Fiela
Quando era apparsa sopra di me la faccia di
Suora Santina, avevo sentito che potevo girare gli occhi da una parte
all’altra, ma non muovevo lingua e bocca, e non muovevo mani ed ero solo occhi.
Invece udivo: Fiela, Fiela, e ho visto la mano, mano che toccava la mia fronte,
le mie labbra. E a un certo punto sentivo la fronte, le labbra, le guance, la
lingua, che cominciano a muoversi e comincio a sentire qualcosa di tiepido, un
qualcosa che mi piace, un sapore, un sapore che fa il giro della stanza dove
sta la lingua e poi comincia a scendere e a toccare luoghi lontani che non
sapevo e saliva anche verso il naso – questo lo so dove sta. Ecco c’era il naso
che annusava ciò che veniva da dentro e quella cosa che annusavo saliva piano
piano dentro la testa e si spargeva dappertutto … Ah, ah, oh, oh, come sull’altalena, quando ho
imparato a salirvi senza paura. Mi stavo, mi stavo … “scongelando”!
Allora non avrei saputo come dirlo, ma dopo
ogni volta, uscendo dal buio e dalla trappola, è stato come vedere e sentire il
solletico che fa il ghiaccio che si scioglie. E’ stato bello. Mi piaceva essere
Fiela e abitare tutto il mio spazio dentro: mi allungavo, mi allargavo, andavo
verso l’alto con un po’ di fatica per provare il piacere di scendere in fondo e
appiattirmi sul luogo dove stavo poggiata. Stavo su un letto. E Suora Santina
spariva e riappariva e poi altre facce,
altre mani, altri odori. Per quel che ne so, credo di essere nata così. E da lì
sono scesa per andare nel refettorio, nel cortile, nella cappella, dove Suor
Maria e Suora Annunziata cantavano e ancora cantano il rosario con una voce che faceva e
fa addormentare.
"Mediante l’ampio uso del monologo interiore e del
flusso di coscienza, interiorizzata e fatta propria la lezione della narrativa
novecentesca, da Svevo a Pirandello, a Joyce a Proust, i personaggi, e con loro
l’autrice, procedono in una continua ricerca di trasformare in meglio il
senso della propria vita."- Prefazione di Katia Deborah Melis
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