Metafora di realtà che corrono, non solo su binari sbagliati, ma sulle nostre quotidiane contrade, e che, stolidamente, troppo presto rimuoviamo e mettiamo sul conto di quelli che non sono da reputarsi rilevanti, a differenza delle folle di celebratori di bellezze, già marmoree.
Metafora fastidiosa che si ha fastidio a registrare come "poetica", è ovvio.
Ma che poeti sono quelli che "sospirano" in "poetese" alla luna?
Credono di essere parenti del grande Recanatese, ma non sono minimamente comparabili al "pastore errante" che s'interroga sul senso dell'umana esistenza e persino su quello della cultura e della storia.
Qui io pubblico per chi ha voglia di dare un'occhiata, senza mio profitto e con buona pace di editori
con la sciocca "puzzetta sotto il naso". - B.M.
Sfila uscendo dalla notte la cornuta
ferrovia
e di suoi veli gloriosi avvolge un
metallico pene
scagliato a trapassare spazi – a
frazionare tempi.
Tu vecchio agricoltore – già sul
campo
a sorvegliare la salute delle piante
–
ne avverti lontana la furia scalpitante
che d’un subito irrompe di persona
a mitragliare l’aria - a tentare la
saldezza
con cui ogni ulivo fa nodo con la
terra.
Appassionato di rigogli e vitali
grovigli
che connettono il cielo con la terra
neppure disdegni la foga
e l’agile scioltezza dell’umano: sei
intimo alla terra – a transumanze
aduso.
Rulla mitraglia e scrolla il rettile
d’acciai
rotando su rotaie a sprizzare scintille
e tormentare gli smorti cespugli
delle prode
Corre all’indietro un mondo di cieli
afosi
sugli ulivi canuti -sulle radure arse
- sui letti di pietraie
dove grida la sete inestinguibile dei
giunchi.
Retrocede la strada ferrata dilagando
in subitaneo silenzio la sua finta
stoltezza.
E un qualcosa - un residuo – un irreale oggetto
collassa - punto nero di matita – e svanisce
muto – come
abraso da silenziose dita.
Ma tu flaneur – poeta del tempo
evanescente –
tu ne scavalchi il tiro e sei davanti
ad esso
a impattarne di nuovo la misura
ad avvertirne l’avventarsi rabbioso
a immaginare il dipanarsi del moto
su
tondi piedi d’acciaio: ta ta ta tam!
ta ta ta tam!-tatam-tatam-tatam!
Salta sopra il tuo occhio etereo
ed esibisce per te il proprio armato
ventre – impunemente! – e ti suona
un vibrato assillante: ta-tatà- tatam
ta-tatà-tatam tatam tatam tatam!
Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Non c’è luogo nel tuo estro zelante
capace a contenere – a intercettare
il verticale intento della corsa
a mancare l’abbraccio fisico letale
l’obbligato squasso – il collass … sssss!
Silenzio dall’abisso sparso al sole!
Taci! Taci!
Taciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Ancora non tuo il dovere di elaborare
rabbia strazio e consolante pianto
né con scelte parole tessere corone
o stendere inopportuno manto.
Continua a vedere in apparente vita
dimenando il carico di umani scodellati
sopra le panche lucide per l’uso -
gli sguardi trasognati sui segmenti
cavi
dei montanti – quasi favi –
ripostigli -
giacigli neutri di pensieri erranti …
Dillo innocente il rettile rischioso
che corrisponde al mandato di
investire -
in altro tempo-oggetto - questo di pendolari
tempo diseguale e fratto- costretto a
rannicchiarsi
per pudore di possibili sue pieghe sensuali
sotto palpebre cadenti
o a posarsi come apatico ente sui
poligoni
pulsanti dei cellulari …
Trattieni o poeta sulla tua retina sognante
l’ombra di miti corpi abbandonati
al basculaggio delle notti brevi
e dei giorni antelucani
irti di dissonanti richiami
e di molesti gravami -
eppure sugo dolce di vita …
E il mare ?– Di fuori - a oriente?
È poco più di un niente di seta
che tradisce appena il blu.
Nessun commento:
Posta un commento