Dal capitolo AROMA DI COTOGNE
Io non so se fu allora o dopo, se era autunno o altra stagione … Se il tavolo parato con luminosa tovaglia e vino rosso in caraffa era il tavolo apparecchiato per quella volta oppure no. So che nella mia mente esiste, al momento, un raccordo preferenziale e fluido tra quanto appena descritto e una seconda rete di percezioni e immagini; ma come se tutto il movimento, invece di essere definito e discreto, fosse durato e continuasse a durare indefinitamente …
Colpita da un odore penetrante e repentino che aveva invaso la “lolla”, mi
avvolgevo meglio nel drappo guardando dai buchi dei nodi che fissavano le
roselline. Snif snif; fango di gora e feccia di vino. Snif snif,
sigaro toscano e muffa. Snif snif, cacca di pecora e piscio di gatto … Dietro
zia Dora, che emergeva dalla mescita forbendosi le mani sui lembi della
pettorina e chiamando a gran voce la madre, sopraggiungeva lui, zio Ernesto.
Caracollava nello spazio libero, improvvisamente angusto della “lolla”, come un
cinghiale appena sbucato da una forra, volgeva attorno il suo muso scuro e
irsuto di setole rosse grugnendo a gran voce: “Bona festa, gomai Annetta!” e, adocchiata libera la colonnetta
portaoggetti, vi deponeva con inattesa delicatezza un piccolo cesto coperto di
frasche. Poi si voltava e vedendo il mio corpo infagottato bofonchiava: “Gesus! Unu pippiu dromìu” e, quasi di
scatto, senza aspettare risposta, con un rapido dietro-front si precipitava giù
per i gradini appena guadagnati. Zia Dora gli andava dietro strillandogli di
fermarsi, così che nonna Annetta, messa sull’avviso dal vocio, irrompeva da
sinistra per la porta della cucina marciando sulle sue alte polacche, una cocca
del grembiule sollevata su un fianco, pronta a bloccarlo. Dovendo inseguirlo,
lo chiamava a mezza voce in modo imperioso.
Lui s’arrestava di là, oltre il banco della mescita tra la vociante
compagnia dei bevitori, lei di qua, composta e severa davanti allo scaffale dei
liquori. E già gli allungava sul banco il bicchierino dell’Anisette, colmo.
Come magnetizzato, egli si voltava, si avvicinava al banco, curvava
religiosamente l’ispido capo sul bicchierino, poggiava i palmi delle sue zampe
ai lati del piccolo calice come un prete che officiasse e sorbiva socchiudendo
gli occhi e facendo tremolare i baffi. Poi, come volesse pigliare tra pollice e
indice le ali di una delicata farfalla, rapidamente afferrava e vuotava il
bicchiere arrovesciando il capo all’indietro. Ne seguiva un “grazias” e un goffo inchino. Mia nonna
riempiva ancora il calice. E intanto che lui ne sgargarozzava il contenuto
facendo scintillare i suoi occhietti, lei gli allungava ben avvolta in carta di
giornale una bottiglia di quello buono per
“gomai Delfina, chi de parti
nostra s’arregallidi”.
NOTA Traduco nell'ordine le espressioni in idioma sardo-campidanese
Bona festa...= buona festa, comare Annetta
Gesus,unu pip....= Gesù, un bimbo che dorme! Go
....chi de parti nostra s'arregallidi = per comare Delfina da parte nostra perché si prenda cura di sé.
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