Visualizzazione post con etichetta Poesia. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Poesia. Mostra tutti i post

giovedì 18 ottobre 2018

Niente! - inedita di Bianca Mannu


Niente!
 
La mia notte dimentica del giorno
mi scioglie dalla vita
mi emancipa in un niente …
beota

Crepitii d’ossa – la cieca rivolta
del corpo alla ruggine dei giunti –
mi scaraventano intera
in un grigiore d’alba

Niente da ricordare
che fosse moto o  fissità
o spessore o indizio
di speranza: notturno d’assenze …

Così morta che il sogno – un segno
dell’umano o simbolo di senso -
non pare aver più germe
o asilo  in questa plaga

E nulla – proprio più nulla
dalla trista consecutio - come appiglio
o guado o qualsivoglia seme di salute
sporge all’irto giorno


Irto della sua vuota luce
si fa del disumanare cosmo:
uomini-criceto in corsa per la dose
dentro un labirinto che
inghiotte la voglia di domande.


Noticina - Non è "M'illumino  d'immenso", ma è tuttavia ciò che ho potuto formulare a Ermes durante la sua ultima visita. Perfida come sono, ho studiato il modo di manifestargli ciò che il mio vecchio sguardo spicca nel tramonto del giorno.(b. m.)
 


domenica 7 ottobre 2018

Tracce - da TRA FORI DI SENSO - versi di Bianca Mannu



Nota - La condizione Kafkiana - l'essere spinti ai margini o fuori dall'umano senza colpe e senza averlo scelto... Essere e sentirsi tabù rispetto al gruppo familiare o sociale.
"Sorvegliare e punire"(sto citando il titolo di un'opera di M. Foucault)  è un'attività storico-sociale che instaura pratiche per corrispondere - si dice - a un bisogno di protezione collettiva. Ma  finisce per costruire grate e catene anche, e sopra tutto, nel nostro spirito. Grate e catene più rigide e compatte del ferro, fatte di genere sessuale, di pelle, di ruoli sociali imposti e contemporaneamente sprezzati e segregati ... 
E perciò conosciamo paura, infelicità, aggressività che monta silenziosa dentro di noi.
Ho introdotto un mio neologismo: ingusciare, ingusciarsi= rientrare nel guscio.(B. M.)




Tracce

Un grumo di gelatina- un proteo
forse?-
attaccato alla falda smagrita della notte -
che s’inguscia
come un ladro colto di sorpresa
nelle asole del suolo -
scivola
verso il crinale cadaverico dell’alba


Un quasi me raccolto a pugno
sull’orlo dell’abisso
tutto da vivere – anche oggi -
con le ciglia secche

Quando la luce -
il sole abita un universo alieno -
oscilla tremando

… Quando la luce avrà  dissolto
l’insano indugio del sonno
la mia diurna voglia di morte
s’arrampicherà
fino alla coscienza
per biascicare le sue tracce
su un foglio -
come bava d’insetto
o di lumaca.


giovedì 3 maggio 2018

SENZA FONDAMENTO - Inedita di Bianca Mannu

Sulla forca del dubbio 
-che non mi salva e non mi assolve -
 la mia vita di carne
 il mio cuore di foglia
sono tuttora appesi
quasi che per destino
aria e vento
mi siano muri e pavimento
e il grembo e il seno – caldi - (perduto asilo
 provvisorio a filo di frontiera e mitico alimento) –
siano oggetti per il sogno
e il perenne ontologico scontento.
Non mi rassicura né mi spegne di netto  
quel sole - duplicato come vero
sul display della corteccia cerebrale -
che pende in senso ortogonale
sul manufatto del Fabbricante cieco
(discrimine oggettuale arcionato sull’assurdo)
vademecum “par provision y por necesidad”
in ordinari sopralluoghi e disamine insicure …

O mia povera anima analfabeta e credula
tutta contratta dal peso dei timori
sul fondo più opaco – più disprezzato e osceno!-
del mio scurissimo sfintere
sentenzioso oracolo di salute corporale
e inverecondo sintomo di tabe irrimediabile!   
  
Il pendere reale da un rampino virtuale
ratifica l’immanenza della dissoluzione
che certo mi risolve (fatale presente indicativo!)…
… in un culo di tempo mi risolve

me in un luogo apatico dissolve
in cui “la vita” (rappresentata in verbis)
per  decisione autogena
mi separa da sé
vel si divide da me
senza possibilità di
 reciproco rimpianto.   

venerdì 13 aprile 2018

PRIMA DELLA NOTTE - inedita di Bianca Mannu













         Prima della notte

Nuda d’ogni presagio
come dei panni al bagno
scivolo
sul tuo enigma
chiuso dentro una tastiera
che
mi torna e non mi torna
familiare.
Apre
ai tocchi
della mia mite indiscrezione
i solchi del respiro
quasi una luce
che si spanda e fugga
lasciandosi dietro
col sentore del gusto
la crisi dell’assenza
a patire in me per questo mare
che
di sé m’intride e m’avvelena
a prilli d’indicibile.
Se
 l’ebbrezza che asseconda il moto
deciderà
l’impatto come incontro
-né si sa chi con chi-
sopra il ciglio dell’onda
dentro l’occhio dell’istante
saremo forse
una
prima della notte.
 


Noticina- Luna e spini è una foto di un mio dipinto (acrilico su cartoncino nero) donato a mia sorella, Bruna che non c'è più. 

mercoledì 7 marzo 2018

Le accadde - poesia inedita di Bianca mannu

Oggi, otto marzo. Più che una festa, un modo per dire a noi stesse che ci siamo e contiamo, vogliamo contare, vogliamo decidere, vogliamo essere soggetti non assoggettati.
Qualcosa di tremendo è successo contro di noi e con la nostra complicità: ci hanno modellato per fini su cui non siamo state interpellate, che abbiamo accettato come un marchio a fuoco che era e ancora è
dentro di noi come senso acquisito pressoché indiscutibile, perché rinforzato dai sistemi storico sociali e innervato come psicologia di genere.
La violenza privata e fuori scena è solo l'emersione conclamata e resa visibile da alcune conquiste giuridiche raggiunte con difficoltà e sempre sull'orlo di essere ridotte o denegate anche e sopra tutto  con la complicità della nostra funzione vicaria: assumere e compiere i ruoli di feroci guardiane  della tradizione, il cui dettato è patriarcale e sistemico. Esso ci ha dimensionato e inscritto come genere subalterno anche nel nostro inconscio. La nostra auto percezione assomiglia molto alla sindrome di Stoccolma, cioè all'amore subalterno e sadico-masochistico  che lega la vittima ai suoi persecutori, con quell'effetto di ritorno per cui l'ordine maschile patriarcale trae legittimazione e autoreferenzialità dalla subalternità  dei vittimizzati.
A chi ha curiosità di leggere dedico questa composizione che vuole stimolare qualche riflessione. (B.M.)




Le accadde       


Di  scivolare le accadde -
dal ciglio aperto incauta
al giorno …  di  scivolare
ruzzando come per gioco
dal riso della melagrana
nel cosmo cifrato dell’Altro  
E ivi - sorbita in un sonno di gemma 
l’ebbrezza dei cembali –
svegliarsi alterata
in ignoto mattino

Così la già imberbe da sempre
con intento di ladra fidente
il suo ingresso pagava
fingendosi mutila
nel munito universo
del demiurgo sovrano
creduto di genio celeste

Là su coste e bastioni erano
rune dorate e trionfi di roccia
ad annuire alla ratio  
di barbe rituali e di verghe
brandite a secondare il sapere
assestato sull’orma negata
dell’antico sciamano
Con sibili d’erbe e  fole di vento
il volere regale del  Padre
era sceso nei generanti
e per bocca di madri s’alzava
dall’ancestrale segreto
per sempre sui nati:
doversi il calore attenuare del sole
dentro l’oikia di fango
e farsi dell’ombra accorta estensione
sulla pupilla allungata
a bagnar di domande -
femminea! - le cose vietate

Dalle stanze opache dell’Orco
ai propilei ariosi d’Olimpo
alitando col passo il suo peplo
discende alla schietta loquela
di carde e telai per ordire
come schiava come Pitia e padrona
Col dorso nel vento
 sul lido di calce nei guazzi
alla roggia ancora amministra
con ruvide essenze il candeggio:
perché  tutta sia liscia
sia dolce sia buona sia vera
per l‘uomo sul talamo
la solita sera

Issato/abissato  il sole
più di quanti astri
si struggano nei cieli
impunemente - di te
poche ha cincischiato postille
la sua illetterata cadenza  
come per ignobile erba
e di tuoi frutti plebei
in quanto “semi imperfetti”
nemmeno ha tenuto
 conteggio

Dal pugno sublime del Padre
il Tempo declina/dipana  -
fu detto e non si desiste
Al Padre ancora s’avvolge
e  rivolge squisiti alfabeti  - 
come da specchio interposto
a figura  che divino decreto
esige si pavoneggi …
E forse un’ombra soltanto
accenna di te - se fosti al dio cara
se col lutto affliggesti il tuo re
se d’empietà moristi pentita
o se propiziasti immolata
alla tua pugnace genia
l’universo trionfo
della sua liturgia

venerdì 26 gennaio 2018

Non avrò atteso invano / No ap’aer isetadu debadas" da Giuseppa Sicura e Antonio Altana

Nota - Ecco un nuovo e generoso gradimento di Antonio Altana nei confronti  di una poesia di Giuseppa Sicura, un'altra dei quattro autori di Sulla gobba del tempo.
Scrive Altana : "Poesia de Giuseppa Sicura: "No ap’aer isetadu debadas" - torrada in logudoresu dae su libru "Sulla gobba del tempo".
Il verso libero - con cui l'io poetante di G. Sicura intende allungare l'ultima sua boccata d'aria nella 
determinazione di godere, sia pure per qualche attimo, della propria emancipazione dall'imposta e sistemica schiavitù femminile - diviene incalzante cantata nel  logudorese di A. Altana, che, per via delle quartine a rime baciate alternate e incatenate, trasuda ironia sardonica. (B. M.)






Non avrò atteso invano

Non avrò atteso invano
se una boccata d’aria avrò ancora
da ingoiare

lentamente la sorbirò
per allungare l’ultimo respiro
quando leggera
come foglia ingiallita
mi staccherò dal ramo
(mia vita … mia prigione)
e planerò
in assenza di vento
con una danza
quieta
sull’umida terra
finalmente “io”
donna
col sangue libero nelle vene
per un istante
sentirò solo
il fruscio del volo
senza rumore di catene.

No ap’aer isetadu debadas
Non tedesser chi t’isetei debadas
si ariosu mossu a ingullidas
surzei e surzo como a pibinidas
pro illongare custas respiradas.

Cando lizera che foza ingroghida
ap’a istacare dae cussas naes
(sa bida chi fit mia… prejone estida)
Pro mi pasare che pumas de aes

chin una dassa a movidas lenas
subra s’umidu letu de sa trata
ue afines so deo fèmina fata
cun sàmben incubadu intro sas venas.

Pro un’atimu bivo de consolu
Intendende che cantos de sirenas
e in su frusciare de s’ultimu bolu
mi godo s’armonia chena cadenas

venerdì 19 gennaio 2018

Messaggio dal poi / Missiva dae su poi Bianca Mannu e Antonio Altana

Nota - Pubblico qui una nuova tappa dell'incontro letterario Mannu-Altana. Il testo della poesia
«Messaggio dal poi» è pubblicato in Sulla gobba del tempo che racchiude anche le opere poetiche di M.T. Biggio, di Giuseppa Sicura e di Carlo Onnis.
Antonio Altana ha voluto tradurre in idioma sardo-logudorese il testo incipitario della sezione del libro a me riservata. Ma chiamarla traduzione mi sembra riduttivo per via della potenza creativa e della singolarità stilistica di Altana, che ringrazio per l'onore. Egli si esprime così e traduco letteralmente:"Rubata e volta in logudorese da «Sulla gobba del tempo», il nuovo libro..." erroneamente attribuito a me soltanto.  Mi scuso con Antonio e i suoi lettori per aver
allineato sulla destra, invece che sulla sinistra. Ritengo che nulla vada perduto e che anzi risulti più evidente la preziosa cadenza delle rime.(B.M.)


Messaggio dal poi

Era l’annuncio d’un prodigio
Era cominciato
col sole che salutava alto
la stagione
Era cominciato  sulla soglia disuguale
dell’istante irrefutabile
che primo s’insediò  - come ci fosse nato -
nella forza motrice d’un vivente
sparata dentro lo sciame nebuloso d’evenienze

Senza disegno - che non fosse quel suo prodursi
inarrestabile e cieco – era/è sapiente cecità -
quella che vive spegnendosi
sull’imposta cronologia
del tempo

Così: - E' stato – dici

E quel sole
- che incendiò l'istante perso
e ne chiamò in presenza e in coda
forse mille di mille
in forma di elettroni -
splende spettrale
nel cielo nominale
del teorema volto a ritroso
che - nel parlare -
del morto tempo dice
« Adesso »

Missiva dae su poi

Isteit un’imbasciada
de un’ispantu raru
comintzadu de botu a sole altu
cando gia comintzada
s’istajone che faru
in sa pedriscia de divessu ismaltu
chi coglidu s’istante
si bi setzeit pesante
coment’aperet de nàschid’apaltu
e cun motu fortzadu
 isparadu in sas nèulas de su fadu.

Chena mancu dissignu
chi no esseret brotu
de se mantessi tzegu si ch’iscudet
 forsis sàbiu e dignu
 bivende mal’annotu
e in giannile de tempus ch’istudet
sas annales improntas.
Asie isteit; mi contas:
 Est cussu sole chi s’istante mudat
e allutu lu perdeit
e a conca e coa àteros giameit
 forsis cun milli brajas
forsis balu prus meda
in forma numerosa d’eletrones
 subra chelu che majas, pantasimas de seda i
in sas nomadas chelanas ijones
de unu teorema ch’insegus bortat tema
e contende sos tristos suos sermones
de custu tempus mortu 
narat es “como” cun su pilu isortu.
Noterella in limba di Altana- Furada e bortada in logudoresu dae “SUBRA SA GOBBA DE SU TEMPUS” Su libru nou de BIANCA MANNU
"Pilu isortu = look della prefica nelle sue funzioni"


venerdì 22 dicembre 2017

Un racconto che non conta - rimette inedite di Bianca Mannu




Dedica: A tutti i cari e meno cari «Amici vicini e lontani» (ricordate, voi come me anziani, l’apostrofe radiofonica del buon Nunzio Filogamo?). La poco nota Bianca Mannu dal suo modestissimo blog  Vi invia in questa forma saluti e auguri natalizi con la speranza che dai non-sens, qui raccolti e rimati, possiate ricavare tutto il senso reale e l’ironia possibile, con cui osservare  un po’ la nostra scalcinata quotidianità, decorata di  inconsistenti e distraenti lumini.


Un racconto che non conta


Trasmette  senza dire
come cosa che si nega
come piega che non spiega
come cerchio che si chiude
come strada che preclude
come vena che si svena
come fiato che non sfiata
come vento che non sventa 
come forma che si sforma
come credo che miscrede
come lama che lamenta
di soppiatto sordamente
come fede che si fonde
oppure fulmina all’impatto:
ecco un re che regge il moccolo
alla povertà del popolo
agli affari del governo
che cucina in pieno inverno
ribollita con il broccolo
per la gente col bernoccolo
di sventare l’ammennicolo
cucinato per il popolo
per serbare a lor signori
pesce e carni sugli allori.
Una legge un poco regge
all’impiego di lusinga
all’usura di paura:
chiama a guardia le alabarde
stocchi e spade longobarde.
Chiude e inchioda varchi e usci
a impedir che alcuno sgusci
dalla cima o dalla coda
dalla media e dalla moda.
Un drappello armato e forte
sta al recinto che recinge
il cortile della corte
per fermare sulle porte
l’invadenza della morte.
Ma la Moira se la ride –
un po’ nicchia con la nicchia-
un po’ impazza sulla massa -
alla lunga poi decide
che ogni lunga o corta sorte
sta nel braccio della morte.
Tanto vale che alla lesta
come fronda e come onda
si sommuova sommamente
e ai padreterni guasti la festa



Approfitto dell'occasione per ricordare a chi è interessato l'uscita della silloge quadrigemina (Biggio-Mannu-Onnis- Sicura) SULLA GOBBA DEL TEMPO con prefazione di Giuseppe Roberto Atzori (b.m.)