martedì 5 luglio 2016

Bianca Mannu legge DETTAGLI DI UN SORRISO - romanzo di Gianni Zanata

Non conoscevo niente dell’Autore né delle sue opere. Ora che ne ho una in mano, so  ancora meno di entrambi e forse, a lettura compiuta, non saprò se mi mancava o no. Un incontro casuale, prima che col suo autore, con un suo romanzo: Dettagli di un sorriso. Un “noir”, dicono.
Gli incontri casuali riserbano sorprese, a volte negative, a volte solo piene di punti interrogativi, perché se non hai già pronto un protocollo per la schedatura, lo scritto permane in un limbo di quesiti e saltabecca da una casella a un’altra, finché l’oblio finirà per tingerlo di una patina neutra. Ma se scrivi le tue impressioni, impressioni senza pretese, positive o negative o incerte o ambivalenti, qualcosa del testo resterà scritta dentro di te. Quale migliore omaggio all’Autore, après tout!
Comincio, dunque, a leggere diligentemente una pagina dopo l’altra, galleggiando a pelo di discorso, fino a cogliere i segni di una geografia fisica che mi pare familiare e tuttavia aliena. Una fisicità che scorre in trasparenze discorsive contestuali, che io riscopro nella mia quotidiana esperienza come in un fondo irrisolto, che mi spinge  a frugare nei circuiti narrativi e lessicali altrui – e ciò va annoverato come  loro pregio –  quel mio fondo che mi elegge pianta straniera, mai acclimatata del tutto nella sola terra nativa, ospite ostica. Straniera e avventizia perenne,  annuso nella traspirazione di altri vegetali, locali o allogeni, i fumi delle mie vibrazioni respinte in una sorta di chimismo ancestrale.   
Il filo di Arianna per addentrarmi in questo libro dovrei cercarlo  raggomitolato nel titolo. Ma questa è una  tecnica di lettura che non mi si confà.
Nella tecnica compositiva del fumetto, la rappresentazione del dettaglio racconta più di tante parole e fornisce informazioni plastiche sulla psicologia e sullo stato emotivo dei personaggi. E a furia di dettagliare la presunta unità-identità individuale s’infrange talora irreversibilmente, perciò nel fumetto nessuno muore mai davvero. Il fumetto schizzofrenizza la presunta compattezza dell’altrettanto presunta realtà, assume il dettaglio a categoria esplicativa e/o motivazionale del tutto, rappresenta l’alterazione febbrile, il reale patologico. Il noir letterario corrisponderebbe a questo disegno. È a questo che il titolo,  Dettagli di un sorriso, vuole alludere? Forse.   
Comincio invece come lettore ingenuo e credo che solo strada facendo perderò, se la perderò, la mia ingenuità, vera o presunta che sia.
Ed ecco un, anzi il personaggio, Valdo, baldo e baldanzoso, tutto sciolto nella propria autocontemplazione attiva. Norman, di cognome, uomo del Nord e forse anche uomo di norma… Al tempo.
Un personaggio  alle prese con la propria schizofrenia. Giornalista sui generis, delinquente in subordine e serial killer, troneggia nel testo evocando figure di carta, spettri umani senza vapore di vita.
Se la racconta –il Valdo-io narrante - questa storia senza storia, da capocomico pressoché solitario in un proscenio deserto, intento a trascinare un vuoto di senso da capitolo a capitolo. D'altronde nella follia solipsista tutto si tiene, anche il tutto di niente: ciò che  è dato come la cifra dell’esistente e del pensiero che lo pensa. Questo inferisco.
Però, da delinquente colto, il Valdo tenta persino di connettere la sua vocazione criminale con un mitico e fumoso ritorno della rimossa ferita prodotta da violenza paterna. Ci fa sapere anche che lui opta per la parte femminile, per via del giusto omaggio alla posizione ideologica progressista, lui freddo carnefice di donne! Quasi ricupero atroce di uasiquel bimbo che anela a identificarsi con quello stesso padre feritore.
Il “Freud” semplificato funziona sempre come passe-par-tout dell’animo più oscuro. Almeno un po’ sembra fornire spiegazioni rapide  e razionali.  Poi, buio.
Ma il lato “bello” cioè “etico” del personaggio Valdo è questo: chiamarsi fuori dal suo atroce pantano e tratto tratto snocciolare, a se stesso e per noi,  le sue considerazioni morali  desunte, pare, dal suo tastare il polso alla “gente”, peraltro contumace, destinataria ipotetica e improbabile dei suoi motti.
Se l’intenzione dell’Autore  era  quella di scattare dei flash sul vuoto umano che l’individualismo culturale planetario introduce nella crosta carnea della socialità contemporanea, anche in quella isolana - solo apparentemente fissata in immaginari modelli  recessivi e rassicuranti - possiamo ammettere che vi sia riuscito. Ma a che prezzo! Al prezzo di sottrarre al lettore ogni lavoro dialettico diverso dalla meccanica che, repressa e autoalimentata, tracima verso la soluzione criminosa e la celebrazione egotistica.  Ma quale crimine, poi?  Si può dire crimine, e tremarne, se si continua a trafficare in un “verbale” annientamento di figurine di carta, silouettes senza carattere, macchine per giustificare un gesto che pretende di spendersi come definitivo, letale?  
Manca il racconto, non dico verosimile, ma quello dell’inquietudine, se non della lacerazione. Insomma l’Autore-Valdo se la racconta facile. Ma in qualche tratto la parola del soliloquio, usuale, reiterata, carica di assilli e allusioni, apre un proscenio onirico “alla Beckett”, da cui fuoriesce un flusso che, per la sua indifferenza logica, per l’escussione sequenziale e talora lucidamente demenziale di asserti e marcature macroscopiche, si apre a una sorta di poesia capace di sostenere ogni gratuità, oscurità, caduta di senso.
In fondo lo Scrittore lascia trapelare il sospetto che il dire e il fare narrati siano tutt’uno col farnetico del  protagonista e con la sua sterile ansia demiurgica e punitiva, quasi da giustiziere della notte, ma senza giustizia, senza parvenza d’amore, senza riscatto possibile e senza un vero suolo di gravità. Così la sua paura e lo scambiare una maschera accosciata sui gradini di una chiesa per il fantasma d’un idolo morto. Eccolo lì il Valdo, selvatico e/o dominatore, uomo-norma del suo cerebrale proscenio.
E lì il linguaggio ben padroneggiato dall’Autore, e venato d'ironia, si snoda veloce lungo una corsia che si staglia tra un buon italiano medio e l’inclinazione ben temperata in  direzione di uno slang malavitoso, in sintonia col tempestare delle musiche di “stretta osservanza jazz”, col fluire del whisky e dei suoi fumi, omaggio all’americanismo  culturale che si vende meglio del nostro vino.


giovedì 2 giugno 2016

Su Dove trasvola il falco - poesie di Bianca Mannu

Nota 
Parlare  della propria opera può suonare autoreferenziale, vanitoso. 
Riflettiamo un po'.  La poeta, ancor più del poeta, per la nota e non superata questione che una donna avrebbe ottenuto dalla natura qualche marcia in meno, deve superare più ostacoli per dimostrare, non solo che vale,  ma che esiste. Esistere per altri sembra la facile deduzione di una constatazione. E invece non è così. È  richiesto l'assenso di qualche autorevole testimone, meglio se di sesso maschile, il quale si faccia garante. Garante di che, poi?
Dunque supero questa questione rivendicando il diritto di essere madre di me stessa,  certificando la mia esistenza di poeta con l'esibizione della mia scrittura in righe corte e parlando di essa come mio modo di ospitare nel mio spazio interiore esseri e cose e trasformarli in enti comunicabili. Questi, se sono enti e non solo glifi sillabici, tornando all'esterno si trascinano qualcosa che è parte di me e che è irriducibile alla loro scarna natura, ammesso che esista una natura in sé delle cose e delle persone e non si dia, invece, un continuo processo relazionale che neppure la scrittura fissa per sempre. Anzi la scrittura  rimescola passato, presente, eventuale e inopinabile, sommuove anche scuotendole le cristallizzazioni culturali che tendono ad assolutizzarsi e, ripetendosi, a banalizzarsi.
In Dove trasvola il falco  il mio  discorso fa corpo col mio modo di vivere e di essere sarda, di sentirne la storia, di condividere le ansie e le fatiche delle nostre genti  senza compiacermi e specchiarmi in forme sentimentali declamatorie e dicendo no all'erotismo compiaciuto delle "cartoline"poetiche spesso taroccate, come le foto per risultare adescatrici nei confronti del turista. Oggi propongo in dono un riferimento paesaggistico rivissuto come leggenda.


I Sette Fratelli
 
Arcionati in cresta – sette!
Come i sette peccati capitali –
vicine le teste sul corto collo
a confabulare oscuramente
di orrende cose di terra e di mare.

Hanno – di fraterno –
la somiglianza petrosa
il profilo ferrigno
e lo stare prossimi e ingrugniti
come i giorni della settimana
cui s’è guastata la festa.

Di fraterno gli manca
l’invettiva l’avida mano
e il gesto assassino.

Fraternamente dividono
l’ossuta schiena d’una cavalcatura
che attende al passo le nubi
per fingere di galoppare
sopra gli argentei capricci

del mare.

venerdì 13 maggio 2016

Donna speciale - da Dove trasvola il Falco di Bianca Mannu



Donna speciale  (Brano)

Sono e non sono
quella qualunque donna speciale
che - come un'essenziale
 smarrita e ritrovata
tessera di puzzle -
s'incastona a perfezione
nel tuo quadro.
Per te forse sarei
e forse no - quella.
Ma di certo questa sono
che ti ha colto - mentre cerca -
a cercare turbato quel tu -
senso perduto della tua
contenta immagine
riflessa nello specchio del comò
della tua camera nuziale
 - ora deserta -

Era quel tu - che non dici scontato -
ma ch'era buono e ch'era così poco
che quasi tutto adesso pare
ché non c'è -
l'essere stesso del fervido calore
attribuito per torpidità
d'amore alla casa,
al buon cibo tenuto caldo
per l'Ulisse che ancora sei
- svagato e stanco per la corsa
dietro a Nereidi e Ciclopi
privi di mistero.
 
Era lei il cono di luce
acceso e in libera caduta
sulla tovaglia usuale
e sul tuo piatto solo.
E quella lei - aspettandoti -
il primigenio discorso
ritesseva nella mente -
ma a te davanti mancava
la via delle parole.
E per riscatto incrociava
- muta – il tuo sguardo.

Ed era la sua mano
- tra una posata e un piatto -
tenera e già antica
risaputa non poco
nel monito garbato
che posava sulla tua spalla
leggera e smemorata
il presagio segreto d'un tumulto

che - nell'assenza tua
da un sole all'altro –
cresceva indisturbato
nel cuore del tuo lembo
di creduta terraferma.

Lei - che in quella terra
stando quasi sola
più sola viaggiava
verso il nulla - in sé
portava innescata
quella miccia che forse
non sapendo divinava.
......................................

domenica 1 maggio 2016

Primo Maggio: dedico di Pablo Neruda ODE AL MURATORE TRANQUILLO








Il muratore
dispose
i mattoni.
Mescolò la calce, lavorò
con la sabbia.
Senza fretta, senza parole,
fece i suoi movimenti
erigendo la scala
livellando il cemento.
Lento andava e veniva
nel suo lavoro
e dalla sua mano
la materia cresceva.
La calce coprì i muri
un pilastro levò in alto
la sua nobiltà
e il tetto
frenò la furia
del sole esasperato.
Da un punto all’altro
andava
con mani tranquille il muratore
rimovendo materiali.
E alla fine
della settimana,
i pilastri,
l’arco,
figli della calce, della sabbia,
della saggezza e delle mani
inaugurarono la semplice saggezza
e la frescura.




domenica 24 aprile 2016

Dove trasvola il falco:Messaggi dagli "altrove" - Bianca Mannu

Premessa

" Messaggi dagli "altrove" è la seconda sezione della raccolta.  Che cosa sono gli "altrove"?
Non sono esattamente dei luoghi fisici, ma situazioni che ci relegano - momentaneamente -dalla esasperante connessione con il pubblico,  con il sociale quotidiano. Sono bensì parte, talora importante, del nostro "giorno per giorno", ma di cui sembra che non si possa andar "fieri". Perché essere fieri o sembrarlo è una delle occupazioni fondamentali per "vendersi bene", per essere in e non aut. 
Si può essere aut, dunque soli, dunque preoccupati, quando il nostro corpo si logora, manda segnali inquietanti e noi non siamo, non possiamo essere-sembrare compagnoni, ridanciani, animali da compagnia. E in quel caso intratteniamo persino speciali relazioni col senso della verità. E allora sì che diventiamo "scomodi", pericolosamente vicini al politicamente scorretto...
Si è aut quando chiamandoci fuori dalla folla, intercettiamo personaggi comuni che prendono rilevanza al nostro sguardo disincantato e indagatore. E allora scopriamo di far parte della serie, a tal punto che di ciascuno possiamo indovinare le sequenze che tengono dietro a un tic, a un motto, a un atteggiamento...
Si è aut quando la nostra sensibilità vive gli eventi naturali comuni come metafore del proprio scontento o della propria esaltazione. Si è aut perché abbiamo contratto il vizio di scrivere versi. Niente come scrivere e, ancor più, aver la fissa di scrivere versi, ti costringe a valutare il senso di ogni relazione e dunque a viverla e guardarla attraverso il fondo d'un bicchiere e sentirla come se si addossasse a tutti i tuoi orifizi della sensibilità...  
Beh, ecco qualche stralcio di alcune  composizioni. 


La piscina incantata

Sm … ar – smar …  ri – i … ta a a…
prima per sorte
e poi per scelta.
                                                
…Mi sono smarrita…
tra le radiografie
dove già sono scheletro.

…Mi sono smarrita…
tra le ricette crittografate
tra le «impegnative»
che sciupano
il tessuto sottile
dei miei contatti umani
che sfibrano
la mia esistenza sociale.

… Mi ero assopita …
tra le voci del corpo
come fossero liberi suoni
privi di destino e di scopo.
Ma erano oscuri richiami
trasfusi in un vento
oblioso e sicario.

Campane a martello
-idioma perduto-
traversano la mia storditezza.
Costretta.

All’ufficio protesti
riscuoto -con tassa di mora-
avvisi inerti e negletti.
M’imbatto nei miei malumori -
strinata e straniata in frammenti -
senza potermi incontrare.

Li bagno e li assemblo
con liquide liane
adoprando l’umore smorfioso
d’una piscina deserta...


 L ira - antiPoettica[1] - della sera 

La sera – questa sera –
ha messo su
un grugno ispido di vento.
Si è data in più
un ceffo da bandito.
E da dietro la schiera
dei cespugli ha inquisito
col suo fiato violento
gl’intrepidi sportivi della passeggiata.
“Nessuno – in serata –
si professi innocente!
Siano i venti a concerto!

Che questa gente
torni al suo coperto
per levarsi i bruscoli dagli occhi
e – se li ha – dalla testa i pidocchi.
I pochi - colti in flagranza di cernecchi-
ricorrano all’uso degli specchi
appesi alla parete dell’ingresso
per non spaventare
i pantofolai che stanno al cesso -
per non turbare
i saggi abitatori di poltrone
sistematicamente - e non per caso -
intenti a scaccolarsi il naso
davanti alla televisione.
 
Invece fidanzati e affini –
quelli che non piangono bambini -
sono autorizzati temporaneamente
- occupando panchine o sedili –
a stropicciarsi reciprocamente…
                                                                                                         

E resto là : un calamo
al confine incandescente dello stagno
dove cola insonoro il sangue
d’un sole guasto che si svena.

Là – dove a occhio nudo c’è vita
che impura s’altera e rinasce -
anche il torrente meridiano
di certe mie indicibili visioni
sfocia e – come in un grembo -
si raccoglie a lievitare.






[1] Gioco di parole con cui si allude all’umore (l’ira) e alle sonorità dell’ora, ma anche, tanto all’antipoeticità dei temi del testo quanto al nome proprio, «Poetto», del lungomare e della spiaggia di Cagliari e di Quartu Sant’Elena. N. d’A. 

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mercoledì 13 aprile 2016

Minuscola riflessione umana e politica: è morto un uomo.

Mi concedo un piccolo intervallo, non letterario, di riflessione umana e politica in senso lato.
È morto un uomo che senza dubbio ha avuto un'inedita parte nella vita politica italiana e in un modo assolutamente singolare: forse mosso da un impulso etico politico, ha guardato oltre la soglia della sua azienda (soglia informatica, peraltro, e  molto sintomatica),  ha "visto" le inquietudini e la possibilità di richiamare alla politica un'amplissima porzione della popolazione italiana che, espropriata e tradita dai partiti tradizionali, sembrava aver perso ogni possibilità di incidere positivamente nella vita e nelle scelte sociopolitiche del Paese.
Personalmente, sapendo poco e niente dei suoi fondatori, ho guardato con molta simpatia al sorgere e allo svilupparsi del M5S, ma essendo rimasta irrimediabilmente innamorata dell'analisi marxiana sul "Modo di produzione capitalistico" e degli sviluppi teorici che diversi studiosi - ahimè, poco letti - le hanno impresso, non mi sono sentita di abbracciare in senso totale  quella che io ritengo la "debolezza politica" del movimento stesso per mancanza di cultura teorico-politica. Ciò che tuttavia manca agli esponenti dei partiti tradizionali.
Detto questo, sia reso onore all'uomo Gianroberto Casaleggio per la sua insostituibile opera, per la sua sommessa generosità umana e sociale.
Ma ciò che ha motivato questa mia espressione è il moto di indignazione suscitato in me dai diversi "coccodrilli" televisivi, radiofonici, della stampa nei suoi confronti.
Mai animatore politico fu più silenzioso (e così è apparso) e mai fu più malignamente presentato e speso, mai così sprezzato, sbeffeggiato, ignorato... Ogni problema, ogni impasse che abbia segnato la vita del M5S gli fu attribuita come colpa.
Dove erano i suoi sedicenti amici ed estimatori postumi quando si vendeva la sua - ora ripescata - onestà  a un tanto al chilo? Perché i giornalisti, amici e non, hanno eluso in modi grevi il dovere di fornire una informazione più ragionata e politicamente complessa di questa personalità al popolo italiano? Perché solo ora, magari in attesa di eventuali (ghiotti) sbandamenti? 
Bianca Mannu

giovedì 7 aprile 2016

Nozze da Sogno (drag and drop)- da DOVE TRASVOLA IL FALCO di B. Mannu - Edizioni Thoth




 Offro in lettura un brano di NOZZE DA SOGNO, dalla sezione Donne e madonne della silloge DOVE TRASVOLA IL FALCO, p.38. È un apologo in versi (circa 114) che allegorizza certi aspetti della condizione psicologica femminile nell’Occidente evoluto, così come viene 
stimolata e controllata dai grandi comunicatori, i quali in modo impersonale e culturalmente organico al sistema economico-politico vigente, canalizzano non solo bisogni, gusti e desideri di cose da parte degli individui, ma costruiscono veri e propri modelli di comportamento e di autopercezione del sé profondo, a cui il soggetto viene chiamato a corrispondere per sentirsi persona. In particolare ci si rivolge al femminile, da sempre assoggettato e assoggettabile alla preminenza del modello sociale patriarcale. Questa manipolazione, con partecipata complicità (parzialmente conscia), serve al coronamento della visione ideologica del mondo attuale, e fornisce l’immagine riposante di una piena realizzazione della libertà e dell’autorealizzazione personale. Ciò che è invece falso e riguarda forse, ma con forti condizionamenti problematici, una schiera esigua di privilegiati.
 
Nozze da sogno (drag and drop)
Nozze da sogno!-
reclama il deretano del bus
che t’impegna la carreggiata
Per questo solo cenno e ben poco di più
trasbordi imbambolata
dal retro del tuo parabrezza
quasi dentro l’immagine gridata
È il richiamo d’una fotografia da studio
che s’accompagna a una banale surah:
“Nozze da sogno”   - insiste

Ti dici che la ignori e invece
ti s’impone - ti fa da orizzonte –
occhieggia – cazzeggia –
t’avvolge e coinvolge
nel tripudio dei suoi fiori finti –
fiori d’arancio e giacinti
rose bianche e sanguigne –
pulsanti
al riverbero dei catarifrangenti
tra le occhiatine
dei semafori ruffiani
e gli sfiati dei freni
Tu fremi
e inutilmente premi
sull’acceleratore

Ma t’impedisce il bus 
di colpo in sosta forzata
per avere agganciato
col retrovisore
tutto intero il bucato
steso di contrabbando
tra una finestra e l’altra
di un piccolo ammezzato
Si sacramenta da quel deflettore
a un altro - in omaggio
allo stile stradale  del momento -
e intanto
l’autobus ha svoltato.

Invece lei –l’ectoplasma della foto –
ha preso esistenza d’anima
insiste ed esiste dentro la tua retina
perché tu possa giocare alla fiaba
di quell’ Addormentata 
-Sì. Ma fino al prossimo stop?

- Forse  Vedrò.
.....................................
Nota:*Anche gli aspetti marginali della cronaca politica di questi giorni (aspetti gossip) ci raccontano l’orrore del ruolo femminile in prossimità col potere!*
 Il sottotitolo dell’apologo fa ironicamente riferimento, tanto alla pratica del copia e incolla, invalsa nel paesaggio informatico sempre più abitato e ambiguo, quanto alla penetrazione subliminale degli imput ideologici e psicologici (oltre che rozzamente commerciali) che la rete ricicla acriticamente fino alla noia, fra i quali primeggia l’idea (non vera) della raggiunta condizione paritaria dei generi e altre idee, archiviate sotto il nome di “valori”, a cui non corrisponde nessuna reale prassi.
Sono sarda e abito in Sardegna.  In quanto isola questo luogo è un crocevia di situazioni aporetiche socialmente penalizzanti, dove si intersecano affermazioni miopi, per non dire reazionarie in materia di politica e amministrazione, dove tesi contradditorie e conflitti reali  pulsano paralleli, dove la povertà divide in gruppetti contrapposti le popolazioni e uccide la voglia di informazione e di lettura, dove si è paurosamente abbassato il livello delle competenze intellettuali fra i giovani e dove si coltivano nostalgie per un passato che non fu mai il regno della nostra identità isolana, caso mai quello del nostro asservimento o della nostra passività.
Qualcuno potrebbe chiedermi: “ Ma tu scrivi versi a tesi?”
La mia risposta è no. Scrivo per un bisogno interiore, per trovare senso, per fare e farmi domande e per offrirmi… chi sa? una cima a cui annodare qualche possibilità di riflessione e colloquio con altri da me.  Non vivo rintanata nel mio stomaco e neppure nei miei personali affetti. B. Mannu

lunedì 26 ottobre 2015

Storia senza storia - giocatina inedita di Bianca Mannu

Dentro casa a porta chiusa- 
mentre gatto fa le fusa -
una maga fa le carte
e non comunica la sorte
Una radio a onde corte
da notizie dritte e storte
una radio a onde medie
parla e canta per le sedie
una radio un suono irradia
modulando sua frequenza
dalla scansia della credenza.
In attesa sta la maga
che le paghino la paga
non buscata col cristallo
ma sudata su ogni callo
di pedoni doloranti
restituiti ai piedi santi
Con la crisi in certi casi
si sorvola e si fa stasi
Con la stasi e il contenimento
ecco pronto il licenziamento
Maga gioca scarta e spera
“male” - dice sua interna sfera
Or l’attesa si prolunga
Maga teme non le giunga
la sua paga e già mugugna
Allora il gioco lei prolunga
Lo prolunga fino a notte
Eran poche e son finite
le provviste crude e cotte
nel finale di partita
Dite voi che siete pronte
se la storia trova ponte
o se invece ricomincia
Quante storie avete viste
come questa vuota e triste?
-Maledetto sia il destino
che si veste da assassino!
Con solenne imprecazione
sminuisci la tensione
credi aver messo cavezza
alla strozza di salvezza.

Noticina
 Non si può essere sempre tristi e seccati perché le difficoltà sociali aumentano, perché i politici fanno i comodi propri e tentano di governare dividendo la società in frammenti contrapposti. Si ha bisogno talvolta di giocare e sorridere, malgrado i lutti. L'uso della parola creativa, del segno grafico, rendono possibile interpretare aspetti reali in chiave fiabesca o mitica o paradossale, senza comode elusioni.
Qualcuno osserverà: " Ma questa non è poesia e non è arte figurativa". Sicuramente un po' di ragione ce l'ha. Ma non me ne faccio un problema vitale. 
Non sono affatto una patita di Alloween. la "giocatina" in versi  e rime è nata per suggerimento delle parole che andavano a richiamarsi a vicenda nel modo che vedete, in un tempo e contesto lontano da ogni riferimento ad Alloween. La difficoltà di trovare immagini adeguate alla canzoncina, senza quell'allegria di maniera, imposta dalla ricorrenza divenuta commerciale, mi hanno forzato a pasticciare nel modo che vedete.
In Gran Bretagna la ricorrenza non era nata con quest'impronta, ma come rito collettivo apotropaico.
Comunque buon Alloween a tutti. (B.M.)