" Messaggi dagli "altrove" è la seconda sezione della raccolta. Che cosa sono gli "altrove"?
Non sono esattamente dei luoghi fisici, ma situazioni che ci relegano - momentaneamente -dalla esasperante connessione con il pubblico, con il sociale quotidiano. Sono bensì parte, talora importante, del nostro "giorno per giorno", ma di cui sembra che non si possa andar "fieri". Perché essere fieri o sembrarlo è una delle occupazioni fondamentali per "vendersi bene", per essere in e non aut.
Si può essere aut, dunque soli, dunque preoccupati, quando il nostro corpo si logora, manda segnali inquietanti e noi non siamo, non possiamo essere-sembrare compagnoni, ridanciani, animali da compagnia. E in quel caso intratteniamo persino speciali relazioni col senso della verità. E allora sì che diventiamo "scomodi", pericolosamente vicini al politicamente scorretto...
Si è aut quando chiamandoci fuori dalla folla, intercettiamo personaggi comuni che prendono rilevanza al nostro sguardo disincantato e indagatore. E allora scopriamo di far parte della serie, a tal punto che di ciascuno possiamo indovinare le sequenze che tengono dietro a un tic, a un motto, a un atteggiamento...
Si è aut quando la nostra sensibilità vive gli eventi naturali comuni come metafore del proprio scontento o della propria esaltazione. Si è aut perché abbiamo contratto il vizio di scrivere versi. Niente come scrivere e, ancor più, aver la fissa di scrivere versi, ti costringe a valutare il senso di ogni relazione e dunque a viverla e guardarla attraverso il fondo d'un bicchiere e sentirla come se si addossasse a tutti i tuoi orifizi della sensibilità...
Beh, ecco qualche stralcio di alcune composizioni.
La piscina incantata
Sm … ar – smar … ri – i … ta a a…
prima per sorte
e poi per scelta.
…Mi sono smarrita…
tra le radiografie
dove già sono scheletro.
…Mi sono smarrita…
tra le ricette crittografate
tra le «impegnative»
che sciupano
il tessuto sottile
dei miei contatti umani
che sfibrano
la mia esistenza sociale.
… Mi ero assopita …
tra le voci del corpo
come fossero liberi suoni
privi di destino e di scopo.
Ma erano oscuri richiami
trasfusi in un vento
oblioso e sicario.
Campane a martello
-idioma perduto-
traversano la mia storditezza.
Costretta.
All’ufficio protesti
riscuoto -con tassa di mora-
avvisi inerti e negletti.
M’imbatto nei miei malumori -
strinata e straniata in frammenti -
senza potermi incontrare.
Li bagno e li assemblo
con liquide liane
adoprando l’umore smorfioso
d’una piscina deserta...
La sera –
questa sera –
ha messo su
un grugno
ispido di vento.
Si è data in
più
un ceffo da
bandito.
E da dietro la
schiera
dei cespugli
ha inquisito
col suo fiato
violento
gl’intrepidi
sportivi della passeggiata.
“Nessuno – in
serata –
si professi
innocente!
Siano i venti
a concerto!
Che questa
gente
torni al suo
coperto
per levarsi i
bruscoli dagli occhi
I pochi
- colti in flagranza di cernecchi-
ricorrano
all’uso degli specchi
appesi alla
parete dell’ingresso
per non
spaventare
i pantofolai
che stanno al cesso -
per non
turbare
i saggi
abitatori di poltrone
sistematicamente
- e non per caso -
intenti a
scaccolarsi il naso
davanti alla
televisione.
Invece
fidanzati e affini –
quelli che non
piangono bambini -
sono
autorizzati temporaneamente
- occupando
panchine o sedili –
a
stropicciarsi reciprocamente…
E resto là : un calamo
al confine incandescente dello stagno
dove cola insonoro il sangue
d’un sole guasto che si svena.
Là – dove a occhio nudo c’è vita
che impura s’altera e rinasce -
anche il torrente meridiano
di certe mie indicibili visioni
sfocia e – come in un grembo -
si raccoglie a lievitare.
[1]
Gioco di parole con cui si allude all’umore (l’ira) e alle sonorità dell’ora,
ma anche, tanto all’antipoeticità dei temi del testo quanto al nome proprio,
«Poetto», del lungomare e della spiaggia di Cagliari e di Quartu Sant’Elena. N.
d’A.
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