispondente ad alcuna necessità reale, non è affatto la via maestra capace di drenare capitali a favore della conservazione dei beni storico-artistici e naturali nei luoghi in cui si sono manifestati, bensì il modo più lineare rapido e lucroso di corrispondere agli appetiti voyeristici  e consumistici dell’incolto  spettatore con il correlativo imprenditore dell’ospitalità, l’uno e l’altro sbrigativi, mancanti di vera sensibilità conservativa. Volendo davvero espandere la capacità fruitiva delle persone, unitamente ad approfondimenti di natura storico-culturale ed educativa, ci si potrà giovare, invece, e con grandissima efficacia, della rete telematica a costi minimi, per il tempo in cui sarà superata l’attuale crisi sanitaria. Ne trarrà beneficio l’aria di tutti.
Allo stesso modo dovremmo considerare cosa saggia tenere efficiente e disponibile la sanità pubblica, dotarla di strumenti d’avanguardia e di personale altamente impegnato (CNR ) ad affrontare eventi ignoti che la circolazione globale, di uomini merci idee tecnologie e virus,  ci proporranno.  Strategie simili dovranno essere progettate e attuate in campo scolastico a cominciare dalle istituzioni pubbliche dedicate alla maternità e alla prima infanzia, alle scuole secondarie e università, alla condizione carceraria, oggi sottoposta a ulteriori limitazioni nei contatti sociali primari.  L’attuale ricorso frenetico a tamponare i buchi macroscopici del  SSN non dovrà riproporsi in nessun campo  che concerna la vita sociale. Questo dovremmo imparare tutti e disimparare la sciocca idea che il guadagno, maledetto e subito, valga sempre la candela.  
    




                                                                                                                                                 

venerdì 31 gennaio 2020

Colonna infame- tandem logudorese-italiano - A. Altana e B. Mannu

Culunna infame – testu in versos de Bianca
Mannu. Bortada in logudoresu dae antoni altana.


A s’intender e a si ritenner chepare in totu e pro totu a sos disgrasciados chi pernotant suta su culunnadu de Bernini.
So istada e so ebbia prus fortunada pro aer
subra sa conca una cobertura infinidamente pru umile, ma prus riservada, frutu de unu trabagliu
modestu, non bene pagadu ma chi no at connotu arressas noghentes.
Isco de s’impignu de su paba e de sos pìscamos suos cullaboradores. In totu cussu mi benit difìtzile suportare custa realidade chi chena chi si potat alciare unu pòddighe o faeddare in càusa unu o prus responsabiles, zènerat miliones e miliones de mìndigos, comente chi bi siat in natura unu mecanismu perversu. Mecanismu sì, ma terrorosamente umanu e chin cunsighentzias gai oceànicas de non poder istrinare isperàntzias de risulta, a parte chi su mundu mantessi non si fatat capatze de afrontare cun eficèntzia e positivamente su problema.
intendende∙mi unu bobboi rispetu a cussu intendo comente de esser mia sa pedde de sos poberitos, e forsis in parte mios sos issoros sentidos. Naro cantu sighit pro ammentare comente isteint ispropriadas tzertas pobulassiones de tzentru Europa e sòtzios umanos ideologicamente connotados comente e istranzos perigulosos, ma bolto sa memòria a custu presente fastizosu ispajadu in su mudore o in una visibilidade de cumbeniu.

Culunna infame

Umbras de indigna ispulpuzada,
nos distruimus – ispartos -
a faccia in terra –
che cando custa cara
siat murru e raunzet…
…e tzertu arranzat
tra dentes arrabidas – in odiu
e incunfessabile birgonza.

E atopare
riflessos in disgustu
de sa zente bonaria
fàmine nos ispronat
e animu caninu
coglidu in tirighinu

cogher de infamia
e cumpensare
cun paghe curtza
de istogomo
s’atzumbu oscenu
de sas diferentzias.

Benit mancu dae nois
S’insigna de s’umanu
Comente beste
Chi s’iscosit
Subra sa pedde

Su fritu nos ch’at a catzare
Dae logos
Illuinados a die
Frecuentados
Dae cussos chi s’isciucant
Dae cussos chi drommint
In sos letos
Nos at a ispingher a nos mujare
in sepulcros ismentigados
rasentende sos oros
de sos burgos.

Amus a passare solos s’istiu
che canes abbandonados
dae sos vacantzeris
serente a sos buddidos isalenadores
de sos tumbinos
e amus a furare s’abba
a sas funtanas

At a tremer de orrore
E de fatzile consolu
Su fiotu de sos turistas
isfiorende inghirios de s’umbra
chi nos apietat
in crosta impestada
a guastare
sa cara irrispetosa

de sa die.

Colonna infame - testo in versi di Bianca Mannu - inedito

Sentirsi e ritenersi simile in tutto e per tutto agli sfortunati che pernottano sotto lo splendido colonnato del Bernini.
Sono stata e sono solo più fortunata per avere sulla testa un tetto infinitamente più umile, ma più riservato, frutto di un lavoro modesto, non ben remunerato, ma che non ha conosciuto interruzioni nocive.
So dell'impegno del Papa e dei suoi vescovi collaboratori. Tuttavia mi riesce difficile sopportare questa realtà che, senza che si possa elevare un dito o chiamare in causa uno o più responsabili, genera milioni e milioni di poveri, come se ci fosse in natura un meccanismo perverso. Meccanismo, sì, ma orribilmente umano e con conseguenze così oceaniche da non poter offrire speranze di risoluzione, a meno che il mondo stesso non si faccia capace di affrontare efficacemente e positivamente il PROBLEMA.
Sentendomi insetto di fronte ad esso, sento un po' come mia la pelle dei poveri e degli impoveriti, e forse in parte miei i loro sentimenti. Dico quanto segue per ricordare come furono espropriate alcune popolazioni centro europee e gruppi umani ideologicamente connotati come alieni e pericolosi, ma rivolgo la memoria a questo presente fastidioso ricacciato nel silenzio o in una visibilità di comodo.

Colonna infame

Ombre di lacerti indegni
ci struggiamo - sparsi –
col grugno basso-
come se faccia
fosse muso e ringhiasse …
… e certo digrigna -
tra cattivi denti - odio
e inconfessabile vergogna.

A incrociarci
riflessi nel disgusto
della gente perbene
c’incalza la fame
e l’animo canino
rimediato nei vicoli

Cuocere d’infamia
è compensare
con la breve pace
dello stomaco
l’ urto osceno
delle differenze

Scema da noi
l’insegna dell’umano
come abito
che si disfi
sulla pelle

Il freddo ci caccerà
dai luoghi
illuminati a giorno
frequentati
da quelli che si lavano
da quelli che dormono
sui letti
Ci spingerà a rannicchiarci
negli ipogei dimenticati
rasentando i cigli
dei suburbi

Estiveremo solitari
come i cani abbandonati
dai vacanzieri
accanto agli sfiati torridi
dei tombini
e ruberemo l’acqua
alle fontane

Tremerà d’orrore
e di facile consolazione
la comitiva dei turisti
sfiorando la cresta d’ombra
che ci raggruma
in crosta infetta
a deturpare
la faccia irriverente

del giorno.

domenica 26 gennaio 2020

verbi e di verbi

Colonna infame - testo in versi di Bianca Mannu - inedito

Sentirsi e ritenersi simile in tutto e per tutto agli sfortunati che pernottano sotto lo splendido colonnato del Bernini.
Sono stata e sono solo più fortunata per avere sulla testa un tetto infinitamente più umile, ma più riservato, frutto di un lavoro modesto, non ben remunerato, ma che non ha conosciuto interruzioni nocive.
So dell'impegno del Papa e dei suoi vescovi collaboratori. Tuttavia mi riesce difficile sopportare questa realtà che, senza che si possa elevare un dito o chiamare in causa uno o più responsabili, genera milioni e milioni di poveri, come se ci fosse in natura un meccanismo perverso. Meccanismo, sì, ma orribilmente umano e con conseguenze così oceaniche da non poter offrire speranze di risoluzione, a meno che il mondo stesso non si faccia capace di affrontare efficacemente e positivamente il PROBLEMA.
Sentendomi insetto di fronte ad esso, sento un po' come mia la pelle dei poveri e degli impoveriti, e forse in parte miei i loro sentimenti. Dico quanto segue per ricordare come furono espropriate alcune popolazioni centro europee e gruppi umani ideologicamente connotati come alieni e pericolosi, ma rivolgo la memoria a questo presente fastidioso ricacciato nel silenzio o in una visibilità di comodo.

Colonna infame

Ombre di lacerti indegni
ci struggiamo - sparsi –
col grugno basso-
come se faccia
fosse  muso e ringhiasse …
… e certo digrigna -
tra cattivi denti - odio
e inconfessabile vergogna.

A incrociarci
riflessi nel disgusto
della gente perbene
c’incalza la fame
e l’animo canino
rimediato nei vicoli

Cuocere d’infamia
è compensare
con la breve pace
dello stomaco
l’ urto osceno
delle differenze

Scema da noi
l’insegna dell’umano
come abito
che si disfi
sulla pelle
 
Il freddo ci caccerà
dai luoghi
illuminati a giorno 
frequentati
da quelli che si lavano
da quelli che dormono
sui letti
Ci spingerà a  rannicchiarci
negli ipogei dimenticati    
rasentando i cigli
dei suburbi

Estiveremo  solitari
come i cani abbandonati
dai vacanzieri
accanto agli sfiati torridi
dei tombini
e ruberemo l’acqua
alle fontane

Tremerà d’orrore
e di facile consolazione
la comitiva dei turisti
sfiorando la cresta d’ombra
che ci raggruma
in crosta infetta
a deturpare
la faccia irriverente

del giorno.

 

venerdì 17 gennaio 2020

Pagine letterarie: Rosso

Pagine letterarie: Rosso: Eventi che cambiano il colore delle giornate: la strada difficile da percorrere di Bianca Mannu Arrossarono i giorni le bandier...

sabato 30 novembre 2019

biancamannu42@gmail.com



Tempesta - Poesia di Eugenio Montale

Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo;
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba d’ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!


Noticina – Preziosa come un vaticinio, gelida e tagliente
come una gemma di cristallo. La dedico a me e a tutti gli  Italiani, alacremente impegnati con il fango.
E al sole, che li sbeffeggia dal cielo e dall’acqua  in turbamento, oppongono sonnambuli  la fiamma del pollice acceso sulla fede di
abitare il bel paese.

giovedì 28 novembre 2019

Tempesta - Poesia di Eugenio Montale




 Con un suono di corno
il vento arrivò, scosse l’erba;
un verde brivido diaccio
così sinistro passò nel caldo
che sbarrammo le porte e le finestre
quasi entrasse uno spettro di smeraldo;
e fu certo l’elettrico
segnale del Giudizio.
Una bizzarra turba d’ansimanti
alberi, siepi alla deriva
e case in fuga nei fiumi
è ciò che videro i vivi.
Tocchi del campanile desolato
mulinavano le ultime nuove.
Quanto può giungere,
quanto può andarsene,
in un mondo che non si muove!




Noticina – Preziosa come un vaticinio, gelida e tagliente come una gemma di cristallo. La dedico a me e a tutti gli  Italiani, alacremente impegnati con il fango. E al sole, che li sbeffeggia dal cielo e dall’acqua  in turbamento, oppongono sonnambuli  la fiamma del pollice acceso sulla fede di abitare il bel paese. Eugenio Montale era ligure!







domenica 20 ottobre 2019

Vecchiaia - da Quot dies di Bianca Mannu


VECCHIAIA

Sgranando i suoi dinieghi la vita
sgocciola l’oscenità del suo fondo
Nel lucido rigore che sovverte
impietoso le più mendaci speranze
la disubbidienza irriducibile del corpo
sbeffeggia un “voglio” superstite
nel vacillante tragitto tra muri
e maniglie …
E partorisce il disgusto
del supremo recesso esperito
nell’azzardo mattutino sino al sofà
per leggere
ancora il tempo del niente
sulla rugiada dell’erba.

Nota - La vecchiaia: soggetto di elusione e di pronunciata mistificazione nella società contemporanea. Testo scritto nella penultima decade del secolo scorso, lo dedicavo mentalmente alla fase declinante della vita di mio padre, con quanto di doloroso comportava. Ora sta per dire di me e di quanti, espunti dalla vita produttiva e dalla vita di relazione, "aspettano Godot". 

lunedì 23 settembre 2019

Fabulazioni - da Tra fori di senso - poesia - di Bianca Mannu


Come di passi una fuga
lungo androni
di niente
sdrucciolano fabulazioni -
senza memoria
di senso -
s’affrettano  verso
fine e fini-
occlusi oppure
no -
indefinibili
forse -
fradice di razionali
forme
e forre
e fori
casualmente fuse
in croci
di ramaglie conturbate
da estasi
selvagge
sotto croste di licheni
ispessite
di stanca vecchiezza
esauste
sorde
ai richiami dei venti
singhiozzanti
nell’asmatico flusso
delle antiche lune
affogate nei pozzi
o assiderate
nella brina
che martirizza i germogli

Noticina - Il testo non è recente, ma lì ritorno per l'afflizione del troppo dire fuori dal senso.  Tuttavia la parola, con senso o senza senso, è condizione di esistenza umana. Ringrazio Wrog, laboratorio politico e zona freestyle per i suoi interessanti articoli su scrittura e temi letterari. mi sono permessa di usare l'immagine qua sopra, che trovo bellissima e... parlante! (BM) 



domenica 4 agosto 2019

Étranges étrangeres = Strani stranieri - poesia di Jacques Prévert








Strani stranieri

Cabili de la Chapelle e dei lungofiumi di Javel
Uomini di paesi lontani
Cavie delle colonie
Dolci piccoli musicanti
Soli adolescenti di porta Italia
Bohémiens di porte Saint-Ouen
Apolidi d’Aubervilliers
inceneritori della grande immondizia della città di Parigi
sbollenta tori delle bestie trovate morte in piedi
nel bel mezzo delle strade
Tunisini di Grenelle
Reclutati debosciati
Manovali disoccupati
Polacchi del Marais di Temple di Rosiers

Ciabattini di Cordova carbonai di Barcellona
pescatori delle Baleari oppure del Finisterre
scampati da Franco
e  deportati di Francia e di Navarra
per avere difeso in ricordo della vostra
la libertà degli altri

Schiavi neri di Fréjus
tormentati ed ammucchiati
ai bordi di un piccolo mare
dove poco vi bagnate

Schiavi neri di Fréjus
che ogni sera evocate
nei locali disciplinari
con una vecchia scatola di sigari
e qualche pezzo di fil di ferro
tutti gli echi dei vostri villaggi
tutti gli uccelli delle vostre foreste
e venite nella capitale
solo per festeggiare a passo cadenzato
la presa della Bastiglia il quattordici luglio

Ragazzi del Senegal
esiliati espatriati e naturalizzati

Ragazzi indocinesi
giocolieri dai coltelli innocenti
che vendevate un tempo ai tavolini fuori dei caffè
graziosi dragoni d’oro fatti di carta piegata

Ragazzi troppo presto cresciuti e così in fretta andati
che dormite oggi di ritorno al paese
col  viso nella terra
e con bombe incendiarie che arano le vostre risaie

Vi è stata restituita
la moneta delle vostre carte dorate
vi sono stati resi
i vostri piccoli coltelli nella schiena

Strani stranieri

Appartenete alla città
appartenete alla sua vita
anche se ci vivete male
anche se morite.


Nota  di B. Mannu
Autore poliedrico del Ventesimo, Prévert fu molto popolare in Italia, più per i suoi film che per i suoi scritti. La sua produzione poetica, imparentata alla fotografia e alla cinematografia, fu  considerata di stampo realistico e affine al neorealismo italiano, allora in auge da noi.
Lasciamo ai critici le collocazioni e i limiti nel parterre storico letterario. La sua fama attuale sembra riguardare principalmente le poesie d’amore, testi d’impatto immediato, canzoni senza tempo. Quando, come da noi, tutto vacilla e promette buriane, l’amore, sia pure letterario, è un ideale ombrello di fuga e di sognante asilo. Specialmente in tempi come il nostro che d’«amor sui» e peste ad altrui si fa gridata professione per voce sola e corali.
Invece rileggendo di Prévert certi testi poetici e realistici, che chiamerei impegnati, trovo intera la forza incisiva, ancora parlante. Oltre un secolo di storia, di migrazioni e di immigrati concentrata in questi versi. E mi domando: è Prévert  che ha scavalcato il suo giorno o il suo giorno sta sopra noi e dura a tramontare? In ogni caso lui è grande ed è presente al giorno, noi piccoli siamo un po’ anche morti.

  

giovedì 27 giugno 2019

De sos poetas e de su poetare - di Antonio Altana

Noticina - Trascrivo la secca presentazione di Antonio Altana per i Sardofoni e specialmente per gli innamorati del sardo-logudorese: "Una noa prella de Bianca Mannu Torrada in logudoresu.
È la gemella, per dir così, di quella del post precedente. Come non compiacersi!?


De sos poetas e de su poetare

Zentamine de “eo” sun sos poetas
zente isparta e pèrdida continu
intro de aposentos a pisinu
in mare de pabiros e retzetas
tra sas intragnas de telecanales
imbarcados tra remos e tra velas
o subra parastazos lamentelas
de giojas e anneos virtuales.
Apostorzados in antologîas
che pumatas restadas in sas manos
o in pischeddos de sos ortulanos
resende contos in burgadas ghias
de eddias, caldanas e dolores
de tocasanas cun ervas e chimas
resadas cun sos dicios o cun rimas
o poesia in fumu chena ardores
ch’atraessant sos versos tessidores
cun nuscu lebiu… de lanzas madias.
Zentamine de “eo” sun sos poetas
e onz’unu solu - pro costitussione –
Intro buscica de su Sé ch’impone
Curende ninfas pro notas perfetas
E orchidare in ervas ois e tuncios
cun ramuzos in padru leterariu
ue cosmu grascia, e feu umanitariu
ispuntant in sos pasculos furuncios.
Custos imbarzos dulches de surzire
cun aundadas de licos enzimas
de disizos e de avilimentu
in modu chi su se nadu retentu
leet de deus sas prus altas chimas
e pro modestia, su “deo” bestire
Mancari cun metafora carrale
De su verbu aldiante
Cale siat un’oju universale.
Unu “eo” – usuale a sos poetas –
chi bidet giaras sas cosas atesu
e sensos dae libros at ispresu
cun meda coro e passiones netas
poi pranghent s’esser solu islacanadu
cun sos amores in bida torrados
e un’astiu ferale rinnegadu.
Ispiant cussu “tue” chi in issos mancant
e cando no impitadu
che iscrannu abbratzadu
in chilciu de lugherra lebiu tancant.
E sa poeta! Apoi osservassiones
e pianghida onzi movida de coro!
poi de meda declarare issoro
de tocasanas pro sas passiones…
e onzi solitu visciu cunclamadu
pro cantu regulare l’at ammissu
apende faladorzas traessadu
e pro d’nz’unu disanimu fissu
isparghet a modellu universale
compudu cun medida catastale…
poi d’aer pintu frisos iscuridos –
in longu e largu e fintzas de traessu –
sos mazores ispantos coloridos –
regoglidos a fortza in donzi essu
de su “eo” poeticu cumbessu
in s’arcana natura remonidos
e in sas supesadas de cussentzia
chi litzitu isciarit sa parfentzia
de su proite asie no frecuente
reguardu a cussu “eo” esistentziale
de poeta ch’isbotat de repente
puru in antipoeticu sinzale -
e in parte bonucoro o sindigale
de cussu nois prus pagu aparente –
chena su cale bene non bi campat
perune – ma est neune si li mancat?

giovedì 20 giugno 2019

Dei poeti e del poetare da "Tra fori di senso" di Bianca Mannu

Dei poeti e del poetare



Una folla di io sono i poeti.
Una folla sparsa e persa
dentro chiuse stanze
su spianate di carte
su telecanali
a bordo di velieri
nominali
di virtuali scaffali di doleances
di minimali gioie
di virtuose paranoie.

Assiepati stanno nelle antologie
come invenduti pomi
nelle ceste dei fruttaioli
di periferia
scandendo stagioni
scoprendo meteopatie verbali
proponendo meteo terapie
in rima e in libera caduta.
Ivi la poesia – un fumo
o forse meno – traversa i versi
con un vago sentore … di scansia.

Una folla di io sono i poeti.
Ciascuno è solo - per costituzione -
dentro  la vescica del suo Sé
a gestire il demone del canto
a grufolare tra l’erba delle parole/pianto
a ruminare sulle pampas letterarie
dove Natura Bella
e umanità meschine
fioriscono in pascolo ferace.

Questi gli alimenti da metabolizzare
con i fluenti enzimi
del desiderio e della frustrazione
di modo che il Sé - nato piccino -
prenda statura da Dio
e per modestia
prenda nome di io
magari sottinteso nella persona
del verbo contemplante
che funge da occhio universale.

Un io – quello dei poeti –
dallo sguardo ipermetrope
e molti libreschi sensi
molto cuore e altri
debordanti sentimenti.
E piangono i poeti
la loro sublime solitudine
i loro oltretombali amori
i loro feroci e denegati odi.

Spiano quel tu che a loro manca.
E –  quando non usabile
a guisa sgabello –
lo stringono –  in effigie –
nel cerchio
della loro flebile lucerna.

Il/la poeta! Dopo aver
sperimentato e pianto
ogni specie – consentita! –
di emozione …
Dopo molte dichiarate
antalgiche passioni
e ogni conclamata smania -
regolamentare! –
avendo percorso clivi
di personale scoramento
e averli estesi a modelli universali
di catasto e di visura …

Dopo aver dipinto in fregi neri -
Chiudere fuori un problema è restare prigionieri del proprio pregiudizio.
Un poeta è niente, se resta sordo ai triboli dei suoi simili.
per lungo per largo e per traverso -
le più colorate sensazioni –
raccolte in forza
della specifica   entratura
dell’Io poetico
nei misteri della Natura
e nell’ascesi della Psiché -
lecito è domandarsi

“Ma perché
risulta così inusuale
che l’Ego esistenziale
del Poeta
si scopra  e si dichiari –
magari in forma antipoetica -
parcella solidale e sindacante
di quel noi meno formale –
senza di cui bene ci campa
alcuna gente -
ma senza di cui si è … niente?”