giovedì 21 settembre 2017

ARBEIT MACHT FREI de Bianca Mannu Bortada in logudoresu dae Antoni Altana

Nota - "Il lavoro rende liberi" è la traduzione in lingua italiana del motto fuso in metallo, che si leggeva (e si legge a memento) sul cancello di accesso al lager di Auschwitz. Aver utilizzato quel motto - che suonava a scherno dell'orribile sorte dei prigionieri - come titolo per l'apologo in versi, comparso circa due anni fa su questo blog, voleva e vuole significare il mio rifiuto verso una concezione del lavoro come cosa senza nessun riguardo per la vita del lavoratore che è costretto a erogarlo in condizioni che gli sono imposte in termini di tempo,  di ritmi, di modi, di salari, di contrazione di garanzie, di subordinazione totale della sua esistenza alla produzione del profitto che va a deporsi in forzieri chiusi alla destinazione sociale.
 Il mio amico Antonio Altana - sardo come me, e come me sensibile agli effetti delle problematiche politico-sociali maturate nella globalizzazione dei mercati e resi ancora più inquietanti dalle crisi ricorrenti, specialmente dall'ultima iniziata nel 2008, ma innamorato del suo idioma sardo-logudorese - ha voluto farmi l'onore di riprendere il mio testo, scavare sul suo senso e regalargli le sonorità linguistiche e stilistiche a lui care.L'effetto è secondo me di grande e personalissimo pregio. Pubblico qui appresso Esordiu s cui fa seguito il mio Prologo in Italiano, un po' rimaneggiato rispetto alla primitiva versione.  Seguiranno altri brani in altra data.(BM)


Esordiu

Copiolas totu che nadas arreu
dae duras tenatzas temperadas
o forsis dae tzerebros anzadas
de calchi nepodeddu a Prometeu.

Che bullos bòidos, oras generadas
nudas a sensos che segretu ebreu,
mutzas pretesas pro umanu impreu
de chie pro bisonzu baratadas.

Netas che cando nascant de natura
ischidas dae pàlpidu animale
ma trazadas cun funes de presura

e intamen custrintas a murrale
pro pretzetos truvados de lugura
ch'intendet giaru efetu naturale

in vantagiu de ricas alanzadas
pro s'interessu; ma fuent imbicos
sonnos e bisos e lanzos aficos
tanchende naturales disizadas

de oras e de zente a bisos sicos!


Prologo

Tutte gemelle schizzate uguali
da una bocca di trancia
o forse dalla pancia
e dai lobi cerebrali
d’un nipote di Prometeo:  ore!
Vuote bolle di fisica sostanza
 impercettibili ai sensi:             
colme di cabale e segreti
pretese monde da affetti
di chi per disavventura
come cose le vende - nette -
quasi che
per loro natura
non nascessero infette
del palpito animale dei viventi -
e tuttavia  obbligate
a viaggiare con essi aggrovigliate
a scorporarsi coscritte ed incalzate
da imperiosi precetti
per esaurirsi in noti effetti
percettibili sensibilmente
a vantaggio di avidi acquirenti
interessati e assenti -
vietate al sonno  e al sogno -
escluse dal naturale bisogno
di sventurata gente: ore! 


martedì 12 settembre 2017

SCONVOLGIMENTI - poemetto tuttora inedito di Bianca Mannu

Nota preliminare - Ripropongo il poemetto già postato su questo blog  il 14 agosto 2015. Trascorsi due anni, è come se il giorno non incontrasse tramonto, e dalla sua notte non potesse risorgere alba nuova, ma solo il replicarsi di un tempo allucinato dentro le sue e nostre insistenti tragedie. Come è possibile non sentirsi chiamati in causa, come è possibile che noi si possa indefinitamente smentire la nostra cecità coprendo il nostro orizzonte percettivo e ricettivo con la paccottiglia delle "cartoline" confezionate con le tinte sguaiate della pubblicità più vieta, convinti di aprirci al respiro della fantasia e della bellezza?  Intanto che voi - e persino io che mi danno l'anima e i sensi per sottrarmi ai falsi incantamenti - andiamo per dubbi anfratti a ripescare parole come gemme di pietra preservate dal solito sciupio, non abbiamo contezza di come ciò che di noi vive morendo le abbandoni... Ed esse siano meno di ... boccheggiamenti!
Sconvolgimenti

Prima ancora che salga
sulla cima dello Zenit
il sole trascina l’equivoca
sua luce - oscura madre d’ombra –
da un meridiano all’altro
incrociando la lama
dei paralleli …perfidi.
Gli sfiati irraggia curvi a suo capriccio
ma cadono incessanti
in mano agli oligarchi  come ore
con mani piedi corpo e mente
da impiegare in proprio
vantaggiosamente.

E il vento - che forse la terra
generò in copula col cielo
e lo inviò in legazione d’atomi
di polveri e di pollini vitali -
ora si avvita sopra luoghi
di malsana negligenza
repentino di nembi e di procelle
spinge i precipiti succhielli
delle borse  sul loro nihil -
quale “cosa del niente”-
venduto e stivato
come massimo valore
in autoproduzione
dentro i campanili-madie
della credenza universale.

E l’acqua all’indietro si solleva
come in una fisica invertita
a maledire furiosa  i malcostrutti
d’ una genia avida e maligna
che al colmo del possesso
ne sciupa l’abbondanza - ne abusa
senza amarla - la costringe chiusa
prigioniera sotto le cantine
o la devia dentro le chiuse
a ruggire in precipizi male calcolati -
ne fa laghi privati e la nega
alle terre e ai popoli assetati
la fa sua complice in latenti
conflitti di tipo coloniale.

A quella di mare comanda di fare
da baluardo contro chi sconfina
e -in caso d’’evenienza-  di giustiziare
in modo anonimo e pulito
intere ciurme di poveri felloni
che per alcuni nostri patrioti
solo reclusi o morti sono buoni.  
Misera acqua - più che sorella – putta -
la più rotta alle faccende sporche
di questa civiltà barbina
che la destina – certo non a caso-
a stemperare - silenti - maligni sversamenti
lungo le sterrate pendici dei monti
a lavaggi frequenti e docce maniacali
di magnati di boss e di vari pescicane
nei vasti bagni di uso personale.

Misera acqua! sembra destinata -
 nel presente - a  liberare
ogni schifezza
da presunti germi
di autentica nettezza.

Ma è in ogni me che sole vento e acqua
formano una miscela ancor più … micidiale
È dentro me che il cielo maledice
la sporca zolla
che mi morde il tempo
e l’umore della vita
E dell’umano dentro me
germina il pavore
 prospera l’infelice acquiescenza
al quotidiano orrore.
    
Ringrazio Diego de Nadai che tempo fa le prestò la sua bella voce su Youtube


lunedì 28 agosto 2017

LEI - PO di Bianca Mannu

Nota informativa- Poesia iniziale di
FABELLAE -  silloge pubblicata nel 2006


LEI -PO
L'avevo in sospetto.
Mi lavorava dentro.
Mi sconvolgeva la routine
d'ape operaia.
Frequentarla è un lusso
- mi dicevo -
fuori della mia portata.
M' esigeva
complice e scaltra.
M'esortava
a praticare scomputi di tempo
che non credevo mio.
E io?
Io non tolleravo
i rimorsi di coscienza.
Vivevo-campavo così - attaccata alla mia zolla-
- senza peraltro avvertire sicurezza -
paurosa che ogni aria
di parola piena volesse
intrufolarsi nella mente
moltiplicando ingovernata
sensi ed accezioni
o
potesse dar vento
ai quesiti censurati
chiusi in cantina di decantazione.
Quando cedette la mia gleba,
fu proprio lei a sostenermi
perchè non franassi anch'io.
Ma non mi risparmiò
la vertigine del volo.
Ora son qua
a tentare i miei voletti
- con e senza rete -
E
invoco Lei per l'approvazione
che
in via provvisoria
talora mi concede.
Talaltra volta il prolungato
suo silenzio mi sgomenta.
Annaspo timorosa d'averla
- per sbaglio – chiusa fuori
- o peggio -
uccisa per strangolamento.
Cerco.
E la trovo allora
nella notte mia più fonda,
nella ferita mia
che geme come nuova.
La scorgo ancora là
- alta e lontana-
dove regna indiscussa
ostensa a cielo aperto.
Ma è come se

non la riconoscessi.


Dalla Prefazione di Valeria Pala
«Filosofia e poesia, accostate spesso con intento ironico in alcuni componimenti, sono entrambe forme gnoseologiche, ma la prima offre una rappresentazione perlustrante, neutra e socializzabile dell’uomo nella sua accezione minore, mentre la seconda, mettendo esplicitamente in discussione le false certezze del soggetto cartesiano e del soggetto epicureo modernamente intesi, si configura come senso assoluto, incomunicabile e alieno rispetto alla giurisdizione dell’umano. Proprio in virtù di questo la poesia, paradossalmente,è più atta a risarcire e a mitigare il dolore universale di fronte alla ferocia dell’esistenza… » 

martedì 22 agosto 2017

I dopo "mai più" - poesia inedita di Bianca Mannu

Piccole e immani … Guerre!
Non conta chi vince - non conta chi perde  

Propositi spettrali risalgono in flati
per le spole impure che ordiscono il futuro

Ancora e ancora mi scontro coi “mai più”
gridati in ginocchio sopra i cimiteri

Ogni fine sarà piuttosto tregua!
Conterà chi  di quel buio retaggio sa giovarsi
presentandosi alla conta dei disastri -
destra sul cuore afflitto per l’attimo di lutto

Sotto pelle discretamente calcola gli avanzi
come esiti d’imprevedibile accidente
 da cui dice di prendere istruzioni
e già se ne ascrive il merito

Prospera come fungo il suo appetito
sulle necessarie alterazioni
delle materie … organiche  

Per diletto la pancia tutta gli trema
 ed il pensiero dilagando esulta


Ma già misura - come per eco - il rammarico
di non aver abbastanza tempo e corpo
per trasformare la privata abbondanza  …
… in ciò … che persino la bestia a sé nasconde

Nota - Questa poesia è stata pubblicata anche su www.larecherche.it

lunedì 14 agosto 2017

Come goccia - poesia inedita di Bianca Mannu


Come goccia

Scaturita
dal tunnel del pensiero
s’affaccia una parola
sul labbro del tempo
assorto a comporne
il suono di goccia
che s’allunghi dal tetto –
ora che spiove

Molle goccia
in tensione d’amore
per l’umano suolo
suo alveo e destino

S’allunga ed oscilla
tremando
già antica -
incapace a ricordare
il sorriso primigenio
delle sue molecole
gemmate
dal cinereo fiammeggiare
di nembi.










Noticina - C'è forse bisogno di dirlo? Forse, no. Ma non è male ricordare come può essere dolce il gocciare dell'acqua sul suolo che la desiderava. Così è della parola che non sempre è pietra. Ringrazio il sito che mi ha regalato queste belle immagini. B. M.

venerdì 28 luglio 2017

L'IMPREVISTO - Poesia della raccolta "Sbalzi di coscienza" di Giuseppa Sicura

L’imprevisto

Esulta l’inflessibile Signora
strofina le dita
e a furor di pancia
presto (dice)
sul piatto della bilancia
il peso della pena
eguaglierà al misfatto
ma … considerato l’atto
(dovuto)
e l’ampia forbice di tempo
(con salto di secolo)
dal popolo pare voglia
l’osanna
con messa cantata e aureola

applausi infiniti si aspetta
medaglie al valore
farà coniare per gli addetti
e a faccia tosta
definisce “imprevisto”
l’insolente gesto
che al danno ha aggiunto
la beffa
un quid illegittimo
(a voce di tutti) figlio
d’ intese e poteri occulti.

Ѐ colma l’iride e la misura
turbinoso il vento
il muro del limite … infranto!

A imperitura vergogna
d’ambo le parti
quel bacio farabutto
sarà in grassetto scritto
tra le pagine della storia

alla gogna … alla gogna Signora!

Nota
Pubblico volentieri sul mio blog questa elegante e misteriosa poesia di G. Sicura, facente parte della raccolta ancora inedita, citata nel titolo.
Poesia misteriosa specialmente in virtù della raffinata costruzione allegorica che si estende per l’intero componimento.
L’allegoria è, come è noto, una figura retorica che espone, attraverso uno o più significati superficiali, dei significati reconditi. In certo senso è simile alla metafora. Ma, mentre questa riguarda un’espressione singola, l’allegoria concerne i traslati di un intero discorso. Inoltre, mentre il significato metaforico può essere colto per via intuitiva o emozionale, l’allegoria richiede un’interpretazione razionale che si fonda su un bagaglio di conoscenze e di raffigurazioni assai elaborato. 
In questo caso ciò che dovrebbe orientare l’inizio dell’interpretazione è il sostantivo personificante Signora, volutamente “maiuscolato” e accompagnato da aggettivo (inflessibile), quindi da verbi e sostantivi che accentuano la personificazione con accenti verbali di autorevolezza (dice,  vuole l’osanna, farà coniare, definisce) che presto diventano pretese autoritarie, al punto che un atto poi definito “imprevisto” , manifestamente “insolente, illegittimo” scaturisce da intese innominabili. Dunque la Signora ha partorito,  per relazione illecita, un figlio imprevisto, il cui padre deve restare ignoto.
Ma a questo punto del discorso, a ben intendere, s’è introdotta di soppiatto un’istanza giudicante che non è la Signora, non è il genitore ignoto,  ma una terza entità che  irrompe con piglio  autoritario, non si qualifica, quasi che non ce ne fosse bisogno, e, come fosse appostata lì da indefinito tempo per osservare e sancire, ha l’audacia di dichiarare come visibile ed esecrabile ciò che, pur essendo stato visto, non si stagliava nel reale come effetto illegittimo e beffardo, quale in effetti è sotto il suo sguardo  di colpo severo. Chi sarà mai questa terza istanza innominata che insiste  pronunciando la sua filippica con una mitragliata di bellissime metafore nell’unica terzina della composizione? E che, sedendo  tra  “le parti” (presumo tra la Signora e il suo oscuro partner), sancisce che il figlio è un “bacio farabutto” , la cui esistenza illegale sarà evidenziata negli annali della storia, a perenne infamia della Signora? Forse è l'onestà.
Lascerei agli eventuali lettori l’identificazione delle varie entità qui allegorizzate, oltre le cui “maschere” o assenze di volto,  potranno riconoscere  entità perverse variamente complici nella gestione criminogena del potere nel mondo attuale e entità collettive sane, a cui sembra non resti altra sorte che quella del dissenso morale rispetto alle infamie, e l’impegno  a  curarne la sanzione negativa negli annali della storia.
Comunque la si pensi, è impossibile non cogliere in questa poesia una vis critica profondamente sofferta, che non intende fotografare  i connotati visibili ed evidenti del mondo reale, piuttosto proporsi come una sua crucciata radiografia.(Bianca Mannu)





domenica 25 giugno 2017

TRENO - inedita di Bianca Mannu

Treno.- Del pendolare, come sottotitolo.
Metafora di realtà che corrono, non solo su binari sbagliati, ma sulle nostre quotidiane contrade, e che, stolidamente, troppo presto rimuoviamo e mettiamo sul conto di quelli che non sono da reputarsi rilevanti, a differenza delle folle di celebratori di bellezze, già marmoree.  
Metafora fastidiosa che si ha fastidio a registrare come "poetica", è ovvio.
Ma che poeti sono quelli  che "sospirano" in "poetese" alla luna?
Credono di essere parenti del grande Recanatese, ma non sono minimamente comparabili al "pastore errante" che s'interroga sul senso dell'umana esistenza e persino su quello della cultura e della  storia.
Qui io pubblico per chi ha voglia di dare un'occhiata, senza mio profitto e con buona pace di editori
con la sciocca "puzzetta sotto il naso". - B.M.



Sfila uscendo dalla notte la cornuta ferrovia
Allunga del sole nuovo i riverberi fiammanti
e di suoi veli gloriosi avvolge un metallico pene
scagliato a trapassare spazi – a frazionare tempi.

Tu vecchio agricoltore – già sul campo
a sorvegliare la salute delle piante –
ne avverti lontana  la furia scalpitante
che d’un subito irrompe di persona
a mitragliare l’aria - a tentare la saldezza 
con cui ogni ulivo fa nodo con la terra.

Appassionato di rigogli e vitali grovigli
che connettono il cielo con la terra
neppure disdegni la foga
e l’agile scioltezza dell’umano: sei
intimo alla terra – a transumanze aduso.

Rulla mitraglia e scrolla il rettile d’acciai
rotando  su rotaie a sprizzare scintille
e tormentare gli smorti cespugli delle prode 
Corre all’indietro un mondo di cieli afosi
sugli ulivi canuti -sulle radure arse -  sui letti di pietraie
dove grida la sete inestinguibile dei giunchi.

 Retrocede la strada ferrata dilagando
in subitaneo silenzio la sua finta stoltezza.
E un qualcosa -  un residuo – un irreale oggetto
collassa -  punto nero di matita – e svanisce 
muto – come abraso da silenziose dita.

Ma tu flaneur – poeta del tempo evanescente –

tu ne scavalchi il tiro e sei davanti ad esso 
a impattarne di nuovo la misura
ad avvertirne l’avventarsi rabbioso
a immaginare il dipanarsi del moto
su  tondi piedi d’acciaio: ta ta ta tam!
ta ta ta tam!-tatam-tatam-tatam!

Salta sopra il tuo occhio etereo
ed esibisce per te il proprio  armato
ventre – impunemente! – e ti suona
un vibrato assillante: ta-tatà- tatam
ta-tatà-tatam tatam tatam tatam!
Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!

Non c’è luogo nel tuo estro zelante
capace a contenere – a intercettare
il verticale intento della  corsa
a mancare l’abbraccio fisico letale
 l’obbligato squasso – il collass … sssss! 
Silenzio dall’abisso sparso al sole!





Taci! Taci! Taciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
Ancora non tuo il dovere di elaborare
rabbia strazio e consolante pianto
né con scelte parole tessere corone
o stendere inopportuno manto.
 
Continua a vedere in apparente vita
quella corsa spararsi sulla piana
dimenando il carico di umani  scodellati
sopra le panche lucide per l’uso -
gli sguardi trasognati sui segmenti cavi
dei montanti – quasi favi – ripostigli -
giacigli neutri di pensieri erranti …

Dillo innocente il rettile rischioso
che corrisponde al mandato  di  investire -
 in altro tempo-oggetto -  questo di pendolari
tempo diseguale e fratto- costretto a rannicchiarsi
 per pudore di possibili sue pieghe sensuali
 sotto palpebre cadenti
o a posarsi come apatico ente sui poligoni
pulsanti dei cellulari …

Trattieni  o poeta sulla tua retina sognante
l’ombra di miti corpi abbandonati
al basculaggio delle notti brevi 
e dei giorni  antelucani
irti di dissonanti richiami
e di molesti gravami  -
eppure sugo dolce di vita …

E il mare ?– Di fuori - a oriente?
È poco più di un niente di seta
che tradisce appena il blu.

domenica 11 giugno 2017

Macchinismo - versi inediti di Bianca Mannu

Scroscia la sua ferraglia sulle gomme -
come un’autostrada la statale qua sotto - inferocita
Furiosamente retrocede  la sua lunga faccia
di piombo in stato di fusione
sotto i pneumatici ruggenti

Per quanto urli e strida
la sua mascella pretende mantenersi ortogonale:
ai raggi del sole meridiano espone proterva
l’ insegna inconfondibile dell’artificio umano

Niente a che vedere con la terribilità sublime
dell’acqua stravolta che rimbomba
buia assassina … e strepita sue geometrie
imprevedibili da ostinato fattore di natura

Scroscia e stride - come indiscussa - l’arroganza
del nostro  familiare manufatto  
sulle nostre paure addormentate
nei crani disattivi – blindati
entro dispositivi di sistema

Sbraita sugli orli dei viadotti – gasata e tronfia –
dove echeggiano delle nostre sciagure
le sirene e dei cani abbandonati le canee
allo scoccare d’ogni solstizio estivo

Svegliarsi – addormentarsi - svegliarsi
ri-addormentarsi e ri-svegliarsi
(orribile  nenia pendolare) nella gola degli urti
tra i fumi dell’attrito e il singhiozzo dei clacson –

tra ermetici silenzi e il pulsare dei fari –
tra le sirene perforanti e l’intervallo infetto
trafitto da voci – quasi pigolii  pungenti
di atterrati redivivi  gementi

L’archiviazione postuma procede segnando
sul conto delle funeste coincidenze
l’ennesimo misfatto - quasi che
un possente vulnus - forse più ineluttabile
della gagliarda perfidia personale -
sia fatalmente inscritto nell’umano come tale

Così ogni figlio di madre bipede –
senza più domande – impara  sul campo
a vivere e ad archiviare esiti simili e diversi
quali prodotti di questa variabile spettrale 
che cade pronta da un cielo sempre verticale

a imprimere  il suo definitivo  ruggito
a calcoli … perfetti! – … A meno che Allah -
o chi ne ostenti la procura -  
se ne attribuisca cura e “merito”!

Nota - A cose fatte viene da chiedersi: ma i nostri paesaggi abituali, quelli che l'uomo ha concepito per dire no ai suoi presunti limiti, creandone così di nuovi  e più inquietanti, quelli che furano molto del nostro tempo e della nostra vita rivelando la tragica ambiguità dell'umana volontà di potenza, sono soggetti possibili per la poesia? 
Mi sentirei di rispondere: forse,sì - e sottolineo il forse, perché non spetta a me dire se i miei versi colgono il segno - se si libera l'idea di poesia dalla sua prigione effusiva, sentimentale e moraleggiante che si maschera con un ermetismo di maniera.
Per la curiosità degli eventuali lettori certifico che questa composizione è del 2016, dunque anteriore ai recenti e deprecati eccidi col camion a firma Isis, a Berlino.