domenica 1 luglio 2018

Agli stakanovisti della penna -satira inedita di Bianca Mannu


Salve, amici stakanovisti della penna!
Leggo di voi sull’etichetta cifrata
che occhieggia sulla ressa
dal vetro del vostro barattolo
accuratamente chiuso
contro l’evaporazione

Marcate in verbi piani
certi incroci stellari  
come se vi abitaste e – quasi aveste sott’occhio
il centro della galassia -  sens souci
la calpestaste al modo del chiasso viscido
in cui siete cresciuti alla cattiva scuola
che ai vostri demiurghi tornava buona

Vi  addebito un coefficiente
di millanteria pentagonale - sì
a voi a stelle e strisce imparentati
Vi guardo frenare  in ritardo
certe vostre fughe ascensionali
su mongolfiere di verbi riscaldati …
Verbi che in quota vagano scollati
a farcirsi di grevità banali e perciò
destinati  a franare  di sotto
nei liquami abituali

Aggrappato a questo masso che mi fu culla
il mio io di sabbia secerne ventose da patella
e sta in ascolto di ciò che volteggia e ciò che  cade
Qui sconta un po’ per caso
un po’ per deciso contrappasso 
l’angustia diversa del vivere monadico
e graffia su questo bordo periferico
 le rune della sua solitudine amica dell’umano
 inchiodata ai bordi della convessità cosmica

Questa battigia – ove  empia d’unto
si sbatte l'onda vostra -
mi spiattella ciò  che resta sulla piazza 
quando si chiudono i mercati
e la notte vi coglie accovacciati
a calcolare sugli smartphone
quanti nano-dollari pesa in borsa
ogni parola vostra

Un’aria grassa di dispetto
aspetta dietro l'angolo
e ignara fa delle parole vento
Quelle parole - che di vita traeste  
per crederle gettate riluttanti nella fiera -
sonnambulano da morte finta leggerezza

empiendovi  l’attimo di mendace ebbrezza

 Poche  ne senti crepitare di superstite
sussulto - rare le trasudanti  fato
 come quelle che Ulisse bevve
 alla morta bocca di Tiresia
Aggiungi didascalia
e stanno eterne


domenica 17 giugno 2018

Giuseppa Sicura, sottovoce, tra i versi di VALENTINO TRINCAS


Io, le conosco queste sere

Io, le conosco queste sere.
Mi hanno già preso e ripreso.

Conosco questo tempo di torpore
del corpo
e rigidità dell'anima.

Dal colore cenerino,
profumo di sandalo,
chiassose e insieme mute.

Queste sere avvinghiate all'inverno,                                                        
con braccia conserte alla primavera.

Vi conosco sere da luna park
abbandonati,
da mani tese fuori nei negozi,
da pneumatici in fondo al mare.

Sere di parole senza vocali,
di abbracci senza mani,
di libri senza pagine.

Vi conosco.
E voi conoscete me.

Eppure non vi stancate,
stridule e vischiose,
unte, immobili.

Rachitiche ed esili,
aborti di questo tempo,
figlie di paure antiche.

                     Valentino Trincas







Edvard Munch - Malinconia (1894

Che dire di questa poesia? 

Una poesia scritta con la pelle e con la mente, che connettono al mondo esterno e lo scandagliano.
Sono bastate parole semplici, concatenate ad arte, aggettivi meditati ed ossimori, per trasmettere al lettore con concretezza fotografica (in un gioco d’immagini e personificazioni) sensazioni impalpabili e concetti astratti.  

La primavera tarda a venire e ci rituffa indietro nel tempo, deludendo le nostre aspettative; ci destabilizza. Ritornano le atmosfere invernali appena trascorse, ma non ancora archiviate, un passato ancora troppo prossimo per non sentirne le fitte.
Chi è meteoropatico riconosce subito quelle atmosfere tristi e malinconiche. Passa attraverso il corpo la malinconia e raggiunge presto l’anima e per alcuni poeti  è compagna assidua, un volto familiare.
C’è sintonia tra il poeta e “ queste sere”, affinità elettiva, come fossero attese e non subite. Sono il liquido amniotico, l’ambiente primigenio e ideale per l’autore, che lo riconosce come proprio e lì aspetta d’immergersi  ancora, lasciandosi prendere e riprendere e godendo anche, e soprattutto, di torpori, silenzi e solitudine.
Le situazioni evocate nei versi  sono momenti  vissuti che hanno lasciato impresse nell’anima immagini che faranno fatica a sbiadire, sia che trattasi della mano di un mendicante, del luna park  o di uno pneumatico finito in fondo al mare. Ѐ Il pensiero dell’abbandono che predomina in quelle immagini e ci coinvolge nell’approdo verso l’ineluttabile fine: fine dell’essere, ma fine anche della bellezza e della purezza, con tutto lo sconforto che vi si accompagna.
Nell’ultima strofe il poeta tenta un atto d’accusa verso il nostro tempo, che polverizzando i valori umani, ci condanna all’incomunicabilità; ma è quasi un punto interrogativo,  che subito dopo, nell’ultimo verso, trova forse la risposta giusta.
Non ci sono parole e gesti  che potrebbero confortarci, né libri che possano lenire o alleggerire fardelli  legati  a “paure antiche”, ormai talmente sedimentate nelle nostre viscere da fare un tutt’uno con noi, senza scampo, e noi in quell’insieme ci riconosciamo e, inconsciamente, tendiamo a ritornare.
Certi poeti (e Valentino è uno di loro)sono condannati alla malinconia e alla solitudine che, in alcuni momenti, con la complicità delle variazioni atmosferiche, si acutizzano. Riaffiorano i ricordi a marcare le assenze e lo sguardo verso il futuro si fa vago, incerto; la vita appare solo un cammino verso l’ignoto. Ma è in questi momenti che i poeti ci regalano versi indimenticabili, avvalorando quanto affermato da Aristotele e Marsilio Ficino, che al temperamento malinconico associavano profonda capacità riflessiva e genialità: pensiamo ad artisti come Van Gogh o De Chirico, a poeti come Leopardi o Baudelaire. Non di meno Rainer Maria Rilke, che elargendo consigli ai giovani poeti, raccomanda loro di non temere la malinconia, ma accoglierla e farne buon uso per affinare sensibilità e talento creativo.
Una forma di attrazione fatale lega l’artista alla malinconia ed anche il grande scrittore e poeta tedesco, Hermann Hesse, ce ne dà testimonianza negli ultimi versi di una sua poesia: inutili tutti i tentativi per sfuggire, ogni vagare è un viaggio che lo riporta a lei.


  Alla malinconia                                                                                                                                   
     
Nel vino e negli amici ti ho sfuggita,
poiché dei tuoi occhi cupi avevo orrore,
io figlio tuo infedele ti obliai
in braccia amanti, nell'onda del fragore.

Ma tu mi accompagnavi silenziosa,
eri nel vino ch'io bevvi sconsolato,
eri nell'ansia delle mie notti d'amore
perfino nello scherno con cui ti ho dileggiata.

Ora conforti tu le membra mie spossate,
hai accolto sul tuo grembo la mia testa
ora che dai miei viaggi son tornato:
giacché ogni mio vagare era un venire a te.
                                                         Hermann Hesse                   

                                                                                                                                                  GIUSEPPA SICURA      

Noticina di Bianca- Ben felice di ospitare; e grazie a entrambi per aver promosso questo istante di dialogo! Mi consentirò sommessamente un'ossevazione personale per dire come un testo poetico mobiliti energie immaginative differenti a seconda della persona che legge. Avendo letto prima di tutto la poesia, ho colto d'emblée il senso di un'assenza immane stagliarsi tra me (io e il poeta)e il mondo graffito di storia. Enumerandone i connotati, oscillo incerto/a se il senso di vuoto sia dato dalla mia accidia o da uno smarrimento generalizzato o dalle due cose insieme. Rimanendo all'escussione degli effetti, mando un quesito all'origine... Mi do una risposta tranquillizzante: sono aborti di concepimenti antichi. E qui sussulta di nuovo la mia irriducibile diffidenza mentale: il male non viene dal passato più di quanto non possa germinare e proliferare nel presente. È il presente che anima e rende efficaci gli spettri più arcaici e ne amplifica l'efficacia con la modernità tecnologica. Sbugiardando(parzialmente) Hesse, socializziamo la malinconia e facciamole partorire amori privi di possessività.(B.M.)
 

martedì 22 maggio 2018

IL GIOCO DELL'ESCLUSIONE DEL FEMMININO - Incontro con l'autore a CAGLIARI


Associazione culturale di Cagliari
IL MAESTR’ALE
nella cornice di un’attenta valorizzazione dell’attività e della produzione letteraria

presenta 

Incontro con l’autore:

Bianca Mannu
Poetessa
e
Maria Rosa Giannalia
relatrice

discuteranno sul tema:
Il gioco dell’esclusione nel femminino
attraverso l’opera poetica dell’autrice e la lettura di una scelta delle sue poesie


 Un filo rosso che percorre

sette opere poetiche 


Venerdì 25 Maggio

Ore 18.00

Sede di
IL MAESTRALE

via
S. Lucifero, 65

Cagliari




Ingresso libero











giovedì 10 maggio 2018

Per “La tirannia dell’istante” proposta da Giuseppa Sicura


“La tirannia dell’istante” 
declinata in versi



Sontuoso istante 
vestito di broccato
che trasformi in perla
la lacrima sfuggita
per aver dato al tempo
il tempo di scavare un solco.
Istante che basti a te stesso
alfa e omega legati
sopra i miei occhi chiusi
che rallentano il cuore.
Grano di tempo
verità e ricordo
che tutto contieni
che tutto svuoti
Mi consegni nuova a me stessa
Ogni volta.
                      Angela Argentino
                                Poesia inedita



Senza scettro e corona

Atomizzato si srotola
l’istante
come funambolo impazzito
frenetico fluttua
senza regole e ritmo
inseguendo clamori
e luccichio del nuovo

catapulta
dottrine e valori
ad ogni oscillazione di borsa
e adesca senza fatica
nella sua inane corsa
(dal canto del gallo
al declinare del sole)
adepti
dentro la rete
tra un self e un post
tra mille like nascosti
a scalare
grattacieli d’argilla
dove il senno è bandito
e la quiete…

raccatta omuncoli
miopi
ad ogni angolo
e incrocio di vie

senza scettro e corona
esercita impunito
la sua tirannia.
                               Giuseppa Sicura
                                          Poesia inedita
                           Dalla raccolta “Sbalzi si coscienza”


Lettera dal futuro

Confidammo al domani
l’involto degli auspici
 con la cauzione algebrica
allegata
Il domani diede forfait
si presentò istante
privo di credenziali
 con la pretesa
di durare un oggi intero
di essere nuovo
 di
 non riconoscere pendenze
di non
 fare appelli
segnare assenze
Gli inalberammo contro
nostre aspettative
Significò
senza articolare suono
«Fortuna vostra
d’aver varcato vivi
la mia bocca!»
Un boato - in quella -
ci sparò alto
poi ci abbatté sul suolo
Il cielo sopra noi
ardeva tutto in fiamme
Più che sospetto
ci trapassò certezza
d’essere giunti vicini 
al suo sfintere

                                           Bianca Mannu
                     Dalla silloge “Temporaneamente
                     in “Sulla gobba del tempo”
                     Ed. Grafica del Parteolla- Dolianova 2017


 In queste tre poesie il concetto di tempo viene percepito soprattutto nella sua manifestazione minima: l’istante. Nella prima appare come un granello, quasi impercettibile, eppure segna l’inizio e la fine della nostra esistenza e incide solchi indelebili in una continua successione di distruzione e trasformazione che ci consegna alla vita e a noi stessi sempre rinnovati: un piccolo gioiello di broccato! Una dipendenza dunque positiva e benevola agli occhi della nostra poetessa, ma alquanto subdola per i tanti che non riescono ad accettare, nel travagliato passaggio terrestre, metamorfosi imposte comunque incondizionatamente e senza appello.


Nella seconda invece si mette l’accento sul trascorrere troppo veloce dell’istante nella società odierna consumistica e miope, dove anche i valori più alti e radicati sono annullati. Una società travolta dai mercati nella frenetica corsa verso le illusioni materialistiche e dai nuovi social verso realtà virtuali ed effimere. Ogni sguardo al futuro è appannato dal godimento del tutto e subito che condanna l’umanità a subire la perenne soggiogazione tirannica dell’istante.

  
Nella terza lo sguardo al futuro appare comunque inutile perché la vita si presenta come un continuo susseguirsi di istanti, ognuno con le sue incertezze e le sue novità, senza fardelli. Ogni opposizione, rivendicando le nostre aspettative, è destinata a fallire e pertanto insignificante. Non ci resta  allora che ringraziare di essere almeno ancora vivi al sorgere del nuovo istante? E qui l’ironia velata della poetessa si palesa.  Altro che ringraziare: l’istante  si presenta sempre talmente faticoso e ingannevole che spesso preferiremmo non conoscerlo. In questi versi la tirannia  è ancora più totale e profonda, in quanto investe non le modalità del vivere ma la vita stessa nella sua essenzialità.  Vivere nel presente dell’istante appare  un obbligo, una pena da scontare, più che una conquista o soddisfazione.

Tre modi diversi di declinare un tema spesso al centro di riflessioni e dibattiti letterari e filosofici, nel passato e nel presente, qui affrontato in veste poetica  da ogni autore in modo singolare . Pur nella loro diversità di stile e pensiero e attraverso  considerazioni apparentemente lontane ed opposte credo che nella sostanza gli assunti, direttamente o non, convergano verso il medesimo punto. Nel primo testo, dietro un’apparente ottimismo si cela il rovescio della medaglia, quel profondo senso di demolizione che comunque è implicito nel rinnovamento continuo. Negli altri due la visione è più disincantata e lascia un sapore amaro, sia quando il tono si fa incisivo, sia quando è smorzato da qualche tocco d’ironia.

L’accostamento dei tre componimenti è avvenuto del tutto casualmente  alla lettura del primo, pubblicato su FB dall’amica poetessa Argentino, che ha fatto da stimolo alla mia curiosità, ha acceso la memoria di letture lontane nel tempo, ma soprattutto di quelle più recenti e mi ha portato ad operare la comparazione.

Galeotto fu il saggio di Hylland Eriksen “The tyranny of the moment” tradotto in italiano col titolo “ Tempo tiranno” Ed. Elèuthera  - Milano 2003

Giuseppa Sicura




































giovedì 3 maggio 2018

SENZA FONDAMENTO - Inedita di Bianca Mannu

Sulla forca del dubbio 
-che non mi salva e non mi assolve -
 la mia vita di carne
 il mio cuore di foglia
sono tuttora appesi
quasi che per destino
aria e vento
mi siano muri e pavimento
e il grembo e il seno – caldi - (perduto asilo
 provvisorio a filo di frontiera e mitico alimento) –
siano oggetti per il sogno
e il perenne ontologico scontento.
Non mi rassicura né mi spegne di netto  
quel sole - duplicato come vero
sul display della corteccia cerebrale -
che pende in senso ortogonale
sul manufatto del Fabbricante cieco
(discrimine oggettuale arcionato sull’assurdo)
vademecum “par provision y por necesidad”
in ordinari sopralluoghi e disamine insicure …

O mia povera anima analfabeta e credula
tutta contratta dal peso dei timori
sul fondo più opaco – più disprezzato e osceno!-
del mio scurissimo sfintere
sentenzioso oracolo di salute corporale
e inverecondo sintomo di tabe irrimediabile!   
  
Il pendere reale da un rampino virtuale
ratifica l’immanenza della dissoluzione
che certo mi risolve (fatale presente indicativo!)…
… in un culo di tempo mi risolve

me in un luogo apatico dissolve
in cui “la vita” (rappresentata in verbis)
per  decisione autogena
mi separa da sé
vel si divide da me
senza possibilità di
 reciproco rimpianto.   

venerdì 13 aprile 2018

PRIMA DELLA NOTTE - inedita di Bianca Mannu













         Prima della notte

Nuda d’ogni presagio
come dei panni al bagno
scivolo
sul tuo enigma
chiuso dentro una tastiera
che
mi torna e non mi torna
familiare.
Apre
ai tocchi
della mia mite indiscrezione
i solchi del respiro
quasi una luce
che si spanda e fugga
lasciandosi dietro
col sentore del gusto
la crisi dell’assenza
a patire in me per questo mare
che
di sé m’intride e m’avvelena
a prilli d’indicibile.
Se
 l’ebbrezza che asseconda il moto
deciderà
l’impatto come incontro
-né si sa chi con chi-
sopra il ciglio dell’onda
dentro l’occhio dell’istante
saremo forse
una
prima della notte.
 


Noticina- Luna e spini è una foto di un mio dipinto (acrilico su cartoncino nero) donato a mia sorella, Bruna che non c'è più.