lunedì 20 maggio 2019

Macchinismo - inedita di Bianca Mannu


Macchinismo
Scrosciano le ferraglie sulle gomme:
una statale appena - sognandosi autostrada -
ferocemente scuoia i suoi budelli …
Avvolge di furia indietro
la sua di piombo lunga
faccia in stato di fusione

Tra rombi e strida
la sua mascella si mantiene ortogonale
ai raggi della stella meridiani
ostentando proterva la squisita insegna
dell’artificio umano

Nessuna affinità con l’innocenza assassina
dell’acqua stravolta e senza sguardo
figlia di terra che strapiomba
in teoremi d’obliato senso

Scroscia e stride indiscussa
l’arroganza piena d’occhi invece
del nostro  familiare manufatto
che ci traveste da dei
pronti al misfatto.
  
Scroscia e stride vellicando
il fondo del diaframma viscerale
sulle nostre paure addormentate
dentro i crani disattivi
blindati in credenze … d’arredo

Sbraita oltre gli orli degli sperefundos [1]
l’arroganza – gasata e tronfia –
del Divus Tecnologicus –
pastore di customer senz’anima
                                  
Suonano ignote  in quei baratri
delle nostre sciagure multiformi sirene
e di cani abbandonati arbitrarie
echeggiano canee
allo scoccare d’ogni solstizio estivo

Svegliarsi – addormentarsi - svegliarsi
ri-addormentarsi e ri-svegliarsi
(orribile  nenia pendolare) nella gola degli urti
tra i fumi dell’attrito e il singhiozzo dei clacson –

tra ermetici silenzi e il pulsare dei fari –
tra le sirene perforanti e l’intervallo infetto
trafitto da voci – quasi pigolii  pungenti
di atterrati moribondi e redivivi  gementi

 L’archiviazione postuma procede segnando
sul conto delle funeste coincidenze
l’ennesimo misfatto - quasi che
un possente vulnus - forse più ineluttabile
della gagliarda perfidia personale -
sia fatalmente inscritto nell’umano come tale

Così ogni figlio di madre bipede –
senza più domande – impara  sul campo
a scassare gli ingranaggi della vita
a spostarli sul gaudioso menù dell’idiozia
e ad archiviare esiti simili perversi
quali prodotti di detta variabile spettrale 
che cade pronta da un cielo sempre verticale

a imprimere  il suo definitivo  ruggito
a calcoli … già perfetti! – … A meno che Allah -
o chi ne ostenti la procura -  
se ne attribuisca cura e “merito”!




[1]Dal Sardo  = precipizio, dirupo. (N.d.A.) 

Notarella -Non ho l’abitudine né la presunzione di commentare in versi la cronaca del giorno. Ma come ogni poeta/scrittore o, se preferite, battitore libero (Quanto mai suddita d’un genere, la lingua!), battitore libero di testi, tasti ed erbe di brughiera, esposta (bando alla concordanza!) al cipiglio  di scettrati e coronati, degna del segno meno  - con cui si decorano “les femmes” d’ogni  classe – sono porosa a quanto vortica d’intorno, specialmente agli effetti di certi meccanismi.
Oggi apprendendo svolgimento ed esito, debitamente filmati e postati sui social, della folle corsa di due ultratrentenni Peter Pan, sono tornata a questo mio testo, il cui senso mi auguro venga colto nella sua allusiva esorbitanza dal gesto richiamato. (BM)

domenica 21 aprile 2019

Mitica Resistenza - inedita di Bianca Mannu

Mitica R.  

Da bambina la conobbi in foto
che sorrideva – mitica –
a una primavera in grigio

Di lei – si diceva – s’erano innamorati
come di una bella Circe
sciami di giovani che chiusero la guerra

Alquanti perciò dormivano
eterni ragazzi
sotto alle croci nella terra

Di lei si malignò per lungo tempo
come di una bella indocile
che a tanti disse no

Ora si curva il mio canuto capo
sull’impietrito onore
ma non trova asilo
nel più antico rancore.

A me era dato un tempo
che aveva il fiato corto
della fatica giornaliera
dell’andare avanti

calciando sassi contundenti 
avvolti negli stracci logori
d’una assonnata compassione
che procedeva torpida
ed anche un po’ puttana
pronta al baratto
di pezzi d’anima e lumi di cervello

Sessant’anni di niente
per andare a cavallo d’una pertica
dal niente al nulla
come se avessi da sempre
 vissuto dormendo
tra gli stracci della culla



Nota - Perché mitica? Perché ero piccola ed ero sarda: un lichene su una costa d'arenaria. Mitica malgrado i libri di storia, mitica per via delle riduzioni, mitica per il suo cuore ideale ed etico-politico testimoniato dal tributo di sacrifici e di sangue, mitica per le immancabili aderenze con la sporca guerra alla quale fascismo e nazismo costrinsero i popoli. Mitica perché di nuovo i negazionisti sembrano avere il fiato degli addormentati sul cuscino deì leaderismi più sbracati, mitica perché "il prima noi" fa paio col "prima io" a giustificazione razionale (falsa razionalità!) ed etica perversa delle abissali differenze sociali, e si unisce a spregio della salvaguardia del pianeta. Mitica perché il sogno di Olimpia viene frequentemente tradito negli stadi. Mitica perché lo spirito gregario e semplicistico attraversa molti gangli istituzionali e la così detta "opinione pubblica" sembra avere sussurri di fronda e grondare fede mitologica in chi urla :io voglio, io faccio, io per tutti. E ogni riferimento a 360° non è casuale. (b.m) 
Nota II, riferibile a quest'autunno postelettorale del 2022 e dopo aver dovuto sopportare lo sconcertante e perfino buffonesco teatrino messo su da una nutrita parte dei politici nazionali. Come infinite altre volte, ho assistito alla commedia degli inganni, in cui parole e gesti  risultano merci di scambio per la messa in scena successiva. Cari comunicatori e non onesti chiosatori, inamidati Commessi istituzionali, siete l'immagine speculare d'un popolo confuso e incolto, al quale continuate a dare "circenses" al posto dell'essenziale. Ma nemmeno un popolo ingannato può considerarsi e dirsi innocente. (b. m.)     
  

giovedì 18 aprile 2019

Pagine letterarie: Metafisica

Pagine letterarie: Metafisica: L’arsura della terra e la lontananza del cielo: così rarefatto è il grido del singolo, pellegrino claudicante di Bianca Mannu Per...

domenica 24 marzo 2019

Ve lo dico in versi - messaggio in bottiglia di Bianca Mannu

Non c'è abbastanza forza, non c'è abbastanza animo e perizia di parola, non posso contare su una dialettica capace di graffiare l'irta superficie di questo presente che ci vuole tutti innamorati della parola definitiva dall'apparenza secca che si svende (e tu l'accatti come una pepita regalata dalla dea bendata) e che invece - ma senza inganno, perché  così ingenuo non sei - esibisce schizzi e sbrendoli di visceri... Niente ti pare più autentico d'un viscere che parla! E ti sembra che parli proprio a te e per tuo conto: ah! Un contatto diretto con la verità in persona... Sì, sta scritto in tutti gli spot, in quasi tutti i post dei social, in maree di soap opere e di films, di articoli di stampa e di pubblicazioni online, sta scritto che la verità alberga nel buco più profondo d'uno sfintere capace di vellicare all'azione le mani, i piedi, la bocca, e i loro prolungamenti meccanici.  Sentirsi vendicato e nutrito, anche per un solo istante di sogno! 
Oppure? Oppure dubita di questo tutto, che certo è molto incattivito perché ha dimenticato l'Origine, la grande Ragione originaria che aveva per ogni cosa il ruolo e la parola giusta, una, quella del re, del papa, del principe, del signore locale, quella dello sgherro, che tanto avevano in un dio silenzioso e cifrato il Disegno, e non c'era da sbagliare. Lo sbaglio è avvenuto, sarebbe avvenuto, - costoro non usano tanto volentieri i dubitativi - per colpa di chi, indisciplinato, ha provato  a progettare un altro ordine con altri indisciplinati. Così, è nata la confusione generale, dicono certi signori - pure accademici titolati - i quali si stanno riunendo a consesso per rimettere le cose a posto, al modo del bel mondo antico del rispetto e della pace! 
A ben guardare questi due corsi si connettono bene fra loro, perché nulla vieta all'uomo del buon tempo antico e alla donna della casa di sentirsi appellati da dio tramite i propri visceri, tutti assemblabili sotto il nome di anima. Il Lui di turno sarà magari una grande Anima, ma lei resterà sempre un po' più piccola, indicabile con la lettera minuscola.
Essendo un po' disperata per lo stato terreno e celeste, io, qualche mia perplessità, ve la dico in versi estrapolati da  mie diverse composizioni con cui non mi consolo.

In marcia

Torme di umani in marcia: miseria generale.
Ciascuno si sente infetto del problema personale.
Il dorso sopra i visceri contratto a inutile difesa.
Sibillina o mortifera circola anonima –
in agguato- mista alle polveri - l’offesa
nel vento detonante.
Si sosta in cunicoli e in anfratti di muri per sfuggirle –
si veglia in bilico sul piede della fuga
si trattiene il respiro sopra il lume cieco
della vita afflosciato sul suo minimo
dentro il sistema limbico …
Si sposta con le torme dei fuggiaschi
una miseria fetida di morte.
Di morte in morte riaffiora
aggrappata alla creatura puntata sul resistere.

Spiaggiata in corpi esausti - arranca verso
gli angoli d’un mondo che la teme
come se già non ci dormisse insieme …
Involta nelle pieghe ora più fruste
di vesti scombinate da molteplici accidenti
tuttavia dilaga oscenamente maschia
nel sole dei giardini
s’infratta nei timidi cespugli
quasi a voler scansare l’evidenza
che impone del derelitto la familiarità con l’indecenza.

La città nobile scioglie nel frizzo mattutino
tra eleganti palazzi il traffico operoso
e fluisce umanamente babelica
intorno al suo epigastrio.

Ma a sera espone l’opulenza dei lumi
esulta di colori e di profumi
spumeggia di movida espone sul passeggio
l’indifferenza ferina dei carini e il loro futile corteggio.
Ecco l’immagine di copertina.

Ma - come la notte avanza incontro alle ore piccoline –
     s’attenuano le luci e i belli
tornano ad abitare i lussuosi ostelli.
Allora sono le ombre dei porticati e degli androni
a riempirsi di sbadigli sussurri e strabalzoni …
È l’altra umanità che – suo malgrado –
occupa la lista d’ombra della quinta –
che il nottambulo rasenta senza averla distinta –
che l’ultimo galoppino delle pizze
annusa fuggendo verso il suo fastigio
gravido d’un domani che – già se lo figura –
riserva solo appena qualche sfumatura di grigio.

Luci basse in quarta di copertina.

Solita storia

Che cos’altro ti pare
rimanga da fare
per noi figlie sempre obbedienti
al femminino perentorio
fabbricato all’esterno
indi importato come  legge
del paterno romitorio.
..........................................

Che cos’altro resta da fare
dopo l’amore  voltato in dovere
dopo i bambini da partorire
dopo le pappe da confezionare
dopo le febbri da curare
appresso agli infanti da sorvegliare
agli scolari con cui compitare
e alla morale da impartire –
insostituibile vicaria fedele
dell’ostinata griffa patriarcale?

Resta forse un pezzo di vita:
esser presenti al finale di partita.
Avendo vissuto – o donna oscura -
l’altrui vita per procura
da protagonista or puoi recitare
il tuo atto unico di grande  bravura
 e ancor prima del tuo requie
disporre per altri funebri esequie.

Se sul finire del tuo tragitto
 ti resta un raggio d’intelletto
puoi tracciare un rigo netto
e segnare in verbo asciutto
d’avere fatto quasi tutto:
ma negli annali della Storia
di te ben poco resta in memoria.

Dicendoti donna fedele e modesta
la tua legge è rimasta questa:
in prima istanza la famiglia
con la carriera del marito
fonte di grano concupito.
Il matrimonio della figlia
è una meta e l’occasione
di alzare l’asta della magione.
La politica e la burocrazia
son per il pargolo la giusta via.
.....................................................

Ma quivi giunta forse la vita
ti regala stizzoso un prurito
di celebrarti con lo scritto
poiché bazzicasti a lungo la scuola
e sai compitare qualche parola

Lo scritto in versi l’avevi nel sangue
il tema è pronto e da tempo langue
nel tuo diario dove – ibernato -
giace il tuo cuore innamorato.

Innamorato e di nuovo  fremente
per quel giovane avvenente
che  imperversò nella tua vita
lasciandoti sola e impoverita.
Se ancora vivo e con l’aterosclerosi
non può godersi l’apoteosi.
 Nel Web


… lungo le strade del Web
sulle piazze del web
certi menestrelli
privi di pappagalli
distribuiscono a tutti i naviganti
miracolose ricette volanti
ghermite in angoli dispersi –
smarrite perle - diresti –
secondo cui – volendo - potresti
conseguire con facilità
gioie tante
dolori scarsi
comunque cosparsi
di polveri esilaranti
 e di finta felicità …
In rivolta

Tracima
in rivolta
fino al bianco degli occhi
il mio sangue
a sballottare un pensiero
incapace di farsi
parola.

Quale parola?
Forse questa che posa
disponibile
sulla soglia più esposta
al passaggio di chiunque
o l’altra più in là
moralista
che occupa un’ampolla
che pare di vetro
e quasi sta … di pietra?

Né ampolla né vetro
ma l’erompere
in colposa trasparenza
come rrrabbbia:
montante gorgoglio dell’erre      
scagliata sull’«a» 
di repentino acciaio       
erta a comprimere il fiato
verso la fessura orale
in tenuta semistagna  
per effetto di inavvertiti
argini labiali –
innesco meccanico
definitivo scatto in fuori -
sparo di senso
in mezzo all’aria esterna
che si sposta stupita
e già stanca.

Il nome della rabbia
è il ricordo spettrale
del sangue agli occhi
del lampo assassino
nelle iridi incassate
come fucilieri pronti
dietro le feritoie
dell’immaginazione.           

venerdì 8 marzo 2019

8 marzo, giornata internazionale della donna

Nota - Non mancano quotidiane ragioni per indicare ciò che non va nella condizione femminile in tutti i paesi del mondo. Non mancano ottime ragioni alla nostra lotta, evidente o silenziosa che sia.
Si profilano all'orizzonte speranze reali per effetto dell'impegno creativo che va sviluppandosi nei settori più complessi e diversi ad opera di donne, anche molto giovani.
Anche per quelle donne come me, che giovani non sono più, c'è sempre da riflettere e imparare.

Oggi voglio dirigere, a chi voglia buttare un occhio in questa paginetta, un breve messaggio in versi liberi che, all'apparenza, sembra alludere a qualche mio problema psicologico o affettivo. Ebbene, no. Si riferisce invece agli effetti lesivi dei modelli predisposti dall'esterno (governo patriarcale di tutto l'orizzonte vitale) come compito e come limite, con significativa allusione all'uso della parola creativa,ossia quella letteraria.
Altra me

Mio sonno - mia tremula 
anima vile 
credeva alle corazze
alle selve d’alabarde
a difesa del cuore pulsante

 La cifra segreta del dire
 ha preso stanza
 dentro la verga …

E nel mio cuore acefalo
inebetisce
come la lingua
nell’eccesso di saliva

Il verso non può che alludere. Ma oggi propongo un discorso molto esplicito e illuminante
Dall’introduzione al  «La poesia femminile italiana dagli anni ’70 a oggi»
 di Ambra Zorat
«Una poetessa che sia nata tra gli anni Trenta e Cinquanta e si sia dedicata alla scrittura negli ultimi trent'anni si è ritrovata a comporre versi in una situazione ambigua e contraddittoria risultando contemporaneamente dentro e fuori dal codice poetico.
Dentro perché sui testi della tradizione poetica italiana si è formata e ne riconosce con passione l'universale bellezza. Fuori perché sa, in modo più o meno consapevole, che dall'elaborazione di questi testi è stata esclusa e la sua immagine è stata costruita da altri in modo falsificante. L'intensità anche tragica con la quale diverse poetesse contemporanee percepiscono ed esprimono le contraddizioni del reale è ricollegabile al fatto che in quanto donne, a lungo fuori dall'elaborazione della lingua poetica e del suo immaginario, provano un forte bisogno di iscriversi nel linguaggio, di recuperare il legame che esiste tra vita e scrittura, ma conoscono bene per averla subita anche la carica di violenza che possiede la poesia.»
«Andrà ricordato come negli ultimi decenni siano stati pubblicati numerosi e validi studi sulla narrativa femminile del Novecento, molto più rare invece sono le ricerche organiche e approfondite sul versante poetico. Questo ritardo della critica è riconducibile in parte alla difficoltà con la quale le stesse donne si sono cimentate con l'universo altamente formalizzato della poesia. A differenza della narrativa, che nella letteratura italiana è un genere letterario relativamente recente, il genere lirico vanta infatti una lunga e articolata tradizione nella quale il femminile è codificato come oggetto poetico, come musa ispiratrice, assai di rado riconosciuto come soggetto di discorso. Per una donna, incamminarsi lungo la strada della poesia è più difficile
- soprattutto ottenere un riconoscimento del proprio lavoro sembra essere più impegnativo che dedicarsi alla scrittura in prosa. La posizione dalla quale prende la parola dedicandosi alla poesia è infatti più ambigua e contraddittoria. Forse proprio in virtù delle difficoltà incontrate, i risultati raggiunti risultano particolarmente intensi e rilevanti».

sabato 16 febbraio 2019

Dillo a un Sikh di Bianca Mannu


 Dillo a un Sikh  (SiKh equivale a qualunque umano sfruttato, maschio o femmina, italiano compreso)


Dillo a un Sikh
quali sono i Nostri Valori -
dillo ai suoi conterranei
sparati come tralci avventizi
dal vento dell’urgenza
sui  campi dell’Agro
sulle piane di Partenope
sugli orti Cisalpini

Chiedigli se son leggere
le dieci ore più quattro -
quando la sorte vuole -
alla pioggia  al sole e a ogni tempo
dalle albe incolori
al sangue dei tramonti
con niente nella pancia
e la ganascia del doping
a stringere il cervello

Tu dici che canta
quando inginocchiato
strappa alla terra
tuberi e carote?
E quando conosce l’aspro
dell’uva e dell’oliva
chissà che musica coltiva?
Dico che il suo corpo canta
come una ferita tutto
e sogna sua interinale
assenza dalla vita

Assenza provvisoria - certo -
da una vita che - pur di sterco -
frequenta assidua la speranza
e questa conferisce all’esistenza
il tempo di  continuare in stand bay
e ammortizzare i guai da surmenage …
Quando la vita ha un solo lancio
anche il più sporco strame per giaciglio
se non è mano amica è almeno gancio
cui sospendere ciò che - o uomo d’opera –
solamente tuo rimane inesorabile:
il duro esito del giorno

Invece tu - uomo del capitale -
che prescindi dall’umano altrui
scomputi ciò che ti conviene:
la cosa-lavoro - quella che mercanteggi -
e che a te poco o niente parendo
per eccesso di mercantile offerta
la natura a dare frutti induce.
E mentre attendi ti scotta il tempo:
incalzi al moto i suoi sfinteri
per  accrescere  il tuo utile in saccoccia
ma i rigori a saldo lasci altrui.

Del bracciante - il cui sudore
che a tuo favore provocato ti ripugna -
quasi nulla sai che non sia sua fame
e su quella mandi a schiacciare il piede -
non il tuo - stiloso  e così ben calzato! –
ma quello chiodato d’un vile caporale

Forse quel cristo  crocifisso
alla sua condizione di operaio 
si sarà chiesto    
per un meriggio intero
e per successivi mille
imbevuti all’osso di sgobbo
di strappi e contumelie                         
di qual delitto mai
e di qual vita obliata
voglia emendarlo il dio

Ma - come tutti gli dei -
neppure il suo risponde
Altrove guarda forse 
o altri suoi Valori raccomanda
oppure nel suo ombelico stesso
coglie la fuga d’ogni umano senso
Non c’è modo e non c’è verso
un Sikh da solo - come ogni uomo inerme -
si sente e campa
tra sottosuolo umano e fango
come poco più che un verme -
disprezzato.

Gridalo, Sikh, gridalo forte
insieme ai tuoi fratelli neri
incattiviti sui  campi del Salento
briachi di fatica
a smaltire gli ergastula diurni
dentro infernali tendopoli …
Gridatelo anche voi
operai tarantini intossicati
che morite a poco a poco
nei paradisi dei vostri letti
e tutti voi dispersi e soli
a sfangare la vita lottando
con un qualche marchingegno traditore
soffiatelo con la forza dei tornado
dentro le orecchie dei professori ISTAT
gridate che - pure consunta
ogni marcata essenza agglutinante -
siete magari folla sfilacciata e spersa
d’umani  tristi e vivi
come truppa inerme
a guerra persa.

Nota -Sento il rigoroso dovere di postarla una seconda volta, non per il suo valore intrinseco (quello non sarò io a stabilirlo), ma per unirmi alle voci di denuncia. Dopo circa tre anni dacché la scrissi, la moda dello schiavismo pare fertilissima. Naturalmente ci aspettiamo che questa vergogna (grande "pacchia" per gli schiavisti!)- che ricade su tutti gli italiani - venga fatta cessare e sia impedito a chiunque di ridurre qualunque altro vivente a schiavo. Ringrazio i siti che mi hanno consentito di postare le foto.(B.M.)