Conversazione intercorsa tra Maria Rosa Giannalia, animatrice del corso
SCRITTORI e SCRITTURE,
Bianca Mannu, commentatrice e Dario Cosseddu, lettore
Maria Rosa -1° domanda:
Nella
scelta che abbiamo fatto di questo romanzo c’è un’idea di letteratura che
desideriamo condividere, al di là degli schemi convenzionali che in questo
momento la letteratura sarda sembra volere confermare? Quale modello di
scrittura vogliamo che venga fuori da questa rassegna che nel suo sottotitolo
parla di incontri con autori italiani e stranieri?
Bianca risponde
Il pericolo peggiore per gli scrittori sardi:
inforcare la mitologia legata al folclore o a un immaginario indefinito con
l’idea che si possa essere graditi al pubblico liberando il lettore dalla
fatica di scoprirsi dentro un problema e di interrogarsi sulla propria
consistenza umana e morale. Il vero scrittore è mosso dalla grande serietà
del suo gioco e vi investe la propria cultura, mai contenta di sé, la propria
esperienza di vita e la sua capacità di collegare tramite lo strumento
linguistico, condensato in uno stile, tutta la ricchezza interiore,
compreso il senso della vita, la sua filosofia, la sollecitudine e la
responsabilità verso i propri simili.
Maria Rosa - 2° domanda( letture
pagg. 11-12e 14-15 )
Entriamo
nel merito: in questo romanzo Salvatore Satta ci presenta un grande affresco
della società nuorese tra la fine dell’ottocento e la fine della prima guerra
mondiale. Società che possiamo considerare come metafora di ogni società vista
nella prospettiva del passato e perciò più facilmente analizzabile nelle sue
caratteristiche.
Iniziamo
dalla famiglia Sanna Carboni e dal modo col quale Don Sebastiano, il
personaggio principale , e la sua famiglia vengono descritti e, in prospettiva,
tutta Nuoro.
Bianca risponde
Bisogna dire subito che la narrazione è in
terza persona e comincia da un interno. Ciò meraviglia un po’ perché il
romanzo moderno rifiuta l’atteggiamento onnisciente dell’autore che occhieggia
dalle fessure e legge l’animo dei personaggi. Salvatore Satta gioca per un po’
con questa finzione e solo gradualmente rende edotto il lettore del suo essere
stato un testimone diretto e perfino intimo.
La casa di Don Sebastiano è un luogo simbolo
della città, casa-studio del notaio, perciò monumentale e scomodissima. Egli, spiega l’autore, è un signore e non un
rustico, è persona di un’istituzione, un funzionario che conosce, registra
gli atti inerenti le transazioni importanti di un aggregato umano e ne
garantisce la legalità. Di nobiltà rurale pregressa, Don Sebastiano vive
il sentimento della legalità; è dotato di probità personale e di spirito
“democratico”. Concetto che, nel lessico di Satta, significa voler confermare
il ruolo sociale raggiunto e curarne la crescita economica coi proventi del
proprio lavoro da funzionario, conservando uno stile di vita personale e della
famiglia severo, ma di rilievo per incutere rispetto ai corvi di quel nido,
Nuoro”. In altre parole democrazia era la mobilità migliorativa economica,
possibile e desiderabile per i signori.
Maria Rosa - 3°domanda (
letture lettura pagg. 45-46 e 48-50 )
C’è
in questo romanzo una figura femminile emblematica: donna Vincenza , moglie di don Sebastiano.
Quale
rapporto lega questi due coniugi così diversi ma tuttavia accomunati
dall’appartenenza al luogo? A quella Nuoro in particolare? Come viene tratteggiata questa figura
femminile che è la prima che il lettore incontra ma non certo l’unica?
Bianca risponde
Malgrado la distinzione sociale e un’educazione
attenta alle forme , Don Sebastiano ha in comune con i suoi concittadini una
fondamentale disistima verso la componente femminile dell’umanità circostante.
Le donne, a Nuoro, non hanno visibilità e voce. Dice S. Satta che non c’è
niente che irriti di più il maschio nuorese beneducato quanto l’intelligenza
femminile. E per sua sfortuna Donna Vincenza era intelligente ed era ispirata
dalla sua felice infanzia con un padre piemontese a prendere parte alle
questioni dell’economia familiare. Orfana e povera, conoscerà da sposata tutti
i tentativi del marito (disinteresse, anaffettività, disistima, taccagneria,
uso del suo corpo con frequenti gravidanze),di ridurla a una condizione larvale. E
qui lo scrittore non si perita di analizzare i sentimenti reciproci dei coniugi,
il loro franare e il loro collasso. Il disaccordo coniugale si profila come due
culture che collidono e che in forza dell’impronta
patriarcale maggioritaria, quella non supportata deve cedere.
Maria Rosa - 4° domanda ( lettura
pp.73-74 e 75-77)
Ma
vediamo come don Sebastiano si rapporta alla terra, in particolare all’attività
agricola e all’atteggiamento proprietario che nasce dal profondo legame con la
terra. E’ questo il tema che ricorre in ogni autore sardo: il forte legame con
la terra e la contrapposizione tra valori agricoli e valori pastorali. Come ci
parla di questo, Salvatore Satta attraverso il suo personaggio?
Bianca risponde
Il legame di Don Sebastiano
con la terra è strumentale, come quello degli altri signori nuoresi. La gran
parte di costoro vive delle rendite agricole che i mezzadri e braccianti
seunesi lavorano. Ma i mutamenti
generali del mondo evoluto rendono precaria la rendita agricola. Don Sebastiano
è consapevole.
Diverso da quello dei Séunesi, abitanti del rione
contadino, per i quali la terra era fatica, ma sopravvivenza, dunque bene
supremo; diverso ancora da quello da rapina dei pastori di San Pietro, luogo
d’uso e abuso della terra in funzione degli armenti e del commercio dei
sottoprodotti. Il possesso territoriale è l’emblema di una condizione sociale
consolidata, quella nobiliare plurisecolare. Ma non è l’unico asse economico
dell’uomo della seconda rivoluzione industriale, qual è Don Sebastiano Sanna benché
appartato rispetto alle metropoli del cambiamento. Questi lavora pulito e
guadagna, ma tesaurizza, investe anche in crediti. Il possesso di terre e la
loro miglioria è una sorta di polizza sociale che si autofinanzia (vino), ma
che Don Sebastiano persegue come sua sinecura e da imprenditore intelligente. Era
timoroso che i figli crescendo
concepissero la rendita agricola come il
loro fondamento economico e rimanessero inattivi, sciupando la loro esistenza
alla stregua degli sfaticati del caffè Tettamanzi. L’obiettivo di Don
Sebastiano era di avviarli alle professioni liberali, ma non supponeva il
formarsi nel loro animo di quella piega sensuale ed estetica che lo scrittore
riconosce a se medesimo, e parzialmente ai fratelli in gioventù, e che chiama
infezione poetica, un sentimento simile al legame pagano con la natura.
Maria Rosa -5° domanda (lettura pp. 98-100)
L’altra
grande protagonista di questo romanzo è Nuoro: il tema di questa città
attraversa tutte le pagine e , come un filo rosso, lega tutti i personaggi, la
storia e la natura. Il topos principale
che fa da perno a tutta la narrazione è il cimitero di Nuoro in cui l’autore si
reca per condurre il lettore ad esplorare e quasi esumare la storia dei
nuoresi. Come vengono trattati questo tema e questo topos? E in cosa possiamo
considerarli fondamentali per questa opera di Satta?
Bianca risponde
Il ritratto fluido, per dir così, di Nuoro,
percorre l’intero romanzo, assumendo via via come propri connotati costanti le
motivazioni che muovono i comportamenti delle persone secondo i crismi del
proprio gruppo sociale. Nuoro è trina: Sèuna contadina povera accosciata sulla
terra intorno al foghile, San Pietro rampante e razziatore con case alte e
grandi dove vige un ordinamento gerarchico primitivo e la Nuoro civile intorno
alla via Majore, con le grandi case signorili, volte all’interno, dove vivono
chiuse le donne forzate a un nubilato infinito.
Invidia, avidità e rozzezza sono equamente distribuite fra i ceti,
perciò, malgrado l’usanza di “fare le parti” non corrono veri sentimenti di
amicizia e solidarietà fra cittadini.
Il romanzo ha nella casa di Don Sebastiano il
suo collo di bottiglia, luogo della sanzione economica e della memoria rurale,
ma non ha un unico centro. Il centro istituzionale sono il tribunale,la
prefettura, la Curia coi suoi fasti e nefasti, il municipio dove il sindaco era
uno di fuori, davanti al quale i signori nuoresi stavano “col cappello in mano”
e, convinti che la politica non li riguardasse, si lasciavano scippare
l’amministrazione della città senza accorgersi di questo trapasso di poteri. Un altro centro che riuniva gaudenti,
nullafacenti e semifalliti della classe signorile era il caffè Tettamanzi, cosi
come la Farmacia era punto di ritrovo dei signori più austeri.
Lo scrittore, nel tentativo di coordinare i due
spezzoni della sua esistenza cerca il cimitero, pensandolo come luogo dei segni
della memoria, ma si rende conto che non sono le tombe coi nomi sbiaditi e
obsoleti a suscitare il ricordo, piuttosto i vivi che sembrano duplicare i
morti. Così non è questa o quella tomba a parlargli, ma il percorso funerario,
lungo il quale riprendono vita preti, sacristi e campanari e tutta la carovana
dei nuoresi animati da una sorta di piacere dionisiaco: il loro spirito pagano
e irriverente è reso evidente dalle circostanze luttuose.
Maria Rosa - 6° domanda (lettura pp.118-120)
Qualche
cambiamento avviene però in questa Nuoro così immobile e sonnolenta: l’autore
ci racconta la vicenda di don Ricciotti Bellisai e del nuovo direttore della
scuola che, in certo modo, arriva fresco di nomina e scardina alcune usanze
consolidate dalla tradizione. Che senso ha questo tentativo di cambiamento ?
Bianca risponde
I cambiamenti sono spesso inavvertiti, se non
per piccoli segni su cui si fissa l’infastidita reazione dei nuoresi: essi
vedono il dito e non la luna indicata. Cosi la campanella scolastica, già del
convento, non suona più? Perché mai, come si avvertiranno gli alunni che è
l’ora della lezione? Chi sarà mai quel prepotente che ha ordinato il silenzio?
Vogliono protestare e non si sono resi conto che lo Stato Sabaudo è in conflitto
con la Chiesa per via della requisizione dei beni ecclesiastici e per il fatto
che lo stato Sabaudo ha portato allo stato laicale l’istruzione. Cosi in tanti
aspetti della vita un atteggiamento laicale prendeva il posto dell’ingenua
religiosità fatta di segni rassicuranti e un poco stregoneschi abituali.
Maria Rosa - 7° domanda (lettura
pp.176-178)
Sembra
quasi che Salvatore Satta non abbia voluto dare alla sua città neppure il
beneficio di una possibile coscienza politica: la vicenda di Ricciotti
Bellisai e il suo tentativo di
rivoluzione popolare in senso marxista fallisce miseramente. Raccontaci un po’
questo aspetto del romanzo che, per certi versi, è stato visto come inquietante, forse anche alla luce del
momento storico che l’Italia attraversava all’atto della pubblicazione
postuma del libro prima nel 1977 dalla
CEDAM e poi ad opera della casa editrice Adelphi nel 1979.
Bianca risponde
Veramente l’ingresso in politica da parte
di Don Ricciotti Bellisai non aveva
nulla di marxista. Così come si diceva marxista il modo degli studenti di fare
lo sberleffo ai preti. Egli, invece, voleva strappare dalle mani di Don
Sebastiano la casa di Loreneddu che colui aveva comprato all’asta dopo il
fallimento del padre di Don Ricciotti. E che Don Sebastiano sosteneva di averla
comprata dietro preghiera del padre di Don Ricciotti, affinché non andasse in mani
straniere.
Per ottenere Loreneddu in modo inappellabile gli
occorreva un potere che condizionasse quello di Don Sebastiano. Esso poteva
venirgli dalla politica. Pensò di candidarsi come deputato del Regno. Ma,
mancando degli agganci giusti e del titolo di avvocato che gli avrebbe fruttato
la credibilità dei signori, si candidò come animatore e capo di un’associazione
contadina di Sèuna, di vago sentore socialista, facendo leva sui bisogni
inevasi di quei contadini che prese a sobillare, svegliando in essi speranze palingenetiche
con l’oratoria, peraltro ad essi incomprensibile. Ma ciò che lasciò sconcertato
Don Sebastiano, (e per altro verso donna Vincenza che vedeva l’inadeguatezza
dei figli a operare con la furba facondia di Bellisai) fu, che i suoi figli e
altri giovani studenti furono soggiogati dal fascino dell’oratoria di Bellisai e
dunque parevano pronti ad abbracciare le rivendicazioni dei poveri:quasi un
tradimento personale e sociale. E tuttavia l’impresa politica di Bellisai fallì,
anche perché scoppiò la guerra.
Maria Rosa - 8° domanda (P.
207-208, da Anche a Europa)
Ad
un certo punto del romanzo, Satta introduce il discorso sulla prima guerra
mondiale in atto nella penisola, ma il suo sguardo è quasi esclusivamente per
il modo in cui tale guerra viene vissuta a Nuoro, attraverso il punto di vista
delle donne e anche della stessa donna Vincenza che affiora qua e là in tutta
la narrazione.
Bianca risponde
Così come il trapasso dalla condizione di Regno
Sardo Sabaudo a Regno d’Italia era avvenuto senza che i nuoresi se ne
avvedessero: i sommovimenti politici prebellici non ebbero eco in città. Don
Sebastiano, che leggeva il giornale, fu informato dell’eccidio di Serajevo e
delle conseguenze belliche che sarebbero sopraggiunte per l’Italia. Avendo 64
anni, non si sentiva direttamente coinvolto. Due dei figli maggiori erano già
professionalmente formati, (Gaetano da medico e Michele da ingegnere) ma,
esclusi i due piccoli, erano tutti arruolabili. E fu allora che, mentre Don
Sebastiano si abbandonava a un contenuto entusiasmo patriottico, Donna
Vincenza, alzando la voce come non mai, gridava che l’Italia non era in
condizioni di entrare in guerra, che la guerra sarebbe durata e avrebbe rubato
i figli al suo affetto e alla sua protezione. Con la sua sensibilità femminile
antivedeva ciò che Don Sebastiano non sapeva ricavare dalla lettura dei
giornali. Le donne,secondo l’Autore
posseggono l’intelligenza del cuore. Il senso
della guerra giunge a Nuoro solo con la comunicazione alla famiglia del caduto,
ma donna Vincenza è sempre in angoscia.
Maria Rosa - 9° domanda (lettura
pp.257-258 che farà Bianca stessa )
In
fondo al romanzo viene ripreso il tema del tempo nella fine triste e tragica
del sogno di Gonaria, la maestrina. Questa fragile figura femminile sembra
essere l’emblema della fine e del nulla
verso cui tende la vita di tutti noi. Gonaria aveva riposto tutte le sue
speranze nella realizzazione della carriera ecclesiastica del fratello Ciriaco
che però, quasi subito dopo l’ordinazione sacerdotale, muore annullando il
senso del sacro e il senso dell’attesa di un futuro radioso che era sicura si
sarebbe realizzato come meritato premio per la sua profonda fede religiosa.
Bianca risponde
Anche Gonaria (di famiglia bene decaduta,
parente dei Sanna), maestra elementare per necessità economica e per vocazione
religiosa, dato che non insegna che preghiere in una classe femminile, ed è molto
simile ad un suora laica. Come tutte le donne di Nuoro, non conta niente, a
meno che non trovi modo di sostenere e servire un uomo. Quest’uomo è Ciriaco, suo
fratello prete che, non avendo canonica, sogna di e si adopera a farsi nominare
Arciprete in curia. Gonaria sogna il sogno di Ciriaco.
Tutte le energie e le poche sostanze sono
mobilitate in quel senso, anche il suo arcaico e ossessivo magismo religioso.
Crede che il raggiungimento dell’obiettivo sia non solo una promozione sociale
notevole, ma un innalzamento verso la sacralità, tale che Dio stesso non può
non rispondere chinandosi con speciale benignità verso tanta dedizione. Invece
Ciriaco si ammala e muore. Gonaria e le sorelle si sentono come tradite e
reagiscono in modi diversamente folli. Gonaria pretende il funerale con
l’intero capitolo e non l’ottiene … Possibile? Ma il suo dio immaginario è forse
assente. Allora si convince che si sia
in qualche modo oggettualizzato nei paramenti, nelle suppellettili e nella
camera stessa in cui Ciriaco è morto. A suo modo opera il sequestro del dio
resistendo alle pretese delle sorelle rinsavite e smaniose di percepire da un affittuario possibile un
lauto canone. Gonaria tiene duro per 20 anni. Ma poi cede alle sorelle, apre la
camera chiusa, trova topi ragni ragnatele e polvere. Sente che il dio è morto e
fugge, pazza
Maria Rosa - 10° Domanda (
lettura dell’ultima pagina che farà Bianca stessa)
La
fine del romanzo che si coagula intorno a quella che Salvatore Satta
chiama “seconda parte” sembra essere la sua riflessione più profonda
e disincantata sul tempo e sull’oblio, secondo lui obbligatorio e sulla
mancanza di senso della vita che tende al “giorno del giudizio” privo di senso
anche questo. Ce ne vuoi parlare?
Bianca risponde
Come abbiamo capito la finta onniscienza iniziale
dell’autore lascia il posto alle dichiarazioni esplicite: egli è il figlio
minore dei coniugi Sanna, tornato a Nuoro per “mettere insieme i due spezzoni
della sua vita”. Ma si accorge che gli spezzoni restano tali e lo abitano come
due mondi non comunicanti. Il mondo rustico e primordiale della sua infanzia è
consegnato a segni fisici illeggibili, noti solo a lui che li reca impressi nella memoria a tal punto che solo a guardare
i volti dei viventi ricostruisce le genealogie familiari che essi hanno
dimenticato o ignorano. Allora, che senso ha l’aver richiamato in vita un mondo
morto, se l’’obiettivo perseguito è stato mancato? La vita si spegne in tanto
che procede, e del senso e dei sensi assunti nulla resta. E se tu, scrittore per
vocazione, invece di prepararti alla tua
morte e di lasciare i già morti all’oblio, li racconti, li svegli, condanni te
stesso a non poter morire. È il pungolo della conoscenza di voler svolgere fino
in fondo ciò che il tuo filo di vita contiene. Per sanzionare da vivi la pace
dei morti in noi,occorre svolgere tutta la matassa fino a un giudizio
finale.
Del resto è degli scrittori per vocazione e non per professione,
pronunciare il giudizio e non averne paura, dato che si è onestamente risposto
al quesito della sfinge:
“Quale senso?” - “Nessuno: è stato.”
Maria Rosa -1° domanda:
Nella
scelta che abbiamo fatto di questo romanzo c’è un’idea di letteratura che
desideriamo condividere, al di là degli schemi convenzionali che in questo
momento la letteratura sarda sembra volere confermare? Quale modello di
scrittura vogliamo che venga fuori da questa rassegna che nel suo sottotitolo
parla di incontri con autori italiani e stranieri?
Bianca risponde
Il pericolo peggiore per gli scrittori sardi:
inforcare la mitologia legata al folclore o a un immaginario indefinito con
l’idea che si possa essere graditi al pubblico liberando il lettore dalla
fatica di scoprirsi dentro un problema e di interrogarsi sulla propria
consistenza umana e morale. Il vero scrittore è mosso dalla grande serietà
del suo gioco e vi investe la propria cultura, mai contenta di sé, la propria
esperienza di vita e la sua capacità di collegare tramite lo strumento
linguistico, condensato in uno stile, tutta la ricchezza interiore,
compreso il senso della vita, la sua filosofia, la sollecitudine e la
responsabilità verso i propri simili.
Maria Rosa - 2° domanda( letture
pagg. 11-12e 14-15 )
Entriamo
nel merito: in questo romanzo Salvatore Satta ci presenta un grande affresco
della società nuorese tra la fine dell’ottocento e la fine della prima guerra
mondiale. Società che possiamo considerare come metafora di ogni società vista
nella prospettiva del passato e perciò più facilmente analizzabile nelle sue
caratteristiche.
Iniziamo
dalla famiglia Sanna Carboni e dal modo col quale Don Sebastiano, il
personaggio principale , e la sua famiglia vengono descritti e, in prospettiva,
tutta Nuoro.
Bianca risponde
Bisogna dire subito che la narrazione è in
terza persona e comincia da un interno. Ciò meraviglia un po’ perché il
romanzo moderno rifiuta l’atteggiamento onnisciente dell’autore che occhieggia
dalle fessure e legge l’animo dei personaggi. Salvatore Satta gioca per un po’
con questa finzione e solo gradualmente rende edotto il lettore del suo essere
stato un testimone diretto e perfino intimo.
La casa di Don Sebastiano è un luogo simbolo
della città, casa-studio del notaio, perciò monumentale e scomodissima. Egli, spiega l’autore, è un signore e non un
rustico, è persona di un’istituzione, un funzionario che conosce, registra
gli atti inerenti le transazioni importanti di un aggregato umano e ne
garantisce la legalità. Di nobiltà rurale pregressa, Don Sebastiano vive
il sentimento della legalità; è dotato di probità personale e di spirito
“democratico”. Concetto che, nel lessico di Satta, significa voler confermare
il ruolo sociale raggiunto e curarne la crescita economica coi proventi del
proprio lavoro da funzionario, conservando uno stile di vita personale e della
famiglia severo, ma di rilievo per incutere rispetto ai corvi di quel nido,
Nuoro”. In altre parole democrazia era la mobilità migliorativa economica,
possibile e desiderabile per i signori.
Maria Rosa - 3°domanda (
letture lettura pagg. 45-46 e 48-50 )
C’è
in questo romanzo una figura femminile emblematica: donna Vincenza , moglie di don Sebastiano.
Quale
rapporto lega questi due coniugi così diversi ma tuttavia accomunati
dall’appartenenza al luogo? A quella Nuoro in particolare? Come viene tratteggiata questa figura
femminile che è la prima che il lettore incontra ma non certo l’unica?
Bianca risponde
Malgrado la distinzione sociale e un’educazione
attenta alle forme , Don Sebastiano ha in comune con i suoi concittadini una
fondamentale disistima verso la componente femminile dell’umanità circostante.
Le donne, a Nuoro, non hanno visibilità e voce. Dice S. Satta che non c’è
niente che irriti di più il maschio nuorese beneducato quanto l’intelligenza
femminile. E per sua sfortuna Donna Vincenza era intelligente ed era ispirata
dalla sua felice infanzia con un padre piemontese a prendere parte alle
questioni dell’economia familiare. Orfana e povera, conoscerà da sposata tutti
i tentativi del marito (disinteresse, anaffettività, disistima, taccagneria,
uso del suo corpo con frequenti gravidanze),di ridurla a una condizione larvale. E
qui lo scrittore non si perita di analizzare i sentimenti reciproci dei coniugi,
il loro franare e il loro collasso. Il disaccordo coniugale si profila come due
culture che collidono e che in forza dell’impronta
patriarcale maggioritaria, quella non supportata deve cedere.
Maria Rosa - 4° domanda ( lettura
pp.73-74 e 75-77)
Ma
vediamo come don Sebastiano si rapporta alla terra, in particolare all’attività
agricola e all’atteggiamento proprietario che nasce dal profondo legame con la
terra. E’ questo il tema che ricorre in ogni autore sardo: il forte legame con
la terra e la contrapposizione tra valori agricoli e valori pastorali. Come ci
parla di questo, Salvatore Satta attraverso il suo personaggio?
Bianca risponde
Il legame di Don Sebastiano
con la terra è strumentale, come quello degli altri signori nuoresi. La gran
parte di costoro vive delle rendite agricole che i mezzadri e braccianti
seunesi lavorano. Ma i mutamenti
generali del mondo evoluto rendono precaria la rendita agricola. Don Sebastiano
è consapevole.
Diverso da quello dei Séunesi, abitanti del rione
contadino, per i quali la terra era fatica, ma sopravvivenza, dunque bene
supremo; diverso ancora da quello da rapina dei pastori di San Pietro, luogo
d’uso e abuso della terra in funzione degli armenti e del commercio dei
sottoprodotti. Il possesso territoriale è l’emblema di una condizione sociale
consolidata, quella nobiliare plurisecolare. Ma non è l’unico asse economico
dell’uomo della seconda rivoluzione industriale, qual è Don Sebastiano Sanna benché
appartato rispetto alle metropoli del cambiamento. Questi lavora pulito e
guadagna, ma tesaurizza, investe anche in crediti. Il possesso di terre e la
loro miglioria è una sorta di polizza sociale che si autofinanzia (vino), ma
che Don Sebastiano persegue come sua sinecura e da imprenditore intelligente. Era
timoroso che i figli crescendo
concepissero la rendita agricola come il
loro fondamento economico e rimanessero inattivi, sciupando la loro esistenza
alla stregua degli sfaticati del caffè Tettamanzi. L’obiettivo di Don
Sebastiano era di avviarli alle professioni liberali, ma non supponeva il
formarsi nel loro animo di quella piega sensuale ed estetica che lo scrittore
riconosce a se medesimo, e parzialmente ai fratelli in gioventù, e che chiama
infezione poetica, un sentimento simile al legame pagano con la natura.
Maria Rosa -5° domanda (lettura pp. 98-100)
L’altra
grande protagonista di questo romanzo è Nuoro: il tema di questa città
attraversa tutte le pagine e , come un filo rosso, lega tutti i personaggi, la
storia e la natura. Il topos principale
che fa da perno a tutta la narrazione è il cimitero di Nuoro in cui l’autore si
reca per condurre il lettore ad esplorare e quasi esumare la storia dei
nuoresi. Come vengono trattati questo tema e questo topos? E in cosa possiamo
considerarli fondamentali per questa opera di Satta?
Bianca risponde

Il romanzo ha nella casa di Don Sebastiano il
suo collo di bottiglia, luogo della sanzione economica e della memoria rurale,
ma non ha un unico centro. Il centro istituzionale sono il tribunale,la
prefettura, la Curia coi suoi fasti e nefasti, il municipio dove il sindaco era
uno di fuori, davanti al quale i signori nuoresi stavano “col cappello in mano”
e, convinti che la politica non li riguardasse, si lasciavano scippare
l’amministrazione della città senza accorgersi di questo trapasso di poteri. Un altro centro che riuniva gaudenti,
nullafacenti e semifalliti della classe signorile era il caffè Tettamanzi, cosi
come la Farmacia era punto di ritrovo dei signori più austeri.
Lo scrittore, nel tentativo di coordinare i due
spezzoni della sua esistenza cerca il cimitero, pensandolo come luogo dei segni
della memoria, ma si rende conto che non sono le tombe coi nomi sbiaditi e
obsoleti a suscitare il ricordo, piuttosto i vivi che sembrano duplicare i
morti. Così non è questa o quella tomba a parlargli, ma il percorso funerario,
lungo il quale riprendono vita preti, sacristi e campanari e tutta la carovana
dei nuoresi animati da una sorta di piacere dionisiaco: il loro spirito pagano
e irriverente è reso evidente dalle circostanze luttuose.
Maria Rosa - 6° domanda (lettura pp.118-120)
Qualche
cambiamento avviene però in questa Nuoro così immobile e sonnolenta: l’autore
ci racconta la vicenda di don Ricciotti Bellisai e del nuovo direttore della
scuola che, in certo modo, arriva fresco di nomina e scardina alcune usanze
consolidate dalla tradizione. Che senso ha questo tentativo di cambiamento ?
Bianca risponde
I cambiamenti sono spesso inavvertiti, se non
per piccoli segni su cui si fissa l’infastidita reazione dei nuoresi: essi
vedono il dito e non la luna indicata. Cosi la campanella scolastica, già del
convento, non suona più? Perché mai, come si avvertiranno gli alunni che è
l’ora della lezione? Chi sarà mai quel prepotente che ha ordinato il silenzio?
Vogliono protestare e non si sono resi conto che lo Stato Sabaudo è in conflitto
con la Chiesa per via della requisizione dei beni ecclesiastici e per il fatto
che lo stato Sabaudo ha portato allo stato laicale l’istruzione. Cosi in tanti
aspetti della vita un atteggiamento laicale prendeva il posto dell’ingenua
religiosità fatta di segni rassicuranti e un poco stregoneschi abituali.
Maria Rosa - 7° domanda (lettura
pp.176-178)
Sembra
quasi che Salvatore Satta non abbia voluto dare alla sua città neppure il
beneficio di una possibile coscienza politica: la vicenda di Ricciotti
Bellisai e il suo tentativo di
rivoluzione popolare in senso marxista fallisce miseramente. Raccontaci un po’
questo aspetto del romanzo che, per certi versi, è stato visto come inquietante, forse anche alla luce del
momento storico che l’Italia attraversava all’atto della pubblicazione
postuma del libro prima nel 1977 dalla
CEDAM e poi ad opera della casa editrice Adelphi nel 1979.
Bianca risponde
Veramente l’ingresso in politica da parte
di Don Ricciotti Bellisai non aveva
nulla di marxista. Così come si diceva marxista il modo degli studenti di fare
lo sberleffo ai preti. Egli, invece, voleva strappare dalle mani di Don
Sebastiano la casa di Loreneddu che colui aveva comprato all’asta dopo il
fallimento del padre di Don Ricciotti. E che Don Sebastiano sosteneva di averla
comprata dietro preghiera del padre di Don Ricciotti, affinché non andasse in mani
straniere.
Per ottenere Loreneddu in modo inappellabile gli
occorreva un potere che condizionasse quello di Don Sebastiano. Esso poteva
venirgli dalla politica. Pensò di candidarsi come deputato del Regno. Ma,
mancando degli agganci giusti e del titolo di avvocato che gli avrebbe fruttato
la credibilità dei signori, si candidò come animatore e capo di un’associazione
contadina di Sèuna, di vago sentore socialista, facendo leva sui bisogni
inevasi di quei contadini che prese a sobillare, svegliando in essi speranze palingenetiche
con l’oratoria, peraltro ad essi incomprensibile. Ma ciò che lasciò sconcertato
Don Sebastiano, (e per altro verso donna Vincenza che vedeva l’inadeguatezza
dei figli a operare con la furba facondia di Bellisai) fu, che i suoi figli e
altri giovani studenti furono soggiogati dal fascino dell’oratoria di Bellisai e
dunque parevano pronti ad abbracciare le rivendicazioni dei poveri:quasi un
tradimento personale e sociale. E tuttavia l’impresa politica di Bellisai fallì,
anche perché scoppiò la guerra.
Maria Rosa - 8° domanda (P.
207-208, da Anche a Europa)
Ad
un certo punto del romanzo, Satta introduce il discorso sulla prima guerra
mondiale in atto nella penisola, ma il suo sguardo è quasi esclusivamente per
il modo in cui tale guerra viene vissuta a Nuoro, attraverso il punto di vista
delle donne e anche della stessa donna Vincenza che affiora qua e là in tutta
la narrazione.
Bianca risponde
Così come il trapasso dalla condizione di Regno
Sardo Sabaudo a Regno d’Italia era avvenuto senza che i nuoresi se ne
avvedessero: i sommovimenti politici prebellici non ebbero eco in città. Don
Sebastiano, che leggeva il giornale, fu informato dell’eccidio di Serajevo e
delle conseguenze belliche che sarebbero sopraggiunte per l’Italia. Avendo 64
anni, non si sentiva direttamente coinvolto. Due dei figli maggiori erano già
professionalmente formati, (Gaetano da medico e Michele da ingegnere) ma,
esclusi i due piccoli, erano tutti arruolabili. E fu allora che, mentre Don
Sebastiano si abbandonava a un contenuto entusiasmo patriottico, Donna
Vincenza, alzando la voce come non mai, gridava che l’Italia non era in
condizioni di entrare in guerra, che la guerra sarebbe durata e avrebbe rubato
i figli al suo affetto e alla sua protezione. Con la sua sensibilità femminile
antivedeva ciò che Don Sebastiano non sapeva ricavare dalla lettura dei
giornali. Le donne,secondo l’Autore
posseggono l’intelligenza del cuore. Il senso
della guerra giunge a Nuoro solo con la comunicazione alla famiglia del caduto,
ma donna Vincenza è sempre in angoscia.
Maria Rosa - 9° domanda (lettura
pp.257-258 che farà Bianca stessa )
In
fondo al romanzo viene ripreso il tema del tempo nella fine triste e tragica
del sogno di Gonaria, la maestrina. Questa fragile figura femminile sembra
essere l’emblema della fine e del nulla
verso cui tende la vita di tutti noi. Gonaria aveva riposto tutte le sue
speranze nella realizzazione della carriera ecclesiastica del fratello Ciriaco
che però, quasi subito dopo l’ordinazione sacerdotale, muore annullando il
senso del sacro e il senso dell’attesa di un futuro radioso che era sicura si
sarebbe realizzato come meritato premio per la sua profonda fede religiosa.
Bianca risponde
Anche Gonaria (di famiglia bene decaduta,
parente dei Sanna), maestra elementare per necessità economica e per vocazione
religiosa, dato che non insegna che preghiere in una classe femminile, ed è molto
simile ad un suora laica. Come tutte le donne di Nuoro, non conta niente, a
meno che non trovi modo di sostenere e servire un uomo. Quest’uomo è Ciriaco, suo
fratello prete che, non avendo canonica, sogna di e si adopera a farsi nominare
Arciprete in curia. Gonaria sogna il sogno di Ciriaco.
Tutte le energie e le poche sostanze sono
mobilitate in quel senso, anche il suo arcaico e ossessivo magismo religioso.
Crede che il raggiungimento dell’obiettivo sia non solo una promozione sociale
notevole, ma un innalzamento verso la sacralità, tale che Dio stesso non può
non rispondere chinandosi con speciale benignità verso tanta dedizione. Invece
Ciriaco si ammala e muore. Gonaria e le sorelle si sentono come tradite e
reagiscono in modi diversamente folli. Gonaria pretende il funerale con
l’intero capitolo e non l’ottiene … Possibile? Ma il suo dio immaginario è forse
assente. Allora si convince che si sia
in qualche modo oggettualizzato nei paramenti, nelle suppellettili e nella
camera stessa in cui Ciriaco è morto. A suo modo opera il sequestro del dio
resistendo alle pretese delle sorelle rinsavite e smaniose di percepire da un affittuario possibile un
lauto canone. Gonaria tiene duro per 20 anni. Ma poi cede alle sorelle, apre la
camera chiusa, trova topi ragni ragnatele e polvere. Sente che il dio è morto e
fugge, pazza
Maria Rosa - 10° Domanda (
lettura dell’ultima pagina che farà Bianca stessa)
La
fine del romanzo che si coagula intorno a quella che Salvatore Satta
chiama “seconda parte” sembra essere la sua riflessione più profonda
e disincantata sul tempo e sull’oblio, secondo lui obbligatorio e sulla
mancanza di senso della vita che tende al “giorno del giudizio” privo di senso
anche questo. Ce ne vuoi parlare?
Bianca risponde
Come abbiamo capito la finta onniscienza iniziale
dell’autore lascia il posto alle dichiarazioni esplicite: egli è il figlio
minore dei coniugi Sanna, tornato a Nuoro per “mettere insieme i due spezzoni
della sua vita”. Ma si accorge che gli spezzoni restano tali e lo abitano come
due mondi non comunicanti. Il mondo rustico e primordiale della sua infanzia è
consegnato a segni fisici illeggibili, noti solo a lui che li reca impressi nella memoria a tal punto che solo a guardare
i volti dei viventi ricostruisce le genealogie familiari che essi hanno
dimenticato o ignorano. Allora, che senso ha l’aver richiamato in vita un mondo
morto, se l’’obiettivo perseguito è stato mancato? La vita si spegne in tanto
che procede, e del senso e dei sensi assunti nulla resta. E se tu, scrittore per
vocazione, invece di prepararti alla tua
morte e di lasciare i già morti all’oblio, li racconti, li svegli, condanni te
stesso a non poter morire. È il pungolo della conoscenza di voler svolgere fino
in fondo ciò che il tuo filo di vita contiene. Per sanzionare da vivi la pace
dei morti in noi,occorre svolgere tutta la matassa fino a un giudizio
finale.
Del resto è degli scrittori per vocazione e non per professione,
pronunciare il giudizio e non averne paura, dato che si è onestamente risposto
al quesito della sfinge:
“Quale senso?” - “Nessuno: è stato.”