martedì 26 settembre 2017

ARBEIT MACHT FREI (De Bianca Mannu) Bortada in logudoresu dae Antoni Altana

Preambolo. Ho dimenticato di scrivere nel post precedente che i versi facenti parte del poemetto Arbeit macht frei di Altana e miei hanno per sottotitolo Apologo in versi. Com'è noto l'apologo è un testo elogiativo rispetto a un soggetto, a  persone  o idee. Io ho voluto contemporaneamente difendere i lavoratori manuali e intellettuali e ho puntato i miei"strali"sul sistema capitalistico  politico e finanziario, che pretende che il mercato, nel quale gli umani non hanno lo stesso peso in termini di libertà di contrattazione e di scambio, regoli tutti gli aspetti della vita lavorativa, sociale e psicologica di tutti.
È ovvio che così facendo esalto, non tanto il marxismo nelle sue espressioni politiche storicamente realizzate, quanto l'analisi  scientifica di Marx che, almeno nei suoi elementi di base,  ci consente di di avere contezza della ragione per cui risorse e prodotti del lavoro diventano esclusivo appannaggio e strumento di indebito potere dei pochi sui molti espropriati e calpestati.(B.M.)


Dassa de sas oras I

Sas ora de trabagliu pro naschentzia,
sas oras de trabagliu pro campare
e oras su mantessi pro imparare
fuas de bruglia in falsa creentzia

pro intender sa morte respirare
in oras fatas pro sa suferentzia
e pro su pagu furad'a s'erentzia
de imburghesidu sou aggantzinare.

Oras pro invocare creo astrale
de cussu chelu sempre pius altu
in s'umanu isterriju a cabitale.

Oras pro garantire su resaltu
e biver cunfrontende s'ideale
de pulp'umana de sagrad'iscaltu.

Cunferrer semos de giaru meritu
a birgonzosu famine chi sues
dae chie setzidu subra nues
subra su mascru-femina cuntritu

e in miseru imbarzu chi produes
abbòigos corales cale impitu
sa caina sentetzia de su fritu
prestu as'aer ca in cussa rues!

Oras de un'impreu forsis beru,
pròrogas in biancu a presse tale
e oras de manile disisperu

chepare a fama de chilciu infernale
tra bruturas e murghidas de seru
fintza a nd'aer tremida ferale.

Oras d'ordinzu - diciu de intelletu-
benènnida sa tennica isetada!
sighidu imbentu e contivizada
de noos trastos, sistema perfetu

pro tramunare cun noa pessada
vanas ideas a sensos diletu
paris a cascos cun sulos de letu,
geniales fatores li dant fada

prenende cassas in doradu isetu.
Prejada gioja de ammaju estida
chi nada morta non bogat difetu

ma nemmancu a fizos dat naschida,
ca nobilitat traficu e retzetu
de cantu su trabagliu fruneit vida

e dias narrer fora preju netu.

Ballata delle ore I


Ore di lavoro a nascere
ore di lavoro a crescere
ore di lavoro a imparare 
persino a scampare
agli scherzi della cattiva sorte
appostata in bianco
sul luogo di lavoro
La tolleri accanto
ne avverti sul collo
il suo fiato di morte

Concitate e a prezzo di saldo
ore erogate per un pasto caldo
atteso dai piccoli - favoloso ristoro!
La mensa a scuola pare utopia
all’avarissima borghesia

Il tempo ingenuo dell’uomo mansueto
sognava l’avvento d’un nuovo miracolo:
un seggio di vita per tutti
vita per tutti nel cuore di Dio!

Invece dall’apice della verticale
si sporge l’uomo del capitale:
scuce un discorso e pare un oracolo
con cui abbindolare minori e imbecilli
Ma all’antifona «giustizia sociale!»
minaccia con bile di chiederci il fio
schierandoci contro la polizia.

Tra «bittere e battere» s’è fatta sera:
le ore-lavoro a primavera … in differita
Intanto fatica e preoccupazione
per offrire ai figli l’educazione

... Poter conferire con morale credito
segno di merito
a ogni onesto progetto di vita …
Se questo è sogno - sognalo ancora -
sogna di te la cosa migliore

Sia dato bando alla turpe indigenza
che  precipita senza aperta ragione
da un’incurante alta magione
come peste che al corpo s’avvinghia
cacciandone l’anima e sua potenza

L’homo riduce a bestia che ringhia
di maschio-femmina sua condizione
e altre eventuali declinazioni
Ne fa congerie belluina
a lievitazione di gente Caina

Ore di lavoro sui frangenti:
proroghe in bianco di necessità impellenti
Ore di lavoro manuale
più simile allo sgobbo infernale
intriso di sudicio e molle sudore
che muta da stremo in tristo tremore:
 di lavoro anche si muore!

Ore di lavoro  detto intellettuale:
- benvenuta tardo-stimata téchne! -
invenzioni e inaudite procedure
di nuovi utensili sistemi e misure
per trasformare … radici e semi
di cose vaghe nel pensiero
in cose fruibili coi sensi
Cose di cui non puoi più … far senza

Queste - con ogni sbadiglio e fiato
 dei suoi fabbri solerti espropriate -
sono per legge inviolabili compensi
per l’uomo del profitto
che il primigenio ratto
ha per zelo antico sotterrato


Nei forzieri: sub specie metallica
ciò ch’era vita giace ammortata:
la parentela è stata tranciata
Così morta e nuova di zecca
lucida e chiusa nella sua teca
non vagisce né reclama genitura
non invecchia né arrugginisce
però nemmeno partorisce!


Compirà forse il sublime prodigio
di elevare - a profitto del magnate -
le mille cose arraffate
e altre al di lui fastigio
le quali - diresti - che per natura
han da star fuori la mercatura ? 

Nota – Mi preme rendere omaggio ad Antonio Altana per la resa stilistica del suo fraseggio. Ho prestato volentieri alla Dassa de sas oras I l’omologa Ballata delle ore I affinché italiani e italianofoni  non sardofoni possano seguire i suoi versi. Naturalmente non è possibile una stretta corrispondenza terminologica e metrica e meno ancora quella relativa alle figure simboliche che sono idiomatiche e personali.  Inoltre la Ballata ha subito numerosi rimaneggiamenti  rispetto alla prima versione considerata da Antonio, che io postai in questo blog  circa due anni fa, ancora con le vive tracce della fatica compositiva. Benché già da subito avessi  pensato di accorciarla, in realtà nella rielaborazione  si è allungata. Ma i concetti delle due sono sostanzialmente omologhi. (B. M.)

giovedì 21 settembre 2017

ARBEIT MACHT FREI de Bianca Mannu Bortada in logudoresu dae Antoni Altana

Nota - "Il lavoro rende liberi" è la traduzione in lingua italiana del motto fuso in metallo, che si leggeva (e si legge a memento) sul cancello di accesso al lager di Auschwitz. Aver utilizzato quel motto - che suonava a scherno dell'orribile sorte dei prigionieri - come titolo per l'apologo in versi, comparso circa due anni fa su questo blog, voleva e vuole significare il mio rifiuto verso una concezione del lavoro come cosa senza nessun riguardo per la vita del lavoratore che è costretto a erogarlo in condizioni che gli sono imposte in termini di tempo,  di ritmi, di modi, di salari, di contrazione di garanzie, di subordinazione totale della sua esistenza alla produzione del profitto che va a deporsi in forzieri chiusi alla destinazione sociale.
 Il mio amico Antonio Altana - sardo come me, e come me sensibile agli effetti delle problematiche politico-sociali maturate nella globalizzazione dei mercati e resi ancora più inquietanti dalle crisi ricorrenti, specialmente dall'ultima iniziata nel 2008, ma innamorato del suo idioma sardo-logudorese - ha voluto farmi l'onore di riprendere il mio testo, scavare sul suo senso e regalargli le sonorità linguistiche e stilistiche a lui care.L'effetto è secondo me di grande e personalissimo pregio. Pubblico qui appresso Esordiu s cui fa seguito il mio Prologo in Italiano, un po' rimaneggiato rispetto alla primitiva versione.  Seguiranno altri brani in altra data.(BM)


Esordiu

Copiolas totu che nadas arreu
dae duras tenatzas temperadas
o forsis dae tzerebros anzadas
de calchi nepodeddu a Prometeu.

Che bullos bòidos, oras generadas
nudas a sensos che segretu ebreu,
mutzas pretesas pro umanu impreu
de chie pro bisonzu baratadas.

Netas che cando nascant de natura
ischidas dae pàlpidu animale
ma trazadas cun funes de presura

e intamen custrintas a murrale
pro pretzetos truvados de lugura
ch'intendet giaru efetu naturale

in vantagiu de ricas alanzadas
pro s'interessu; ma fuent imbicos
sonnos e bisos e lanzos aficos
tanchende naturales disizadas

de oras e de zente a bisos sicos!


Prologo

Tutte gemelle schizzate uguali
da una bocca di trancia
o forse dalla pancia
e dai lobi cerebrali
d’un nipote di Prometeo:  ore!
Vuote bolle di fisica sostanza
 impercettibili ai sensi:             
colme di cabale e segreti
pretese monde da affetti
di chi per disavventura
come cose le vende - nette -
quasi che
per loro natura
non nascessero infette
del palpito animale dei viventi -
e tuttavia  obbligate
a viaggiare con essi aggrovigliate
a scorporarsi coscritte ed incalzate
da imperiosi precetti
per esaurirsi in noti effetti
percettibili sensibilmente
a vantaggio di avidi acquirenti
interessati e assenti -
vietate al sonno  e al sogno -
escluse dal naturale bisogno
di sventurata gente: ore! 


martedì 12 settembre 2017

SCONVOLGIMENTI - poemetto tuttora inedito di Bianca Mannu

Nota preliminare - Ripropongo il poemetto già postato su questo blog  il 14 agosto 2015. Trascorsi due anni, è come se il giorno non incontrasse tramonto, e dalla sua notte non potesse risorgere alba nuova, ma solo il replicarsi di un tempo allucinato dentro le sue e nostre insistenti tragedie. Come è possibile non sentirsi chiamati in causa, come è possibile che noi si possa indefinitamente smentire la nostra cecità coprendo il nostro orizzonte percettivo e ricettivo con la paccottiglia delle "cartoline" confezionate con le tinte sguaiate della pubblicità più vieta, convinti di aprirci al respiro della fantasia e della bellezza?  Intanto che voi - e persino io che mi danno l'anima e i sensi per sottrarmi ai falsi incantamenti - andiamo per dubbi anfratti a ripescare parole come gemme di pietra preservate dal solito sciupio, non abbiamo contezza di come ciò che di noi vive morendo le abbandoni... Ed esse siano meno di ... boccheggiamenti!
Sconvolgimenti

Prima ancora che salga
sulla cima dello Zenit
il sole trascina l’equivoca
sua luce - oscura madre d’ombra –
da un meridiano all’altro
incrociando la lama
dei paralleli …perfidi.
Gli sfiati irraggia curvi a suo capriccio
ma cadono incessanti
in mano agli oligarchi  come ore
con mani piedi corpo e mente
da impiegare in proprio
vantaggiosamente.

E il vento - che forse la terra
generò in copula col cielo
e lo inviò in legazione d’atomi
di polveri e di pollini vitali -
ora si avvita sopra luoghi
di malsana negligenza
repentino di nembi e di procelle
spinge i precipiti succhielli
delle borse  sul loro nihil -
quale “cosa del niente”-
venduto e stivato
come massimo valore
in autoproduzione
dentro i campanili-madie
della credenza universale.

E l’acqua all’indietro si solleva
come in una fisica invertita
a maledire furiosa  i malcostrutti
d’ una genia avida e maligna
che al colmo del possesso
ne sciupa l’abbondanza - ne abusa
senza amarla - la costringe chiusa
prigioniera sotto le cantine
o la devia dentro le chiuse
a ruggire in precipizi male calcolati -
ne fa laghi privati e la nega
alle terre e ai popoli assetati
la fa sua complice in latenti
conflitti di tipo coloniale.

A quella di mare comanda di fare
da baluardo contro chi sconfina
e -in caso d’’evenienza-  di giustiziare
in modo anonimo e pulito
intere ciurme di poveri felloni
che per alcuni nostri patrioti
solo reclusi o morti sono buoni.  
Misera acqua - più che sorella – putta -
la più rotta alle faccende sporche
di questa civiltà barbina
che la destina – certo non a caso-
a stemperare - silenti - maligni sversamenti
lungo le sterrate pendici dei monti
a lavaggi frequenti e docce maniacali
di magnati di boss e di vari pescicane
nei vasti bagni di uso personale.

Misera acqua! sembra destinata -
 nel presente - a  liberare
ogni schifezza
da presunti germi
di autentica nettezza.

Ma è in ogni me che sole vento e acqua
formano una miscela ancor più … micidiale
È dentro me che il cielo maledice
la sporca zolla
che mi morde il tempo
e l’umore della vita
E dell’umano dentro me
germina il pavore
 prospera l’infelice acquiescenza
al quotidiano orrore.
    
Ringrazio Diego de Nadai che tempo fa le prestò la sua bella voce su Youtube


lunedì 28 agosto 2017

LEI - PO di Bianca Mannu

Nota informativa- Poesia iniziale di
FABELLAE -  silloge pubblicata nel 2006


LEI -PO
L'avevo in sospetto.
Mi lavorava dentro.
Mi sconvolgeva la routine
d'ape operaia.
Frequentarla è un lusso
- mi dicevo -
fuori della mia portata.
M' esigeva
complice e scaltra.
M'esortava
a praticare scomputi di tempo
che non credevo mio.
E io?
Io non tolleravo
i rimorsi di coscienza.
Vivevo-campavo così - attaccata alla mia zolla-
- senza peraltro avvertire sicurezza -
paurosa che ogni aria
di parola piena volesse
intrufolarsi nella mente
moltiplicando ingovernata
sensi ed accezioni
o
potesse dar vento
ai quesiti censurati
chiusi in cantina di decantazione.
Quando cedette la mia gleba,
fu proprio lei a sostenermi
perchè non franassi anch'io.
Ma non mi risparmiò
la vertigine del volo.
Ora son qua
a tentare i miei voletti
- con e senza rete -
E
invoco Lei per l'approvazione
che
in via provvisoria
talora mi concede.
Talaltra volta il prolungato
suo silenzio mi sgomenta.
Annaspo timorosa d'averla
- per sbaglio – chiusa fuori
- o peggio -
uccisa per strangolamento.
Cerco.
E la trovo allora
nella notte mia più fonda,
nella ferita mia
che geme come nuova.
La scorgo ancora là
- alta e lontana-
dove regna indiscussa
ostensa a cielo aperto.
Ma è come se

non la riconoscessi.


Dalla Prefazione di Valeria Pala
«Filosofia e poesia, accostate spesso con intento ironico in alcuni componimenti, sono entrambe forme gnoseologiche, ma la prima offre una rappresentazione perlustrante, neutra e socializzabile dell’uomo nella sua accezione minore, mentre la seconda, mettendo esplicitamente in discussione le false certezze del soggetto cartesiano e del soggetto epicureo modernamente intesi, si configura come senso assoluto, incomunicabile e alieno rispetto alla giurisdizione dell’umano. Proprio in virtù di questo la poesia, paradossalmente,è più atta a risarcire e a mitigare il dolore universale di fronte alla ferocia dell’esistenza… » 

martedì 22 agosto 2017

I dopo "mai più" - poesia inedita di Bianca Mannu

Piccole e immani … Guerre!
Non conta chi vince - non conta chi perde  

Propositi spettrali risalgono in flati
per le spole impure che ordiscono il futuro

Ancora e ancora mi scontro coi “mai più”
gridati in ginocchio sopra i cimiteri

Ogni fine sarà piuttosto tregua!
Conterà chi  di quel buio retaggio sa giovarsi
presentandosi alla conta dei disastri -
destra sul cuore afflitto per l’attimo di lutto

Sotto pelle discretamente calcola gli avanzi
come esiti d’imprevedibile accidente
 da cui dice di prendere istruzioni
e già se ne ascrive il merito

Prospera come fungo il suo appetito
sulle necessarie alterazioni
delle materie … organiche  

Per diletto la pancia tutta gli trema
 ed il pensiero dilagando esulta


Ma già misura - come per eco - il rammarico
di non aver abbastanza tempo e corpo
per trasformare la privata abbondanza  …
… in ciò … che persino la bestia a sé nasconde

Nota - Questa poesia è stata pubblicata anche su www.larecherche.it

lunedì 14 agosto 2017

Come goccia - poesia inedita di Bianca Mannu


Come goccia

Scaturita
dal tunnel del pensiero
s’affaccia una parola
sul labbro del tempo
assorto a comporne
il suono di goccia
che s’allunghi dal tetto –
ora che spiove

Molle goccia
in tensione d’amore
per l’umano suolo
suo alveo e destino

S’allunga ed oscilla
tremando
già antica -
incapace a ricordare
il sorriso primigenio
delle sue molecole
gemmate
dal cinereo fiammeggiare
di nembi.










Noticina - C'è forse bisogno di dirlo? Forse, no. Ma non è male ricordare come può essere dolce il gocciare dell'acqua sul suolo che la desiderava. Così è della parola che non sempre è pietra. Ringrazio il sito che mi ha regalato queste belle immagini. B. M.

venerdì 28 luglio 2017

L'IMPREVISTO - Poesia della raccolta "Sbalzi di coscienza" di Giuseppa Sicura

L’imprevisto

Esulta l’inflessibile Signora
strofina le dita
e a furor di pancia
presto (dice)
sul piatto della bilancia
il peso della pena
eguaglierà al misfatto
ma … considerato l’atto
(dovuto)
e l’ampia forbice di tempo
(con salto di secolo)
dal popolo pare voglia
l’osanna
con messa cantata e aureola

applausi infiniti si aspetta
medaglie al valore
farà coniare per gli addetti
e a faccia tosta
definisce “imprevisto”
l’insolente gesto
che al danno ha aggiunto
la beffa
un quid illegittimo
(a voce di tutti) figlio
d’ intese e poteri occulti.

Ѐ colma l’iride e la misura
turbinoso il vento
il muro del limite … infranto!

A imperitura vergogna
d’ambo le parti
quel bacio farabutto
sarà in grassetto scritto
tra le pagine della storia

alla gogna … alla gogna Signora!

Nota
Pubblico volentieri sul mio blog questa elegante e misteriosa poesia di G. Sicura, facente parte della raccolta ancora inedita, citata nel titolo.
Poesia misteriosa specialmente in virtù della raffinata costruzione allegorica che si estende per l’intero componimento.
L’allegoria è, come è noto, una figura retorica che espone, attraverso uno o più significati superficiali, dei significati reconditi. In certo senso è simile alla metafora. Ma, mentre questa riguarda un’espressione singola, l’allegoria concerne i traslati di un intero discorso. Inoltre, mentre il significato metaforico può essere colto per via intuitiva o emozionale, l’allegoria richiede un’interpretazione razionale che si fonda su un bagaglio di conoscenze e di raffigurazioni assai elaborato. 
In questo caso ciò che dovrebbe orientare l’inizio dell’interpretazione è il sostantivo personificante Signora, volutamente “maiuscolato” e accompagnato da aggettivo (inflessibile), quindi da verbi e sostantivi che accentuano la personificazione con accenti verbali di autorevolezza (dice,  vuole l’osanna, farà coniare, definisce) che presto diventano pretese autoritarie, al punto che un atto poi definito “imprevisto” , manifestamente “insolente, illegittimo” scaturisce da intese innominabili. Dunque la Signora ha partorito,  per relazione illecita, un figlio imprevisto, il cui padre deve restare ignoto.
Ma a questo punto del discorso, a ben intendere, s’è introdotta di soppiatto un’istanza giudicante che non è la Signora, non è il genitore ignoto,  ma una terza entità che  irrompe con piglio  autoritario, non si qualifica, quasi che non ce ne fosse bisogno, e, come fosse appostata lì da indefinito tempo per osservare e sancire, ha l’audacia di dichiarare come visibile ed esecrabile ciò che, pur essendo stato visto, non si stagliava nel reale come effetto illegittimo e beffardo, quale in effetti è sotto il suo sguardo  di colpo severo. Chi sarà mai questa terza istanza innominata che insiste  pronunciando la sua filippica con una mitragliata di bellissime metafore nell’unica terzina della composizione? E che, sedendo  tra  “le parti” (presumo tra la Signora e il suo oscuro partner), sancisce che il figlio è un “bacio farabutto” , la cui esistenza illegale sarà evidenziata negli annali della storia, a perenne infamia della Signora? Forse è l'onestà.
Lascerei agli eventuali lettori l’identificazione delle varie entità qui allegorizzate, oltre le cui “maschere” o assenze di volto,  potranno riconoscere  entità perverse variamente complici nella gestione criminogena del potere nel mondo attuale e entità collettive sane, a cui sembra non resti altra sorte che quella del dissenso morale rispetto alle infamie, e l’impegno  a  curarne la sanzione negativa negli annali della storia.
Comunque la si pensi, è impossibile non cogliere in questa poesia una vis critica profondamente sofferta, che non intende fotografare  i connotati visibili ed evidenti del mondo reale, piuttosto proporsi come una sua crucciata radiografia.(Bianca Mannu)





domenica 25 giugno 2017

TRENO - inedita di Bianca Mannu

Treno.- Del pendolare, come sottotitolo.
Metafora di realtà che corrono, non solo su binari sbagliati, ma sulle nostre quotidiane contrade, e che, stolidamente, troppo presto rimuoviamo e mettiamo sul conto di quelli che non sono da reputarsi rilevanti, a differenza delle folle di celebratori di bellezze, già marmoree.  
Metafora fastidiosa che si ha fastidio a registrare come "poetica", è ovvio.
Ma che poeti sono quelli  che "sospirano" in "poetese" alla luna?
Credono di essere parenti del grande Recanatese, ma non sono minimamente comparabili al "pastore errante" che s'interroga sul senso dell'umana esistenza e persino su quello della cultura e della  storia.
Qui io pubblico per chi ha voglia di dare un'occhiata, senza mio profitto e con buona pace di editori
con la sciocca "puzzetta sotto il naso". - B.M.



Sfila uscendo dalla notte la cornuta ferrovia
Allunga del sole nuovo i riverberi fiammanti
e di suoi veli gloriosi avvolge un metallico pene
scagliato a trapassare spazi – a frazionare tempi.

Tu vecchio agricoltore – già sul campo
a sorvegliare la salute delle piante –
ne avverti lontana  la furia scalpitante
che d’un subito irrompe di persona
a mitragliare l’aria - a tentare la saldezza 
con cui ogni ulivo fa nodo con la terra.

Appassionato di rigogli e vitali grovigli
che connettono il cielo con la terra
neppure disdegni la foga
e l’agile scioltezza dell’umano: sei
intimo alla terra – a transumanze aduso.

Rulla mitraglia e scrolla il rettile d’acciai
rotando  su rotaie a sprizzare scintille
e tormentare gli smorti cespugli delle prode 
Corre all’indietro un mondo di cieli afosi
sugli ulivi canuti -sulle radure arse -  sui letti di pietraie
dove grida la sete inestinguibile dei giunchi.

 Retrocede la strada ferrata dilagando
in subitaneo silenzio la sua finta stoltezza.
E un qualcosa -  un residuo – un irreale oggetto
collassa -  punto nero di matita – e svanisce 
muto – come abraso da silenziose dita.

Ma tu flaneur – poeta del tempo evanescente –

tu ne scavalchi il tiro e sei davanti ad esso 
a impattarne di nuovo la misura
ad avvertirne l’avventarsi rabbioso
a immaginare il dipanarsi del moto
su  tondi piedi d’acciaio: ta ta ta tam!
ta ta ta tam!-tatam-tatam-tatam!

Salta sopra il tuo occhio etereo
ed esibisce per te il proprio  armato
ventre – impunemente! – e ti suona
un vibrato assillante: ta-tatà- tatam
ta-tatà-tatam tatam tatam tatam!
Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!

Non c’è luogo nel tuo estro zelante
capace a contenere – a intercettare
il verticale intento della  corsa
a mancare l’abbraccio fisico letale
 l’obbligato squasso – il collass … sssss! 
Silenzio dall’abisso sparso al sole!





Taci! Taci! Taciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Ancora non tuo il dovere di elaborare
rabbia strazio e consolante pianto
né con scelte parole tessere corone
o stendere inopportuno manto.
 
Continua a vedere in apparente vita
quella corsa spararsi sulla piana
dimenando il carico di umani  scodellati
sopra le panche lucide per l’uso -
gli sguardi trasognati sui segmenti cavi
dei montanti – quasi favi – ripostigli -
giacigli neutri di pensieri erranti …

Dillo innocente il rettile rischioso
che corrisponde al mandato  di  investire -
 in altro tempo-oggetto -  questo di pendolari
tempo diseguale e fratto- costretto a rannicchiarsi
 per pudore di possibili sue pieghe sensuali
 sotto palpebre cadenti
o a posarsi come apatico ente sui poligoni
pulsanti dei cellulari …

Trattieni  o poeta sulla tua retina sognante
l’ombra di miti corpi abbandonati
al basculaggio delle notti brevi 
e dei giorni  antelucani
irti di dissonanti richiami
e di molesti gravami  -
eppure sugo dolce di vita …

E il mare ?– Di fuori - a oriente?
È poco più di un niente di seta
che tradisce appena il blu.