lunedì 12 marzo 2018

Che specie d'amore - poesia edita in IL SILENZIO SCOLORA di Bianca Mannu



Insistendo sul tema DONNA - UOMA , uno sguardo al nodo, ritenuto perno della femminilità, in forma di interrogativo


CHE SPECIE D'AMORE ?

Sono un amore provvisorio?
Un amore da riempirci
i vuoti tempi dell’indugio –
un amore da sotterfugio?
Sono un amore clandestino –
un amore meschino 
un amore che non cresce
un amore che non riesce
a spiccare il volo
sono un amore da dopo lavoro ?
Sono un amore che non splende
uno che l’impazienza non accende?
Sono un amore che non scotta 
uno di quelli per cui non si lotta –
un amore limitato e stanziale
senza le ruote e senza le ali?
Sono un amore che non invischia –
uno di quelli per cui non si rischia ?
Dunque amore che non nuoce
che in capitolo non ha voce?
Sono un amore da gesuita –
un amore senza fatica
Ecco! Un amore razionale?
Un amore sono … serale !
Da consumarsi in tempi di noia –
un amore in salamoia!

Sono un amore senza parole 
senza sollazzi né capriole
Un amore non firmato
Un amore approssimato
Un amore da strade deserte 
Un amore a carte coperte
Sono un amore ad ore fisse
senza fervore e senza promesse
Sono un amore senza storia –
senza speranza e senza memoria
Sono amore provvisorio
che designi per ciò che non ha –
nessun nome – nessun futuro –
valore alcuno – per ora e qua.

Nota - Recentemente ho postato questa composizione in www.larecherche.it. corredandola poi con una nota di delucidazioni sui miei intenti, in dialogo con due commentatori nonché scrittori, che ringrazio di cuore: Alberto Becca e Klara Rubino. Mi sarebbe piaciuto riportare i due commenti,ma non sono autorizzata a farlo.
Riporto quella nota.
Una composizione del 2003 pubblicata nel 2004 e poi inserita in Il silenzio scolora del 2014. Uno sguardo, forse piuttosto un resoconto sintetico, necessitato dalla ineludibile scoperta di contare su un senso di sé contratto, sminuito. Condizione difficilmente sovrapponibile alla condizione di vittima del così detto femminicidio e degli altri abusi, su cui invece scorrono tuttora fiumi di pseudo versi commoventi, come se il problema risiedesse solo nelle sue più drammatiche apparenze.

Non amo attaccarmi alla cronaca, benché sappia che anch’essa mi concerne, ma ho elaborato antenne per avvertire, tra le maglie apparentemente anodine del quotidiano, personale e non, ciò che continua a sancire lo stato di subordinazione del femminile al maschile, non solo come status esterno ma come rocciosa interiorità speculare all’altro, sebbene non reciproca. Il profondo maschile continua a concepirsi superiore e mantiene la percezione di inferiorità del femminile; nella psicologia femminile il maschile resta sopravvalutato anche come forza deteriore, mentre il femminile permane sottovalutato, anche quando si perviene a una consapevolezza realistica del sé o quando, per sussulti di rivalsa, si perviene a un’auto-sopravvalutazione surrettizia... Il senso di impotenza o di potenza perversa, dunque di pericolo costante, elaborato fra baluardi visibili e invisibili del sociale e del culturale, permane come marchio ambiguo del femminile. Scoprire nel sentimento amoroso, o che viene spartito come tale, il varco psicologico costruito nei precordi, perciò totalizzante, mediante cui ci viene inoculata la minorità come genus, da analizzare e discutere, è stato per me un passo liberatorio, sia pure parziale. (Fine nota)
Aggiungo e cito dalla prefazioni rispettivamente di Maria Rosa Giannalia e di Carlo Onnis: 
"Il canto poetico qui infatti si dipana, non sommesso né dolce, ma impetuoso e coinvolgente nei toni fragorosi con i quali l'espressione del dolore s'innalza e sommerge il testo"
"Il suo affilato linguaggio giunge persino a sfiorare il sarcasmo pur di abolire il peso negativo... " 
Entrambi (e riassumo) ravvisano l'approdo a una marca stilistica che lancia il personale in una dimensione umana complessa e  distante da codici corrivi. E di questa LETTURA sono felicissima. (B. M.) 

mercoledì 7 marzo 2018

Le accadde - poesia inedita di Bianca mannu

Oggi, otto marzo. Più che una festa, un modo per dire a noi stesse che ci siamo e contiamo, vogliamo contare, vogliamo decidere, vogliamo essere soggetti non assoggettati.
Qualcosa di tremendo è successo contro di noi e con la nostra complicità: ci hanno modellato per fini su cui non siamo state interpellate, che abbiamo accettato come un marchio a fuoco che era e ancora è
dentro di noi come senso acquisito pressoché indiscutibile, perché rinforzato dai sistemi storico sociali e innervato come psicologia di genere.
La violenza privata e fuori scena è solo l'emersione conclamata e resa visibile da alcune conquiste giuridiche raggiunte con difficoltà e sempre sull'orlo di essere ridotte o denegate anche e sopra tutto  con la complicità della nostra funzione vicaria: assumere e compiere i ruoli di feroci guardiane  della tradizione, il cui dettato è patriarcale e sistemico. Esso ci ha dimensionato e inscritto come genere subalterno anche nel nostro inconscio. La nostra auto percezione assomiglia molto alla sindrome di Stoccolma, cioè all'amore subalterno e sadico-masochistico  che lega la vittima ai suoi persecutori, con quell'effetto di ritorno per cui l'ordine maschile patriarcale trae legittimazione e autoreferenzialità dalla subalternità  dei vittimizzati.
A chi ha curiosità di leggere dedico questa composizione che vuole stimolare qualche riflessione. (B.M.)




Le accadde       


Di  scivolare le accadde -
dal ciglio aperto incauta
al giorno …  di  scivolare
ruzzando come per gioco
dal riso della melagrana
nel cosmo cifrato dell’Altro  
E ivi - sorbita in un sonno di gemma 
l’ebbrezza dei cembali –
svegliarsi alterata
in ignoto mattino

Così la già imberbe da sempre
con intento di ladra fidente
il suo ingresso pagava
fingendosi mutila
nel munito universo
del demiurgo sovrano
creduto di genio celeste

Là su coste e bastioni erano
rune dorate e trionfi di roccia
ad annuire alla ratio  
di barbe rituali e di verghe
brandite a secondare il sapere
assestato sull’orma negata
dell’antico sciamano
Con sibili d’erbe e  fole di vento
il volere regale del  Padre
era sceso nei generanti
e per bocca di madri s’alzava
dall’ancestrale segreto
per sempre sui nati:
doversi il calore attenuare del sole
dentro l’oikia di fango
e farsi dell’ombra accorta estensione
sulla pupilla allungata
a bagnar di domande -
femminea! - le cose vietate

Dalle stanze opache dell’Orco
ai propilei ariosi d’Olimpo
alitando col passo il suo peplo
discende alla schietta loquela
di carde e telai per ordire
come schiava come Pitia e padrona
Col dorso nel vento
 sul lido di calce nei guazzi
alla roggia ancora amministra
con ruvide essenze il candeggio:
perché  tutta sia liscia
sia dolce sia buona sia vera
per l‘uomo sul talamo
la solita sera

Issato/abissato  il sole
più di quanti astri
si struggano nei cieli
impunemente - di te
poche ha cincischiato postille
la sua illetterata cadenza  
come per ignobile erba
e di tuoi frutti plebei
in quanto “semi imperfetti”
nemmeno ha tenuto
 conteggio

Dal pugno sublime del Padre
il Tempo declina/dipana  -
fu detto e non si desiste
Al Padre ancora s’avvolge
e  rivolge squisiti alfabeti  - 
come da specchio interposto
a figura  che divino decreto
esige si pavoneggi …
E forse un’ombra soltanto
accenna di te - se fosti al dio cara
se col lutto affliggesti il tuo re
se d’empietà moristi pentita
o se propiziasti immolata
alla tua pugnace genia
l’universo trionfo
della sua liturgia

sabato 10 febbraio 2018

Amsterdam - poesia di Vittorio Sereni

NOTA - Questa  poesia Amsterdam tratta da Gli strumenti umani raccolta di poesie di Vittorio Sereni... 
Mi piace accostarla alla pacifica marcia antirazzista e antifascista svoltasi oggi a      
Macerata.
Per non dimenticare e fare non disutili collegamenti.
(B: M.)




Amsterdam

 A portarmi fu il caso tra le nove
 e le dieci d’una domenica mattina
 svoltando a un ponte, uno dei tanti, a destra
 lungo il semigelo d’un canale. E non  
 questa  è la casa, ma soltanto
 – mille volte già vista –
 sul cartello dimesso «Casa di Anna Frank».  

Disse più tardi il mio compagno: quella
di Anna Frank non dev’essere,  non è
privilegiata memoria. Ce ne furono tanti
che crollarono per sola fame
senza il tempo di scriverlo.
Lei, è vero, lo scrisse.
Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale
continuavo a cercarla senza trovarla più
ritrovandola sempre.
Per questo è insondabile Amsterdam
nei suoi tre quattro variabili elementi
che fonde in tante unità ricorrenti, nei suoi
tre  quattro fradici o acerbi colori  
che quanto è grande il suo spazio perpetua,
anima che s’irraggia ferma e limpida
in migliaia d’altri volti, germe
dovunque e germoglio di Anna Frank.
 Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam

domenica 4 febbraio 2018

Questa è l'ora / Custa est s'ora - da Carlo Onnis a Antonio Altana

Nota - Ancora una volta Antonio Altana ha intrecciato la sua vena con quella di Carlo Onnis, altro autore della silloge  SULLA GOBBA DEL TEMPO. Essere interpretati ed elaborati in una lingua diversa dall'idioma praticato è un'esperienza di grande impatto emotivo; e se l'idioma, in cui è stato
rivissuto ed riespresso un tuo verso, non ti è del tutto estraneo, allora scopri come al tocco risuona la corda che è al contempo uguale e diversa.  Nel caso specifico la libera musicalità di Onnis si converte nel ritmo cadenzato e non meno melodico delle quartine di Altana, che fa baciare e incatenare le sillabe finali in delicatissimi accostamenti.
Mi sono permessa di praticare gli stacchi nell' ora di Carlo e di mutare da sinistra a destra l'allineamento de s'ora de Antoni per rendere più agevole la lettura. (B.M.)

Questa è l’ora    di Carlo Onnis
Questa è l’ora
in rapidi ritegni
in cui la luce cede
e dilatandosi porge
alle ombre la sera.

Questa è l’ora
in cui il pensiero segue
chiarezze in fuga
e l’immagine rinuncia
ai privilegi del sole
perché resti la notte
umile consorte
a dare carezze al volto
e una calma misura
ai silenzi d’amore.

Questa è l’ora
che il desiderio ripara
perché sia fronda e grembo
al disegno raccolto
dai frammenti del giorno.
Vicina al tempo
trasecola in sostanza
la tua forma di donna
e gioca la sua apparenza
sino al punto dove
si scioglie in suggestione
e diventa filigrana
sull’orlo del tramonto
il tuo caro arrivederci.

Custa est s’ora   di  Antonio Altana

Custa est s’ora de cuntegnos lestros
ue sa lughe tzedit,
s’illàdiat e abberit
largos ismurinados secuestros.

Custa est s’ora chi curret su pessu 
cun giaresas in fua
e pupas faghent rua
a privilegios de sole traessu

pro chi restet sa note che muzere
cun ùmiles carignos
e lèbios assignos
in mudore d’amore, dulche mere.

Cust’est s’ora chi disizu acontzat
Pro l’esser Frunza e nidu 
a dissignu coglidu
dae bìculos de die chi s’iscontzat.

De su tempus sa lestra acurtziada
ispantat in cuncretu
de fèmina s’aspetu
e giogat s’aparèntzia mustrada

finas a cussu puntu ue tancadu
in unu raru ammaju
de indeoradu raju
intèrinat dispedu delicadu.

venerdì 26 gennaio 2018

Non avrò atteso invano / No ap’aer isetadu debadas" da Giuseppa Sicura e Antonio Altana

Nota - Ecco un nuovo e generoso gradimento di Antonio Altana nei confronti  di una poesia di Giuseppa Sicura, un'altra dei quattro autori di Sulla gobba del tempo.
Scrive Altana : "Poesia de Giuseppa Sicura: "No ap’aer isetadu debadas" - torrada in logudoresu dae su libru "Sulla gobba del tempo".
Il verso libero - con cui l'io poetante di G. Sicura intende allungare l'ultima sua boccata d'aria nella 
determinazione di godere, sia pure per qualche attimo, della propria emancipazione dall'imposta e sistemica schiavitù femminile - diviene incalzante cantata nel  logudorese di A. Altana, che, per via delle quartine a rime baciate alternate e incatenate, trasuda ironia sardonica. (B. M.)






Non avrò atteso invano

Non avrò atteso invano
se una boccata d’aria avrò ancora
da ingoiare

lentamente la sorbirò
per allungare l’ultimo respiro
quando leggera
come foglia ingiallita
mi staccherò dal ramo
(mia vita … mia prigione)
e planerò
in assenza di vento
con una danza
quieta
sull’umida terra
finalmente “io”
donna
col sangue libero nelle vene
per un istante
sentirò solo
il fruscio del volo
senza rumore di catene.

No ap’aer isetadu debadas
Non tedesser chi t’isetei debadas
si ariosu mossu a ingullidas
surzei e surzo como a pibinidas
pro illongare custas respiradas.

Cando lizera che foza ingroghida
ap’a istacare dae cussas naes
(sa bida chi fit mia… prejone estida)
Pro mi pasare che pumas de aes

chin una dassa a movidas lenas
subra s’umidu letu de sa trata
ue afines so deo fèmina fata
cun sàmben incubadu intro sas venas.

Pro un’atimu bivo de consolu
Intendende che cantos de sirenas
e in su frusciare de s’ultimu bolu
mi godo s’armonia chena cadenas

giovedì 25 gennaio 2018

In memoria di Giulio Regeni - da Bianca Mannu



Non ho una composizione pronta, ma desidero partecipare a questo discorso silenzioso che chiede verità e rispetto per la memoria di un giovane studioso che ci fa onore. Chi si riconosce in questo simbolo lo condivida con i suoi amici. Grazie. (B. M.)

venerdì 19 gennaio 2018

Messaggio dal poi / Missiva dae su poi Bianca Mannu e Antonio Altana

Nota - Pubblico qui una nuova tappa dell'incontro letterario Mannu-Altana. Il testo della poesia
«Messaggio dal poi» è pubblicato in Sulla gobba del tempo che racchiude anche le opere poetiche di M.T. Biggio, di Giuseppa Sicura e di Carlo Onnis.
Antonio Altana ha voluto tradurre in idioma sardo-logudorese il testo incipitario della sezione del libro a me riservata. Ma chiamarla traduzione mi sembra riduttivo per via della potenza creativa e della singolarità stilistica di Altana, che ringrazio per l'onore. Egli si esprime così e traduco letteralmente:"Rubata e volta in logudorese da «Sulla gobba del tempo», il nuovo libro..." erroneamente attribuito a me soltanto.  Mi scuso con Antonio e i suoi lettori per aver
allineato sulla destra, invece che sulla sinistra. Ritengo che nulla vada perduto e che anzi risulti più evidente la preziosa cadenza delle rime.(B.M.)


Messaggio dal poi

Era l’annuncio d’un prodigio
Era cominciato
col sole che salutava alto
la stagione
Era cominciato  sulla soglia disuguale
dell’istante irrefutabile
che primo s’insediò  - come ci fosse nato -
nella forza motrice d’un vivente
sparata dentro lo sciame nebuloso d’evenienze

Senza disegno - che non fosse quel suo prodursi
inarrestabile e cieco – era/è sapiente cecità -
quella che vive spegnendosi
sull’imposta cronologia
del tempo

Così: - E' stato – dici

E quel sole
- che incendiò l'istante perso
e ne chiamò in presenza e in coda
forse mille di mille
in forma di elettroni -
splende spettrale
nel cielo nominale
del teorema volto a ritroso
che - nel parlare -
del morto tempo dice
« Adesso »

Missiva dae su poi

Isteit un’imbasciada
de un’ispantu raru
comintzadu de botu a sole altu
cando gia comintzada
s’istajone che faru
in sa pedriscia de divessu ismaltu
chi coglidu s’istante
si bi setzeit pesante
coment’aperet de nàschid’apaltu
e cun motu fortzadu
 isparadu in sas nèulas de su fadu.

Chena mancu dissignu
chi no esseret brotu
de se mantessi tzegu si ch’iscudet
 forsis sàbiu e dignu
 bivende mal’annotu
e in giannile de tempus ch’istudet
sas annales improntas.
Asie isteit; mi contas:
 Est cussu sole chi s’istante mudat
e allutu lu perdeit
e a conca e coa àteros giameit
 forsis cun milli brajas
forsis balu prus meda
in forma numerosa d’eletrones
 subra chelu che majas, pantasimas de seda i
in sas nomadas chelanas ijones
de unu teorema ch’insegus bortat tema
e contende sos tristos suos sermones
de custu tempus mortu 
narat es “como” cun su pilu isortu.
Noterella in limba di Altana- Furada e bortada in logudoresu dae “SUBRA SA GOBBA DE SU TEMPUS” Su libru nou de BIANCA MANNU
"Pilu isortu = look della prefica nelle sue funzioni"


venerdì 22 dicembre 2017

Un racconto che non conta - rimette inedite di Bianca Mannu




Dedica: A tutti i cari e meno cari «Amici vicini e lontani» (ricordate, voi come me anziani, l’apostrofe radiofonica del buon Nunzio Filogamo?). La poco nota Bianca Mannu dal suo modestissimo blog  Vi invia in questa forma saluti e auguri natalizi con la speranza che dai non-sens, qui raccolti e rimati, possiate ricavare tutto il senso reale e l’ironia possibile, con cui osservare  un po’ la nostra scalcinata quotidianità, decorata di  inconsistenti e distraenti lumini.


Un racconto che non conta


Trasmette  senza dire
come cosa che si nega
come piega che non spiega
come cerchio che si chiude
come strada che preclude
come vena che si svena
come fiato che non sfiata
come vento che non sventa 
come forma che si sforma
come credo che miscrede
come lama che lamenta
di soppiatto sordamente
come fede che si fonde
oppure fulmina all’impatto:
ecco un re che regge il moccolo
alla povertà del popolo
agli affari del governo
che cucina in pieno inverno
ribollita con il broccolo
per la gente col bernoccolo
di sventare l’ammennicolo
cucinato per il popolo
per serbare a lor signori
pesce e carni sugli allori.
Una legge un poco regge
all’impiego di lusinga
all’usura di paura:
chiama a guardia le alabarde
stocchi e spade longobarde.
Chiude e inchioda varchi e usci
a impedir che alcuno sgusci
dalla cima o dalla coda
dalla media e dalla moda.
Un drappello armato e forte
sta al recinto che recinge
il cortile della corte
per fermare sulle porte
l’invadenza della morte.
Ma la Moira se la ride –
un po’ nicchia con la nicchia-
un po’ impazza sulla massa -
alla lunga poi decide
che ogni lunga o corta sorte
sta nel braccio della morte.
Tanto vale che alla lesta
come fronda e come onda
si sommuova sommamente
e ai padreterni guasti la festa



Approfitto dell'occasione per ricordare a chi è interessato l'uscita della silloge quadrigemina (Biggio-Mannu-Onnis- Sicura) SULLA GOBBA DEL TEMPO con prefazione di Giuseppe Roberto Atzori (b.m.)