Su un’isola, un paese ,
appeso al cielo e ai monti con un filo,
e nel paese,
la mia atavica casa.
( Ancora c’è, signora, ed è un museo !
Seduta al focolare
scrivo la musica della mia solitudine
e la ascolto sgorgare, da me, profonda ,
in assenza di gesti
e moto, armonia e sentimento unisce in stretto nodo .
( La ascolto anch’io, sa !! Lo scoppiettìo del fuoco nel camino
e l’ululato delle canne al vento coperto dal suono pesante di stivali .)
La mia libertà è il mio
silenzio
che canta parole sulla carta
o leggende che scendo a raccogliere
nel fondo delle grotte
o nuraghi che vedo dall’alto,
quando mi apro a rapace volo di uccello,
sopra gli stagni della mia Sardegna .
(Ci sono tante ville sulla costa, ora
e qualche parco che protegge
la Storia e la Natura .
Tante pecore ancora… e i pastori...)
In questo cuore libero ho
stivato l’infinito
e gli ho dato i confini rosei del tramonto all’Orthobene,
come lo vedo dentro la cornice della mia finestra .
(Si è accorta di me, signora, mentre le stavo accanto? )
Con parole mute,
invito al canto il cielo, i boschi ,
gli spiriti, le anime dei morti ,
perchè ho accordato il mio,
al cuore buono delle cose .
(Anch’ io, che bello !)
E millenaria saggezza ,
filata all’arcolaio,
mi ha parlato
dalla pietra del camino ,
nei lunghi inverni sardi .
(Non abbiamo più questo silenzio !)
Come formica non vista,
posata sopra un piede,
o come pulce impigliata
nello sporco pelo del cane,
ho misurato l’orgoglio feroce
e fumante dei maschi ,
appeso al taschino, come un orologio.
(Si sterilizza tutto e i cani non hanno parassiti ,
ma mi dicono che gli uomini non son cambiati.)
E ho udito la gente di
questo paese
sospeso sotto il cielo, tra i monti,
ululare maledizioni al vento,
come le vuote canne, a bordo dello stagno..
( Ora lo fanno sottovoce ...)
Mi sono liberata,con la mia
scrittura,
delle catene cui altre donne allungavano i polsi
e son rimasta a guardare,
dritto negli occhi,
l’affilato disprezzo e l’atavico rancore,
annidato persino nei bambini .
( Lo so, signora, è nella poesia che trovo pace!
In essa, come lei , riverso l’innocenza .
E so piangere ancora per un tramonto o un’alba)
Io sono stata libera dentro
il mio furore,
anche se,chiusa a pugno dentro le mie stanze,
lontana ormai dalla Sardegna.
Portavo intera con me la tavolozza
dei luoghi tanto amati
e le boccette antiche di tutti i suoi profumi .
(So cosa vuol dire . Mi sono abbassata
ad odorare ognuna delle piante
che lei mi ha indicato .
E dei colori che, dagli occhi al cuore sono scesi, ho ricercato in me fine
achimia !)
Andavo a cavallo,
con un fratello che ho lasciato indietro,
ad ascoltare voci di leggende antiche.
E imprigionavo insieme,
nel mio sguardo,
il verde neonato delle foglie,
con la più scura luce del lentischio pingue,
l’ombra di un umido versante
dove il verde muschiato
dal carnale aroma,
beveva alle sorgenti,
verso la montagna.
(Si è accorta di me, signora, sulla strada verso il Santuario ier l’altro
mentre la seguivo ?)
Se un filo appena,
di salso vento,
si insinuava tra le mie montagne,
io mi alzavo in terribile volo
e lo seguivo
fino alla costa,
filata di garze e di cotone
che avevo già tinto di profondo azzurro,
ancor prima di aprire le ali.
(Quante volte lo faccio nei
miei sogni !)
Alla fine, sì, ho soppesato
il bene e il male
negli uomini tozzi che ho abbandonato,
che non mi hanno detto mai
quant’erano belli i miei neri occhi di jana.
Un giorno, ho lasciato andare anche la vita.
Senza strepiti, senza confusione.
Io sono libera e sono
Grazia.
(E’
stato un piacere , signora, ed un onore !
Io sono Angela .)
Nota di Bianca
Complimenti, ad Angela Argentino , per questo dialogo profondamente vissuto e
scritto con un ritmo e un lessico che testimoniano un'intima adesione al mondo
e alla solitudine della grande scrittrice sarda. Un poemetto a due voci in cui
colgo il penetrante tocco della poetessa Angela per la difficile relazione di
Grazia con l'obliquità del suo ambiente umano, con la difficile sua condizione
di fanciulla e poi donna votata all'imperio della sua libertà e tuttavia
consapevole di dover sottrarre al morso ferino del sospetto e al bavaglio della
limitazione familistica e subordinata alla rozzezza dell'ordine paterno il suo
fervido immaginario e il suo pensiero incredibilmente acuto e moderno.
Ritorno su questi tornanti
…”ho misurato l’orgoglio feroce
e fumante dei maschi ,…
…ho udito la gente di questo paese
sospeso sotto il cielo, tra i monti,
ululare maledizioni al vento,
come le vuote canne,
( Ora lo fanno sottovoce ...)
Mi sono liberata,con
la mia scrittura,
delle catene cui altre donne allungavano i polsi
e son rimasta a guardare,
dritto negli occhi,
l’affilato disprezzo e l’atavico rancore…
…Io
sono stata libera dentro il mio furore,
anche se,chiusa a pugno dentro le mie stanze,
lontana
ormai dalla Sardegna….
Andavo a cavallo,
con un fratello che ho lasciato indietro,
ad ascoltare voci di leggende antiche.
Angela ha colto con acuta
penetrazione e in brevi accenni la condizione di certo maschilismo ancestrale
nostrano, più torvo e marcato tra i monti, quello antico e quello rimasto attaccato alla tuttora imbarbarita e non pensata aretè del villaggio e della città, di nuovo tornata,
questa, a ripiegarsi sul suo sonno e
sogno da clan, a formare il collage di villaggi moltiplicati e giustapposti.
Ha colto, Angela, la
fatica di Grazia nel vivere la vita e la scrittura; e ci indica il prezzo dello
scotto pagato. E ora unisco al loro il mio affanno, come una pelle agra che, in
quanto donne e donne d’Isola, ancora ci avvolge e serra, confricando carni e
anima, quasi fossimo i prigioni michelangioleschi, entro i ruoli petrosi del
passato che non passa e i rostri di una modernità ammiccante e di facciata,
compiacente agli intenti di ri-piegarci al ruoli di monili o di schiave della
sussistenza.
Più che in altri luoghi
d’Europa, qui la crisi strappa al bisogno di cultura i denti e ci ripropone la cattiva cera d’un pallido ottocento
sul liquame del morto novecento, che trabocca dalle crepe del trucco manigoldo.
Locos seus torraus et malunidos seus abarraus? Perou tocat at cumprender
custa logica: sa crisi non est unu terremotu de sa natura. Est unu movimentu de
hominis contras aterus homines/feminas; Est una guerra, ehia! Ma is armas giustas funti in s’intelletu. No serbidit a prangiri,
ca nemus arribat a si salvare si non
seus abilis a du fairi de manu nostra impari.
Bianca Mannu
appeso al cielo e ai monti con un filo,
e nel paese,
la mia atavica casa.
( Ancora c’è, signora, ed è un museo !
scrivo la musica della mia solitudine
e la ascolto sgorgare, da me, profonda ,
in assenza di gesti
e moto, armonia e sentimento unisce in stretto nodo .
( La ascolto anch’io, sa !! Lo scoppiettìo del fuoco nel camino
e l’ululato delle canne al vento coperto dal suono pesante di stivali .)
che canta parole sulla carta
o leggende che scendo a raccogliere
nel fondo delle grotte
o nuraghi che vedo dall’alto,
quando mi apro a rapace volo di uccello,
sopra gli stagni della mia Sardegna .
(Ci sono tante ville sulla costa, ora
e qualche parco che protegge
la Storia e la Natura .
Tante pecore ancora… e i pastori...)
e gli ho dato i confini rosei del tramonto all’Orthobene,
come lo vedo dentro la cornice della mia finestra .
(Si è accorta di me, signora, mentre le stavo accanto? )
invito al canto il cielo, i boschi ,
gli spiriti, le anime dei morti ,
perchè ho accordato il mio,
al cuore buono delle cose .
(Anch’ io, che bello !)
filata all’arcolaio,
mi ha parlato
dalla pietra del camino ,
nei lunghi inverni sardi .
(Non abbiamo più questo silenzio !)
posata sopra un piede,
o come pulce impigliata
nello sporco pelo del cane,
ho misurato l’orgoglio feroce
e fumante dei maschi ,
appeso al taschino, come un orologio.
(Si sterilizza tutto e i cani non hanno parassiti ,
ma mi dicono che gli uomini non son cambiati.)
sospeso sotto il cielo, tra i monti,
ululare maledizioni al vento,
come le vuote canne, a bordo dello stagno..
( Ora lo fanno sottovoce ...)
delle catene cui altre donne allungavano i polsi
e son rimasta a guardare,
dritto negli occhi,
l’affilato disprezzo e l’atavico rancore,
annidato persino nei bambini .
( Lo so, signora, è nella poesia che trovo pace!
In essa, come lei , riverso l’innocenza .
E so piangere ancora per un tramonto o un’alba)
anche se,chiusa a pugno dentro le mie stanze,
lontana ormai dalla Sardegna.
Portavo intera con me la tavolozza
dei luoghi tanto amati
e le boccette antiche di tutti i suoi profumi .
(So cosa vuol dire . Mi sono abbassata
ad odorare ognuna delle piante
che lei mi ha indicato .
E dei colori che, dagli occhi al cuore sono scesi, ho ricercato in me fine achimia !)
con un fratello che ho lasciato indietro,
ad ascoltare voci di leggende antiche.
E imprigionavo insieme,
nel mio sguardo,
il verde neonato delle foglie,
con la più scura luce del lentischio pingue,
l’ombra di un umido versante
dove il verde muschiato
dal carnale aroma,
beveva alle sorgenti,
verso la montagna.
(Si è accorta di me, signora, sulla strada verso il Santuario ier l’altro mentre la seguivo ?)
di salso vento,
si insinuava tra le mie montagne,
io mi alzavo in terribile volo
e lo seguivo
fino alla costa,
filata di garze e di cotone
che avevo già tinto di profondo azzurro,
ancor prima di aprire le ali.
negli uomini tozzi che ho abbandonato,
che non mi hanno detto mai
quant’erano belli i miei neri occhi di jana.
Un giorno, ho lasciato andare anche la vita.
Senza strepiti, senza confusione.
Io sono Angela .)
sospeso sotto il cielo, tra i monti,
ululare maledizioni al vento,
come le vuote canne,
delle catene cui altre donne allungavano i polsi
e son rimasta a guardare,
dritto negli occhi,
l’affilato disprezzo e l’atavico rancore…
anche se,chiusa a pugno dentro le mie stanze,
con un fratello che ho lasciato indietro,
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