sabato 16 maggio 2015

Comincia come... un vizio!

Si comincia a scrivere per un incoercibile bisogno di guardarsi dentro in un periodo della vita, nell'adolescenza, in cui ci domina l'ansia di sapere chi o che cosa siamo, proprio perché la nostra configurazione personale è ancora incerta e molto mobile. 
Con la maturità, di solito si perde il vizio. Se perdura, vuol dire che la costruzione dell'io-me ci impegna sempre,ed è lì, nel perdurare dello scavo che si produce il desiderio di colloquio,talora spiccatamente inquisitorio e antagonistico, con gli umani che hanno preso dimora presso l'io-me-noi col corrispettivo corredo di enti-mondo. Essendo esseri unitari e contemporaneamente plurimi, il discorso con se stessi non è mai esaustivo né pienamente soddisfacente. 
Le letture e le esperienze scolpiscono sensibilità, mente, immaginazione. Il nostro linguaggio diviene  plastico e comincia a prodursi in giochi inattesi, in costruzioni  che assumono logiche  diverse, talora carsiche, con effetti che risultano a noi stessi sorprendenti. 
E a quel punto si fa strada il bisogno di condividere tali effetti con altri; o meglio immaginiamo una condivisione a largo raggio, di cui poi abbiamo ben magro riscontro, anche qualora le statistiche ci comunichino che i nostri scritti siano letti da molti. 
Il lettore raramente si qualifica come corrispondente. Eppure tutti gli scrittori vivono di questa illusione. In realtà  sono gli scritti dei critici, degli intervistatori, dei recensori a offrire il supporto di questa illusione . Ed essa acquista una consistenza realistica se, almeno per un po', i tuoi critici, i tuoi estimatori i tuoi recensori sono a loro volta noti, autorevoli, famosi, capaci di succhiare dal tuo discorso ciò  che incuriosisce e/o invoglia la folla poco nutrita dei lettori.     

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