domenica 25 giugno 2017

TRENO - inedita di Bianca Mannu

Treno.- Del pendolare, come sottotitolo.
Metafora di realtà che corrono, non solo su binari sbagliati, ma sulle nostre quotidiane contrade, e che, stolidamente, troppo presto rimuoviamo e mettiamo sul conto di quelli che non sono da reputarsi rilevanti, a differenza delle folle di celebratori di bellezze, già marmoree.  
Metafora fastidiosa che si ha fastidio a registrare come "poetica", è ovvio.
Ma che poeti sono quelli  che "sospirano" in "poetese" alla luna?
Credono di essere parenti del grande Recanatese, ma non sono minimamente comparabili al "pastore errante" che s'interroga sul senso dell'umana esistenza e persino su quello della cultura e della  storia.
Qui io pubblico per chi ha voglia di dare un'occhiata, senza mio profitto e con buona pace di editori
con la sciocca "puzzetta sotto il naso". - B.M.



Sfila uscendo dalla notte la cornuta ferrovia
Allunga del sole nuovo i riverberi fiammanti
e di suoi veli gloriosi avvolge un metallico pene
scagliato a trapassare spazi – a frazionare tempi.

Tu vecchio agricoltore – già sul campo
a sorvegliare la salute delle piante –
ne avverti lontana  la furia scalpitante
che d’un subito irrompe di persona
a mitragliare l’aria - a tentare la saldezza 
con cui ogni ulivo fa nodo con la terra.

Appassionato di rigogli e vitali grovigli
che connettono il cielo con la terra
neppure disdegni la foga
e l’agile scioltezza dell’umano: sei
intimo alla terra – a transumanze aduso.

Rulla mitraglia e scrolla il rettile d’acciai
rotando  su rotaie a sprizzare scintille
e tormentare gli smorti cespugli delle prode 
Corre all’indietro un mondo di cieli afosi
sugli ulivi canuti -sulle radure arse -  sui letti di pietraie
dove grida la sete inestinguibile dei giunchi.

 Retrocede la strada ferrata dilagando
in subitaneo silenzio la sua finta stoltezza.
E un qualcosa -  un residuo – un irreale oggetto
collassa -  punto nero di matita – e svanisce 
muto – come abraso da silenziose dita.

Ma tu flaneur – poeta del tempo evanescente –

tu ne scavalchi il tiro e sei davanti ad esso 
a impattarne di nuovo la misura
ad avvertirne l’avventarsi rabbioso
a immaginare il dipanarsi del moto
su  tondi piedi d’acciaio: ta ta ta tam!
ta ta ta tam!-tatam-tatam-tatam!

Salta sopra il tuo occhio etereo
ed esibisce per te il proprio  armato
ventre – impunemente! – e ti suona
un vibrato assillante: ta-tatà- tatam
ta-tatà-tatam tatam tatam tatam!
Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!

Non c’è luogo nel tuo estro zelante
capace a contenere – a intercettare
il verticale intento della  corsa
a mancare l’abbraccio fisico letale
 l’obbligato squasso – il collass … sssss! 
Silenzio dall’abisso sparso al sole!





Taci! Taci! Taciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Ancora non tuo il dovere di elaborare
rabbia strazio e consolante pianto
né con scelte parole tessere corone
o stendere inopportuno manto.
 
Continua a vedere in apparente vita
quella corsa spararsi sulla piana
dimenando il carico di umani  scodellati
sopra le panche lucide per l’uso -
gli sguardi trasognati sui segmenti cavi
dei montanti – quasi favi – ripostigli -
giacigli neutri di pensieri erranti …

Dillo innocente il rettile rischioso
che corrisponde al mandato  di  investire -
 in altro tempo-oggetto -  questo di pendolari
tempo diseguale e fratto- costretto a rannicchiarsi
 per pudore di possibili sue pieghe sensuali
 sotto palpebre cadenti
o a posarsi come apatico ente sui poligoni
pulsanti dei cellulari …

Trattieni  o poeta sulla tua retina sognante
l’ombra di miti corpi abbandonati
al basculaggio delle notti brevi 
e dei giorni  antelucani
irti di dissonanti richiami
e di molesti gravami  -
eppure sugo dolce di vita …

E il mare ?– Di fuori - a oriente?
È poco più di un niente di seta
che tradisce appena il blu.

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