domenica 20 settembre 2015

Dal romanzo DA NONNA ANNETTA di Bianca.Mannu



Dal capitolo AROMA DI COTOGNE
Io non so se fu allora o dopo, se era autunno o altra stagione … Se il tavolo parato con luminosa tovaglia e vino rosso in caraffa era il tavolo apparecchiato per quella volta oppure no. So che nella mia mente esiste, al momento, un raccordo preferenziale e fluido tra quanto appena descritto e una seconda rete di percezioni e immagini; ma come se tutto il movimento, invece di essere definito e discreto, fosse durato e continuasse a durare indefinitamente …
Colpita da un odore penetrante e repentino che aveva invaso la “lolla”, mi avvolgevo meglio nel drappo guardando dai buchi dei nodi che fissavano le roselline. Snif snif; fango di gora e feccia di vino. Snif snif, sigaro toscano e muffa. Snif snif, cacca di pecora e piscio di gatto … Dietro zia Dora, che emergeva dalla mescita forbendosi le mani sui lembi della pettorina e chiamando a gran voce la madre, sopraggiungeva lui, zio Ernesto. Caracollava nello spazio libero, improvvisamente angusto della “lolla”, come un cinghiale appena sbucato da una forra, volgeva attorno il suo muso scuro e irsuto di setole rosse grugnendo a gran voce: “Bona festa, gomai Annetta!” e, adocchiata libera la colonnetta portaoggetti, vi deponeva con inattesa delicatezza un piccolo cesto coperto di frasche. Poi si voltava e vedendo il mio corpo infagottato bofonchiava: “Gesus! Unu pippiu dromìu” e, quasi di scatto, senza aspettare risposta, con un rapido dietro-front si precipitava giù per i gradini appena guadagnati. Zia Dora gli andava dietro strillandogli di fermarsi, così che nonna Annetta, messa sull’avviso dal vocio, irrompeva da sinistra per la porta della cucina marciando sulle sue alte polacche, una cocca del grembiule sollevata su un fianco, pronta a bloccarlo. Dovendo inseguirlo, lo chiamava a mezza voce in modo imperioso.

Lui s’arrestava di là, oltre il banco della mescita tra la vociante compagnia dei bevitori, lei di qua, composta e severa davanti allo scaffale dei liquori. E già gli allungava sul banco il bicchierino dell’Anisette, colmo. Come magnetizzato, egli si voltava, si avvicinava al banco, curvava religiosamente l’ispido capo sul bicchierino, poggiava i palmi delle sue zampe ai lati del piccolo calice come un prete che officiasse e sorbiva socchiudendo gli occhi e facendo tremolare i baffi. Poi, come volesse pigliare tra pollice e indice le ali di una delicata farfalla, rapidamente afferrava e vuotava il bicchiere arrovesciando il capo all’indietro. Ne seguiva un “grazias” e un goffo inchino. Mia nonna riempiva ancora il calice. E intanto che lui ne sgargarozzava il contenuto facendo scintillare i suoi occhietti, lei gli allungava ben avvolta in carta di giornale una bottiglia di quello buono per  “gomai Delfina, chi de parti nostra s’arregallidi”.

NOTA Traduco nell'ordine le espressioni in idioma sardo-campidanese
Bona festa...= buona festa, comare Annetta
Gesus,unu pip....= Gesù, un bimbo che dorme! Go 
....chi de parti nostra s'arregallidi = per comare Delfina da parte nostra perché si prenda cura di sé. 






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